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Scritto per Lettera43
Riforme o morte. Ovvero il futuro della Rpc
La Cina deve procedere alle riforme. C'è bisogno di rivedere le politiche fiscali, il welfare e la pubblica amministrazione. C'è anche bisogno di livellare il divario tra ricchi e poveri per scongiurare ulteriori tensioni sociali. Saprà la prossima dirigenza del Pcc rispondere in modo adatto? Riforme o morte: questo è il messaggio lanciato ieri dalle colonne del quindicinale Qiushi ("In cerca della verità"), organo del Comitato centrale del Partito comunista cinese di politica e teoria socialista. Oggi il South China Morning Post, principale quotidiano di Hong Kong, gli fa eco. Mentre il Partito si prepara al XVIII congresso, Qiushi riprende i temi principali di un discorso del 23 luglio scorso del presidente della Rpc Hu Jintao alla Scuola centrale del Partito e invita la classe politica a "non risparmiare nessuno sforzo nel proseguire con le riforme e l'apertura al mercato". È necessario quindi che il nuovo vertice della politica cinese "continui a mandare avanti attivamente i propri piani di ristrutturazione del sistema politico e di sviluppo della democrazia socialista". E per fare questo è necessario che il prossimo governo, quello del dopo Hu-Wen, colga l'attimo per mandare avanti un piano di riforma comprensivo in tutti i settori. Secondo il South China Morning Post, l'articolo apparso ieri sulla rivista di teoria del Partito non sarebbe solamente un consiglio ai potenti di Cina, ma espressione di una visione condivisa all'interno dell'establishment sulle politiche future del Paese di mezzo. "Negli ultimi 30 anni il rapido sviluppo del nostro Paese è dipeso in gran parte dalle riforme e dalla politica di apertura al mercato. Il futuro della Cina continuerà a dipendere in maniera sensibile da questo". Qiushi fa poi notare la necessità di riforme strutturali in settri quali la vendita dei terreni, la pianificazione urbana, la tassazione e le politiche fiscali, il welfare, la pubblica amministrazione. Di tutte le riforme, però, quelle di più stretta urgenza riguardano il nuovo corso economico della Cina. Il dato sotto gli occhi di tutti è infatti il rallentamento dell'economia del Dragone. Per questo il South China Morning Post di oggi non tralascia di ricordare le sfide per il nuovo "team economico" che uscirà dal XVIII congresso del Partito comunista cinese dell'8 novembre. Nel lungo periodo, ricorda il quotidiano di Hong Kong, il governo della Rpc dovrà "gestire disfunzioni profondamente radicate nel sistema economico della Cina continentale", da rintracciare principalmente nella sua configurazione "ibrida": per metà di pianificazione statale, e per metà di mercato. C'è poi il possibile peggioramento di problemi strutturali legati al monopolio di Stato in molti settori economici, corruzione e disequilibri della struttura produttiva. E ancora, una forza lavoro sempre più vecchia e un crescente divario di ricchezza tra cittadini: tutti fattori di rischio, soprattuto quest'ultimo, per le tanto temute tensioni sociali. Queste, sempre più profonde, potrebbero infatti minare pesantemente il governo del partito unico. Non tutti sono però ottimisti sul futuro delle politiche di Pechino. Hao Hong, il responsabile del dipartimento ricerca sulla Cina continentale della Bank of Communications di Hong Kong, per esempio, sostiene che dopo un decennio di crescita economica a ritmo forsennato, l'economia cinese si trova oggi a un punto critico. "È tempo di riforme", sottolinea Hao. Il timore di esperti e analisti è però che "la prossima generazione di leader cinesi", la quinta dal 1949, "sarà ancora fortemente influenzata dalle vecchie. Il pensiero e la gestione economica dei vecchi leader della Rpc continuerà a direzionare le scelte dei nuovi potenti". Con tutta probabilità, seguendo le dottrine confuciana del "giusto mezzo" e taoista della "non azione", la nuova classe politica non procederà a riforme radicali. Xi Jinping, futuro presidente, e Li Keqiang, futuro premier, probabilmente sceglieranno inizialmente la linea della continuità con il passato, per assicurare al Paese di mezzo la stabilità economica, con la "benedizione" dei rispettivi padri politici (l'ex presidente Jiang Zemin e il quasi ex Hu Jintao), espressione di due diverse correnti interne al Pcc. La nuova generazione di leader sarà quindi almeno nelle sue prime fasi un compromesso tra poteri forti più simile a un "matrimonio forzato" che a un connubio armonioso.
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