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I Segreti del Caso Chen: Parla He Peirong Pechino, 9 mag.- Paladina dei diritti umani e dissidente, eroina e traditrice, pedina di potenze straniere e agente della CIA: da quando He Peirong ha aiutato l’attivista cinese Chen a fuggire dagli arresti domiciliari, sul suo conto si è detto di tutto. Raggiunta da AgiChina24.it dopo diversi tentativi, l’insegnante d’inglese conosciuta anche col nome di “Pearl” aggiunge nuovi, inediti particolari alla clamorosa evasione di Chen,e fornisce una versione differente rispetto a quella raccontata ad altri media internazionali. La tempistica, innanzitutto: secondo le ultime dichiarazioni di He, Chen sarebbe fuggito il 19 aprile scorso, con circa tre giorni di anticipo rispetto ai racconti emersi finora. He racconta ad AgiChina24.it di aver ricevuto un’e-mail da “un amico comune” il 21 aprile: “L’uccellino è scappato. Cosa facciamo adesso?”. La rete di sostegno secondo He composta da “almeno sei persone”- si mobilita da Pechino. Ed ecco un altro elemento inedito: la donna smentisce la versione della corsa solitaria, e fa il nome di almeno un altro dei personaggi coinvolti nell’evasione che ha fatto tremare la Cina.“Nel viaggio per raggiungere il villaggio di Chen non ero da sola, - dice He-con me c’erano altre persone, tra cui Guo Yushan”. Guo è un altro esponente del movimento per i diritti umani, che in passato aveva portato alla luce alcuni scandali alimentari. Dopo la fuga di Chen è stato anch’egli trattenuto dalla polizia, e successivamente rilasciato. Nei giorni trascorsi tra il momento della fuga e quello in cui He Peirong e gli altri raggiungono Chen, l’attivista cieco sarebbe rimasto nascosto in alcune case nei dintorni del villaggio: “Non è vero che Chen aveva con sé un cellulare, è stato soccorso da sconosciuti. Alcuni hanno avuto paura, altri invece l’hanno accolto in casa senza fare rapporto alla polizia. È grazie all’aiuto di queste persone che Chen ci ha contattato”. Sulla decisione di condurre Chen all’ambasciata statunitense, He mantiene il riserbo: “Io ho solamente guidato dal villaggio a Pechino. Non so chi abbia contattato i funzionari americani, a quel punto non eravamo più insieme”. La mattina del 27 aprile He viene presa in consegna dalla polizia di Nanchino, che la trattiene per circa una settimana. “Sono stata interrogata, ma non mi hanno maltrattata - dice la donna - e del resto non avevo fatto nulla di male. Ho solo accompagnato un libero cittadino”. Chen Guangcheng, in effetti, era sottoposto agli arresti domiciliari senza un’accusa formale, una pratica comune in Cina per isolare dissidenti ed elementi “scomodi” al governo. He non ha alcun dubbio sul fatto che le autorità cinesi concederanno a Chen i documenti necessari per un periodo di studio negli USA, la soluzione diplomatica emersa la scorsa settimana per risolvere un caso che imbarazza Pechino, ma anche Washington: “Chen è una spina nel fianco per il governo. Faranno in modo che parta il prima possibile. Pechino ha un solo problema: salvare la faccia. E sono sicura che per farlo indagherà sui funzionari locali che hanno maltrattato lui e la sua famiglia”. La donna che ha aiutato Chen Guangcheng nella fuga si dice fiduciosa per il suo futuro: “Alcune persone mi hanno fatto sapere da Washington che nei prossimi giorni ci sarà un’udienza e che chiederanno agli Stati Uniti di concedermi l’asilo politico, ma io ho già rifiutato. Preferisco restare qui con i miei amici e salvare la faccia al mio Paese”.
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