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Tian'anmen - Una tragedia evitabile Parla Chen Xitong, sindaco di Pechino durante le proteste di piazza Tian'anmen. Un suo rapporto ufficiale avrebbe spinto Deng Xiaoping a sposare la linea dura della repressione violenta. Dopo 23 anni Chen affida ad un libro-intervista la sua versione dei fatti. La frase più a effetto nel libro intervista di Chen Xitong, sindaco di Pechino ai tempi del massacro di Tian'anmen, è quella in cui il politico caduto in disgrazia definisce i fatti del 4 giugno 1989 “una tragedia che poteva essere evitata”. Parole pronunciate dall'uomo considerato uno dei sostenitori della linea dura contro il movimento studentesco, e poi democratico, che dal 16 aprile occupò per un mese e mezzo la piazza simbolo della Cina. Chen è accusato di aver ingigantito la situazione, descrivendo una Pechino occupata da "milioni di manifestanti" in un rapporto ufficiale destinato al governo, così da indurre Deng Xiaoping a proclamare lo stato di emergenza che avrebbe condotto all'intervento dell'Esercito popolare di liberazione e alla repressione che fece centinaia di morti. In seguito fu promosso a segretario del Partito comunista nella capitale, ma cadde in disgrazia nel 1995 epurato per reati di corruzione e condannato a 16 anni di carcere. Detenuto nella prigione di Qingcheng, dove sono reclusi anche molti leader del movimento 4 giugno, fu rilasciato nel 2006 per motivi di salute. “Se la situazione fosse stata gestita meglio, nessuno sarebbe dovuto morire”, ha raccontato Chen a Yao Jianfu, coautore del libro pubblicato dalla New Century Press di Hong Kong, “Come sindaco mi sento in colpa. Ho sperato di poter arrivare a una soluzione pacifica. Molte cose non sono ancora chiare, spero che un giorno si possa arrivare alla verità”. "La tragedia del 4 giugno fu una lotta di potere interna degenerata in una fine che nessuno avrebbe voluto", continua Chen, che nel libro punta il dito contro l'ex presidente Jiang Zemin per la sua epurazione e la sua condanna definita “la più grande ingiustizia dalla Rivoluzione Culturale”. Chen e Jiang erano rispettivamente i paladini delle cosiddette cricche di Pechino e Shanghai. Proprio nella capitale economica cinese, dove nel 1989 era segretario locale del Pcc, Jiang Zemin si guadagnò la nomina a segretario generale del Partito riuscendo a contenere in modo non violento il movimento democratico, contrariamente a quanto accadde nella capitale politica. L'ex capo di Stato è anche l'uomo che Chen accusa essere dietro la brusca fine della sua carriera politica. “Non ho mai trattato Jiang come un nemico, l'ho sempre rispettato”, dice l'ex sindaco di Pechino ricordando il caso della sua epurazione che sfiorò addirittura Bo Yibo, uno degli “otto immortali” del Pcc compagni di Mao nell'epopea rivoluzionaria. Si tratta del padre del deposto leader del Partito a Chongqing Bo Xilai, la cui storia quest'anno si sta rivelando il più grave scandalo politico nel Paese se non da Tian'anmen almeno dalla caduta di Chen Xitong. Le memorie dell'ex sindaco pechinese continuano una tradizione che negli ultimi anni ha visto la New Century Press pubblicare, sempre a ridosso dell'anniversario della strage, una serie di volumi che hanno aiutato a svelare le dinamiche interne che portarono alla repressione violenta del movimento. Lo stesso editore Bao Pu è legato a quei giorni. Suo padre, Bao Tong è considerato il braccio destro di Zhao Ziyang, il segretario riformista del Pcc destituito e costretto ai domiciliari, fino alla morte nel 2005, per aver tentato la mediazione con gli studenti. Nel 2009, l'editore di Hong Kong diede alle stampe Prisoner of the State, la trascrizione delle memorie di Zhao uscite dalla sua casa-prigione registrate su audiocassette. Il libro non aggiunge molto alle ricostruzioni su quei giorni di giugno rispetto a quanto non abbiano fatto altri documenti passati clandestinamente fuori dalle stanze di Zhongnanhai, il Cremlino cinese. Tuttavia rompe la vulgata che vuole Deng Xiaoping massimo artefice delle riforme che hanno aperto al Cina al mondo ed enfatizza il ruolo di Zhao e del suo predecessore Hu Yaobang, destituito nel 1987 e la cui morte fu la scintilla del movimento due anni dopo. A giugno del 2010 fu invece bloccata all'ultimo l'uscita in libreria dei diari dell'ex primo ministro Li Peng, “il macellaio di Tian'anmen”, che avrebbe dovuto gettare nuova luce su quegli eventi. Attesa per il 22 giugno, la pubblicazione fu sospesa per una presunta violazione di copyright, un’accusa incentrata sul richiamo a“questioni morali”. Già nel 2004 il governo aveva posto un veto allo stesso Li Peng sulla divulgazione di un testo controverso, che rischiava di compromettere la legittimità del Pcc. Il libro uscì poi negli Usa. Oggi a riaprire le polemiche sono invece le confessioni di Chen. “Un giorno il Partito dovrà declassificare i documenti e la storia darà il suo giudizio su Deng Xiaoping, Li Peng e Zhao Ziyang”, spiega l'ex sindaco, “è soltanto questione di tempo. Il Paese diventa più forte, abbiamo bisogno di un sistema politico più democratico. Il premier Wen Jiabao ha sottolineato più volte che c'è bisogno di riforme politiche. Dobbiamo procedere passo dopo passo. Correggeremo disuguaglianze e ingiustizie”. Chen sembra inoltre voler allontanare da sé le responsabilità della repressione. “Pensare che Che Xitong abbia potuto sviare Deng Xiaoping è un insulto all'intelligenza dello stesso Deng”, puntualizza l'ex leader della cricca di Pechino, smarcandosi dalle accuse rivolte a lui e all'allora segretario del Pcc a Pechino Li Ximin di aver spinto il Piccolo Leader a usare il pugno di ferro. Di sicuro esiste un documento datato 30 giugno, con la sua firma e con quella del segretario, in cui le manifestazioni sono bollate come "controrivoluzionarie". Chen nega di aver mai sottoscritto alcunché. E tesse le lodi di Zhao Ziyang sparando contro Li Peng, “un conservatore fedele alla linea dura” e Jiang Zemin, descritto come un'opportunista capace di tutto per garantirsi la sopravvivenza politica.
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