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Ipotesi a Confronto sul Congresso del Pcc Pechino, 11 mag. - E' bastato il sospetto diffuso dalla Reuters per mettere subito in allerta i vertici della politica cinese. Da quando l'agenzia di stampa britannica, mercoledì scorso, ha pubblicato la notizia che il diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese potesse andare incontro a un ritardo, il sito di microblogging Weibo, corrispettivo cinese di Twitter, ha censurato i termini "18 + ritardo", "Congresso", "Comitato Permanente" e, ovviamente, "Reuters". Insomma, tutte le parole chiave dell'appuntamento politico più importante della decade, il Diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese, che deciderà i nuovi leader e il futuro assetto del Comitato Permanente del Politburo, la vera stanza dei bottoni della politica cinese. Le tre opzioni che secondo la fonte riservata della Reuters si fanno strada tra i corridoi di Zhongnanhai, roccaforte del potere supremo, sono quelle di un Comitato Permanente ristretto a sette membri, come lo vorrebbe il presidente uscente Hu Jintao e la sua fazione, i tuanpai formatisi alla Lega della Gioventù Comunista; una cerchia di nove membri, come l'attuale, oppure un Comitato allargato a undici uomini, ipotesi, quest'ultima, che soddisferebbe le correnti minoritarie rispetto a quella del presidente e del primo ministro. A rendere la situazione ancora più incerta, secondo quanto riportato dalla Reuters, sarebbe il caso Bo Xilai, che se ha esaurito da qualche settimana la sua carica detonante, ha lasciato profondi effetti nella vita politica del Paese. Ora che il pericolo di un ritorno al maoismo, come vagheggiato dalla "Nuova Sinistra" di Bo Xilai, sembra definitivamente eliminato dall'agenda politica di Pechino, il nuovo organigramma del potere potrà riservare sorprese. Agi China 24 ha chiesto a due esperti di politica cinese di tracciare un profilo del momento politico cinese attuale: Xie Yue, professore di Scienze Politiche alla Scuola di Politiche e Relazioni Internazionali della Tongji University di Shanghai e Joseph Yu-shek Cheng, ordinario di Scienze Politiche alla City University di Hong Kong. Dalle loro parole emerge un quadro di sostanziale prudenza istituzionale da parte dei vertici di Pechino e di sostanziale continuità con i riti del passato, che il caso Bo Xilai non ha scalfito. Secondo la Reuters, ci potrebbe essere un cambiamento nel numero di membri del Comitato Permanente, che potrà essere di 7, 9 o 11 membri. Lo considera possible, o sono solo speculazioni? Xie: "Penso che si tratti soltanto di supposizioni, anche se è vero che la lotta per i seggi all'interno del Partito è così feroce che ci potrebbero essere molte sorprese dell'ultimo minuto. E' possibile che il numero cambi, ma penso che aumenterà, invece di diminuire, per bilanciare le molteplici forze nella competizione tra i candidati. In ogni caso, un'eventuale modifica al numero dei seggi indica che il regime non ha ancora raggiunto un accordo unanime sulla transizione al potere della nuova generazione". Cheng: "E' in atto un processo di negoziazione. Penso che la voce di un possibile ritardo sulla data del Congresso sia immatura. Un tempo sapevamo che c'erano forti negoziazioni durante gli "incontri di Beidaihe”, le riunioni che avvenivano nell'estate prima del Congresso nella località balneare di Beidaihe, non lontana da Pechino, dove nel chiuso delle loro ville i protagonisti della politica, si mettevano d'accordo su chi avrebbe scalato la gerarchia del potere. Oggi sappiamo che questi incontri non si tengono più, ma nei mesi precedenti il Congresso, a luglio e agosto, hanno luogo colloqui serrati e importanti negoziazioni. Già ora si può vedere qualche preparativo. Penso che sia troppo presto per dare un giudizio definitivo perché il processo di negoziazione non è ancora terminato. E poi c'è sempre una certa flessibilità legata alla data del Congresso". In che modo ritiene che il caso Bo Xilai possa avere influenzato il prossimo Congresso del PCC? Xie: "Finora avere eliminato Bo Xilai è stata considerata una vittoria, almeno dai media statali e all'interno del partito. Ciò che è successo è in linea con lo schema adottato dal Partito Comunista Cinese anche in passato, nei periodi di crisi, ed è servito a dimostrare al mondo esterno che il partito è unito e stabile al suo interno. Il caso Bo Xilai non dovrebbe interferire con lo slittamento del Congresso a una data posteriore, sebbene la campagna in corso all’interno dell’èlite sia molto seria. Piuttosto, il caso Bo Xilai potrebbe giocare un ruolo positivo, di ammonimento futuro agli altri candidati. Preservare la stabilità del regime è un punto fermo dei vertici sin dalle proteste di piazza Tian An Men del 1989. Finora, tra i top leader sembra ci sia un’ambigua lotta tra i più forti e i più deboli. I veri riformisti non sono usciti allo scoperto. Wen Jiabao, al massimo, sembra essere sostenitore delle riforme, non un riformista moderato. Personalmente penso che tutti i nove attuali membri siano della linea dura". Cheng: "Conosciamo tutti la short list dei candidati al Politburo e si tratta solo di stabilire chi possa essere dentro e chi fuori. Non c'è niente di sorprendente in questo. Al momento non ci aspettiamo sorprese. E' chiaro che nel frattempo sono in corso molte negoziazioni. Il fatto, in sé, non è così problematico. Penso che i nomi più ovvii siano quelli di Xi Jinping (Che dovrebbe prendere il posto di Hu Jintao alla presidenza della Repubblica Popolare,n.d.r.) Li Keqiang (al posto di Wen Jiabao come primo ministro, n.d.r.) Wang Qishan (attuale vice premier, n.d.r.) e Li Yuanchao (attuale capo del Dipartimento dell'Organizzazione, n.d.r.). Queste quattro persone sono candidate a occupare i quattro posti principali. Sarei molto sorpreso se le cose non andassero in questo modo, quindi non credo che questi leader siano a rischio. Pensa che la transizione del 2012 possa essere più soft o più difficile di quella del 2002? E perché? Xie: "La transizione sarà morbida. Una delle ragioni, come ho già detto prima, è la consapevolezza diffusa dell'importanza di mantenere la stabilità e l'unità all’interno del partito. Se la successione al potere è problematica, il mondo esterno e la comunità internazionale potrebbero mettere in discussione la sostenibilità della politica cinese. La seconda ragione inoltre è relativa al fatto che la leadership ha cambiato la retorica della lotta per il potere: adesso tende maggiormente a epurare gli oppositori sulla base della loro condotta morale o della corruzione, e non più a causa dei conflitti ideologici. I casi di Chen Xitong (sindaco di Pechino durante gli scontri di piazza Tian An Men nel 1989, accusato nel 1995 di corruzione e poi condannato a 16 anni di carcere, n.d.r.) Chen Liangyu (segretario provinciale di Shanghai dal 2002 al 2006, quando fu rimosso dall'incarico con l'accusa di corruzione per appropriazione indebita di denaro di un fondo pensione, n.d.r.) e Bo Xilai lo dimostrano, e sono diversi da quanto accadeva all'epoca di Mao o di Deng. Uno dei vantaggi di questo cambiamento è che si può colpire solo l'individuo e non il gruppo o l'intero partito. In tal modo si possono ridurre le fluttuazioni di potere durante la transizione. Il partito ha imparato dalla storia l'importanza dell'unità tra i leader perché sa che le spaccature politiche possono essere fatali per il regime comunista". Cheng: "Prevedo una transizione tranquilla. Penso che la leadership cinese farà di tutto per evitare di spostare la data del Congresso, perché questo genererebbe molte speculazioni e gossip. Il processo di negoziazione sta andando avanti ed entro la fine di agosto avremo una fotografia migliore di quello che sarà il nuovo corso del potere cinese. penso che la corrente di Hu Jintao e Wen Jiabao sia uscita rafforzata dal caso Bo Xilai e che la "nuova Sinistra" e la corrente di Jiang Zemin ne sia uscita indebolita".
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