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Land grabbing a casa propria: una lettura dal campo Avvertenza: i nomi dei luoghi e delle persone, così come il nome dell’autore del post sono stati modificati o tolti. “Non è un caso se si è aspettato così a lungo per partire con quel nuovo progetto edilizio: l’espansione degli alloggi per i funzionari del governo locale su di un’area di oltre 40 ettari.” Ne avevo sentito parlare a novembre, o meglio avevo discusso con alcuni contadini che non condividevano l’esproprio, ma è oggi, con l’inaugurazione del sito (kaigong dianli) che il motivo di tanta attesa si è fatto evidente: un centinaio di persone si era radunato sul ciglio della strada, davanti al sentiero di ingresso per le ruspe e i camion. Uscire dall’hotel è trovarsi di fronte una folla in silenziosa attesa è fatto curioso qui a Erbao, la cui via principale è spesso preda di motociclisti sconsiderati, che qui ci abitano, ma che non spenderebbero un passo sulle sue strade polverose. La folla, uomini donne e bambini, più che altro curiosi, era radunata intorno ad una ruspa azzurra, in procinto di muoversi verso l’imbocco dei campi coltivati a grano e riso, e luogo di elezione per l’espansione della sede del governo locale (renmin zhengfu). Ad essi si sommavano i lavoratori edili del cantiere, tutti muniti di caschetto rosso; ma era l’esercito a farla da padrone: in numero doppio rispetto alla folla le giacchette mimetiche verdi e pixelose la circondava, ma in maniera quasi casuale, informale. Uomini della gong’an, la pubblica sicurezza, puntellavano i tre ingressi al sito con i loro suv bianchissimi, in una giornata arida come le precedenti. Una donna, muovendosi lentamente e con convinzione si avvicina al pilota della ruspa, sale sui cingoli e cerca di dissuaderlo dal mettere in azione il veicolo. Poi girandosi verso la folla urla: “Io con il raccolto di questi campo ci facevo 2000 yuan all’anno!”. Un gruppo di bambini, studenti alla scuola superiore numero tre di questa contea, riconoscendomi si avvicina: “Cosa succede?”-”E’ per la terra, è un caso di esproprio di terreni (zhuazhu tudi , in ingese land grabbing)!” mi risponde uno di loro sorridendo. Mi colpisce che un bambino della sua età abbia una parola per questa cosa. Poco prima di poter scattare una foto alla donna, la quale viene pacatamente dissuasa dalla gong’an dall’ostacolare ulteriormente i lavori, vengo fermato da una ragazza in tuta mimetica: solo ieri sera eravamo a cena presso la danwei del Water Bureau locale insieme al direttore dell’ufficio di Huize. Venuta “appositamente per conoscermi” mi avevano detto. Ora capisco vi fossero anche altri motivi. Insieme ad un suo commilitone sta riprendendo la manifestazione dal tetto di un camion, ha con sé microfono e telecamera professionale. “Ciao, senti è meglio che ti allontani da qui è pericoloso, vedi è un caso di violazione della legge. Qui oggi si inaugura un importante progetto del governo per cui le dovute compensazioni in denaro sono già state elargite a norma di legge. E’ un groppuscolo che non accetta la legge, ecco tutto”. Mi allontano. Weiguo mi si accosta, con un sorriso beffardo (sembra voler dire “hai visto che casino?”) ma rimane in silenzio. Poi mi dice scherzando: “fuggi è pericoloso qui”. Interrogato risponde inaspettatamente: “li vedi quei muretti e quella terra livellata dall’altro lato della strada? Questa l’han fatta loro (riferendosi alla generica categoria dei “contadini-che-protestano”), da soli. Anche qui della terra è andata persa no? Ma ci hanno guadagnato. Quando è il governo però, allora sì che c’è da protestare(dikang)”. Mi allontano. Un’idea di giustizia… Poche ore dopo la folla è dispersa. Alcuni anziani siedono sui talloni, fumando sigarette nei lunghi tubi di metallo tipici di qui, e guardano il lento e rumorosissimo spianamento del terreno. Pietre e detriti vengono buttati sopra terra fertile, irrigata, che solo il Settembre prima doveva tracimare riso. Sembrano soffermarsi su questa visione interiore, ma più probabilmente è una mia impressione. Nessuno parla né si dilunga in risposte più elaborate di “ci fanno dei negozietti capisci?”. Molti sorrisi ironici di anziani. A pranzo, Shao Zhi: “Quella terra era segnata come ‘ricollocabile’ (zhuanyong). Vedi, quando il governo decide di fare una cosa la fa e basta. Senza dire niente a nessuno. Non importa se sia legale o meno, quelli decidono da soli”. Ancora ghigni ironici. Scoprirò più tardi, grazie alla paziente spiegazione di Li Biao, quadro di un vicino villaggio: “Precisiamo: era solo il 20% a protestare, l’altro 80% condivideva (tongyi) il progetto”- “Silenzio-Assenso?” Penso io. “Se si tiene conto non solo del raccolto, ma anche del sussidio e degli incentivi, un contadino prende in media 1000 yuan all’anno per mu (poco superiore a 0.5 ettari). Il governo ha dato 40.000 yuan per mu, l’equivalente di 40 anni di raccolto. Non so come possano pensarla (kanfa) quelli che protestano”. Altri la pensano così al Water Bureau: “Il prezzo era stato concordato(shushu pi xialai) in anticipo, che senso ha protestare?”. Già che senso ha protestare? La legge sulla confisca di beni privati (zhengshou) del resto parla chiaro: come negli Stati Uniti, il governo può fare un’offerta non vincolante per l’acquisto di tot metri quadri ai detentori del diritto d’uso limitato. Ma poi, se non si raggiunge un accordo il prezzo lo fissa lo stato, in autonomia. Su che basi si giudica se un rimborso è sufficiente? Come ben mi ha fatto notare Deqing: “il rimborso è sicuramente superiore al lavoro del raccolto di un anno, anche di due, cinque, dieci, ma poi gli anni passano e a te chi te la ridà la terra? A Pechino siamo abituati a raffigurarci la confisca come demolizioni forzose, calcestruzzo e fuliggine. Qui è diverso: e terra che scompare, che da marrone scuro diventa bianco pietra. La sera, incontrando fortunosamente l’ingegnere capo del progetto scambio due parole: “L’ho vista che lanciava petardi in un campo di grano, poco lontano all’imbocco del sito, Perché?” “Ah sì, ero insieme ad una delegazione di costruttori, è così che si fa qui da noi, e come quando si festeggia Chunjie no?, si tirano dei petardi si augura buona fortuna al progetto.” “Questo progetto, cosa state costruendo?””Un opera enorme! (kuan de hen): 250 nuovi posti letto per i funzionari del governo locale, 50 metri quadri a famiglia e una zona adibita a piccolo commercio. 4.000.000 di yuan di finanziamento iniziale. Ci metteremo un anno a finirlo””E quelle proteste?””Gente che infrange la legge (weifa), qui è tutto a norma”. Noi e la folla silenziosa Tutto quel parlare di “incidenti di massa”, di proteste contadine, di land grabbing, è a questo che si riduce? Una folla silenziosa. Durante la “protesta”, non ho sentito una parola spesa sui “diritti” dei contadini, sul valore che la terra ha per loro. Certo tutte queste cose possono rimanere inespresse, ma forse dovremmo incominciare a riflettere su quanto peso diamo, come osservatori, alla cosiddetta rivoluzione legale cinese. Siamo imbevuti di ideologia, crediamo nel valore trasformativo della “legge”, questa cosa che cambierebbe uomini e società. Ma qui cosa vediamo: che la legge è stata “rispettata”, che un sistema legale può essere giusto senza corrispondere all’idea di “giustizia” di alcuni (che ne siano consapevoli o meno). Mi viene in mente il Dottor King, quando nella sua campagna per i diritti civili disse «the moral arch of the universe is long but it does bend towards justice». Certo, ma verso quale idea di giustizia? Al di là della biforcazione della strada che porta alla vecchia Erbao il mese scorso avevo visto due donne lavorare e costruire in qualche giorno una piccola dispensa in cemento sul proprio campo, per riporci mezzi da lavoro e secchi per l’acqua. Oggi è stato abbattuta dall’esercito, a martellate. Anche un altro edifico abusivo, lungo la via per la scuola superiore, è stato abbattuto “Buttati 70.000 yuan” il commento di Shao Zhi. “Legal rights and law enforcement” certo, ma in che modo? Quasi fosse una minaccia che così suona: vedi noi oggi costruiamo a norma di legge su questa terra, quello che invece non è a norma viene abbattuto, sempre oggi. Una tempistica che non manca certo di ironia, ecco dunque tutti quei sorrisi complici.
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