http://comune-info.net Forum, c’erano tutti tranne una: la pace Il Forum Cooperazione internazionale (qui il Dossier di Comune-info) si è concluso con un bilancio apparentemente positivo: migliaia le presenze, un parterre istituzionale degno dei migliori eventi internazionali e numerosi dibattiti che hanno declinato il tema della cooperazione sotto molteplici punti di vista: priorità geografiche, emergenze umanitarie, assetti politico-legislativi, partnership pubblico-privato e l’onnipresente problema dell’inadeguatezza delle risorse economiche a disposizione. Imbarazza però una pesante assenza nel dibattito: la cooperazione intesa come strumento per il mantenimento della pace, di trasformazione del conflitto e di contenimento della violenza nelle zone di crisi. Solo uno dei sei panel ha visto svilupparsi una breve discussione su questo tema riscuotendo interesse e consenso, riallacciandosi ad alcuni dei contributi pervenuti da organizzazioni e reti attive nel campo della trasformazione dei conflitti e dell’intervento nonviolento negli scenari di guerra. Nei documenti preparatori del Forum, redatti da ampi gruppi di lavoro chiamati a riflettere su parole chiavi quali «conflitti», «Stati fragili», «decreto missioni internazionali» e «prevenzione dei disastri», il tema della costruzione della pace e dell’intervento di non-armato e nonviolento in zone di conflitto è stato adombrato da una predominate matrice umanitaria della cooperazione. Non si tratta di sollevare un contraddittorio, ma di stabilire un rapporto di complementarietà in cui lo sforzo per il mantenimento della pace deve giocare un ruolo attivo e non più essere demandato alla componente militare dello Stato. Quando si parla di pace e di interventi in zone di conflitto, la cooperazione italiana appare quindi ancora molto legata all’idea dell’assistenzialismo in fase di emergenza oppure tesa alla ricostruzione materiale o del tessuto giuridico ed economico quando ormai il conflitto si sta avviando alla composizione. Si dimentica che un conflitto, oltre ad avere uno stadio finale, ha anche una fase di inizio ed una di sviluppo: è in queste fasi che la cooperazione dovrebbe attivarsi affinché venga garantito il rispetto dei diritti umani, in primis quello alla vita e a vivere in pace. Si tratta di una dimenticanza che stride con gli intenti stessi del Forum: il ministro Riccardi lo ha definito un momento di riflessione che guarda al futuro, un punto di partenza che mira al riassetto e all’attualizzazione della cooperazione in vista di nuove sfide a cui l’Italia è chiamata a rispondere. In base a tali premesse, non si può non tenere in considerazione il fatto che nelle aree di crisi e nei principali teatri di conflitto, accanto all’azione umanitaria e ai tradizionali interventi istituzionalizzati di peacekeeping ad alta componete militare, sono sempre più frequenti gli interventi di pace non-armati messi in campo da organizzazioni della società civile per mantenere la pace (peacekeeping civile) e per ricostruire la pace (peacebuilding). Sono modalità operative che hanno alle spalle un lungo percorso di sperimentazione e che ora hanno raggiunto un notevole successo sia in termini di efficacia, sia in termini di credibilità e rispetto delle parti coinvolte, garantendo al contempo un considerevole contenimento dei costi rispetto agli interventi armati. Cooperazione allo sviluppo e cooperazione per la costruzione della pace non possono più considerarsi categorie distinte. Secondo le direttive adottate dai membri del Comitato per l’Assistenza allo sviluppo dell’Ocse (Ocse-Cas), di cui l’Italia fa parte, le attività come la promozione della sicurezza, la trasformazione dei conflitti, il peacebuilding post-conflitto, la reintegrazione degli ex-combattenti e il controllo delle armi piccole contribuiscono agli obiettivi dello sviluppo e, pertanto, rientrano nei criteri dell’Aiuto pubblico allo sviluppo (Dac Statistical Reporting Directives, 2010). È necessario quindi che la cooperazione italiana prenda atto di tali sviluppi. Altri Paesi Ocse si sono già adeguati a queste linee guida: paesi come Francia, Svezia, Olanda, Spagna e Romania hanno da tempo predisposto interventi di mantenimento e costruzione della pace rientranti nella categoria della cooperazione allo sviluppo. In Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, sono molte le organizzazioni che, partendo da una preliminare fase di ricerca e formazione su peacebuilding e dinamica dei conflitti, sono ora portatrici di un know-how specialistico. Dal 2007 queste organizzazioni si coordinano nel Tavolo Interventi civili di Pace (nato da un’iniziativa dell’allora sottosegretaria agli esteri) che ora si è dotato di un documento programmatico che identifica identità, standard e principi degli interventi civili di pace italiani. Nella sua lettera di presentazione del Forum Riccardi giustamente sottolinea che «oltre al fare c’è un grande bisogno di comunicare quello che si fa». Ebbene, questi innovativi sviluppi avrebbero dovuto trovare la loro giusta dimensione comunicativa in occasione quali il Forum di Milano. Gli studi e gli interventi civili di pace promossi dalle Ong sono una realtà in pieno sviluppo che hanno il potenziale di ridefinire le caratteristiche del coinvolgimento italiano nelle principali aree di crisi secondo modelli e principi maggiormente rispondenti alle peculiarità dei conflitti moderni. Pertanto, riconoscere l’attività non-armata e nonviolenta di mantenimento e costruzione della pace come una delle modalità di intervento della nostra cooperazione e valorizzare il patrimonio di esperienze maturato dalla società civile in situazioni di conflitto, significherebbe non solo allinearsi con gli standard internazionali, ma soprattutto ridisegnare l’identità stessa dell’Italia nello scacchiere internazionale in qualità di attore promotore di sviluppo e di pace, realizzando così gli auspici degli organizzatori del Forum.
Graziano Tullio, Centro Studi Difesa Civile, coordinatore european Network for Civil Peace Service
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