8 febbraio

Uno, nessuno, centomila Servizi civili.
Come cominciare la difesa alternativa? Con l’ONU!
di Antonino Drago

Chi è il Servizio civilista oggi?

Che cosa può pensare un SC.ista che compie l’attuale SC? Egli viene chiamato “volontario”; ma prende 433 euro al mese; e certamente questa somma regolare per 12 mesi non(gli) è indifferente; da quando c’è il SC, la maggioranza dei SC.isti è del Sud Italia, fino ad avere situazioni abnormi in Sicilia e in Campania.

D’altra parte può egli considerarsi un professionista? Ma di che cosa lo sarebbe? Forse della buona volontà ad adattarsi a compiti multiruolo? Forse per questo viene chiamato “volontario”, perché ci mette la buona volontà. Dal punto di vista soggettivo egli non ha una identità, al di là dei compiti specifici che gli assegnano sul lavoro.

D’altra parte la sua situazione dal punto di vista della legge non è migliore. Egli ha un contratto, ma questo è il contratto più “anomalo” possibile tra i 45 contratti anomali italiani. Eppure è lo Stato stesso che glielo stipula. Ma come, lo Stato crea il sommerso (e scandalosamente ne approfitta?)? Di certo c’è, per legge, il suo SC non deve essere apprendistato al lavoro regolare (o almeno non lo dovrebbe essere…).      

Eppure sono dieci anni che esiste il SC volontario (legge 64 del 2001); come mai la situazione del SC.ista non è stata precisata?

Occorre cercarne le ragioni ad altro livello; quello degli Enti di SC, che presentando bandi all’Ufficio Nazionale del Servizio Civile, possono avere senza spese dei SC.isti. Già, senza spese (a differenza di quanto avviene ad es. in Germania, dove l’Ente contribuisce alla paga del SC.ista per la metà circa); cioè, l’Ente può chiedere manodopera gratuita in numero potenzialmente illimitato, salvo inquadrarla in progetti di attività sociali, ovviamente espressione di suoi avanzamenti nel sociale. Quindi, le finalità, per le quali si viene a trovare a lavorare un SC.ista, sono quelle degli Enti, sia pure dentro un ambito generale stabilito dalla legge (che ne prevede nove, fino alla assistenza spicciola).

Allora qui si configura uno scambio politico. Lo Stato fornisce un sostegno consistente agli Enti di SC. Questi ricevono con molto piacere una potenzialità di crescita rispetto agli altri Enti del Terzo settore e all’interno della società; anche se sano che ciò va a inquinare le motivazioni del personale in ingresso: ora il volontariato (anche a causa della introduzione del no-profit che passa danaro ai volontari) cerca sempre più una qualche forma di guadagno monetario. Ma per gli Enti la prospettiva è allettante: quella della uscita dal lavoro oscuro e non riconosciuto, per entrare in relazione diretta con la istituzione giuridica più forte possibile.

D’altra parte, lo Stato, essendo gravemente manchevole nella politica sociale in generale e particolarmente nella assistenza, ha ormai fatto tesoro della esperienza sulle tossicopendenze; per le quali ha delegato il suo dovere pubblico a una serie di comunità private; cosicché, senza impegno burocratico e con poca spesa, fa vedere di occuparsi del problema perché finanzia delle comunità a questo scopo; comunità che ovviamente sono molto poche rispetto al fenomeno sociale. Alla fine, contente le comunità e contento lo Stato; mentre il pubblico si è adattato alla novità. Lo Stato ha ripetuto questa politica per il caso del SC, con grande soddisfazione degli Enti; e anche dei giovani, i quali domandano soprattutto di non restare a marcire nel sottolavoro e nella disoccupazione; e per di più sono attratti da un anno di cooperazione fattiva nel sociale, certamente formativa, e dallo slogan “SC come cittadinanza attiva”; che invece, per chi conosce le trappole linguistiche moderne, sa bene che significa “semplice anticamera” al potenziale ingresso nel mercato del lavoro.

Quindi, per lo Stato è anche una politica giovanile, che ovviamente coglie solo gli strati giovanili più qualificati e più mobili (studenti universitari, ecc.), cioè quelli che potrebbero essere i più aggressivi politicamente, ma che in effetti ne avrebbero meno bisogno.

Da qui quel SC che è stato definito dal responsabile SC della Protezione Civile: “il SC à la carte”: come al ristorante, a scelta tra centomila SC.

Insomma, una privatizzazione bella e buona. Ovviamente, in tempi di liberismo e di governi di destra, essa non sorprende; se non per il ruolo guida assunto dall’Arci SC (subentrata dal 2001 alla Caritas nella Presidenza della Consulta Naz. Enti SC), che ogni anno ottiene dall’Ufficio Nazionale un alto numero di SC.

Nessun Servizio civile (pubblico)

In realtà si può sostenere che né c’è un SC, né e centomila SC à la carte; il SC non c’è; perché lo Stato non ha portato avanti la prima finalità del SC, quella che lo qualificava sia storicamente, che politicamente, che giuridicamente: “art. 1, lett. a: “Concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari.” Cioè, da otto anni lo Stato ha organizzato un SC Nazionale senza curarsi che fosse rispettata la prima finalità pubblica del SC (come anche le altre finalità pubbliche). In effetti, è vero che c’è qualche Ente che con i suoi miseri mezzi privati realizza i suoi progetti di SC che corrispondono a quella finalità pubblica: ad es. la Operazione Colomba di Rimini, che dal 1992 opera in molte parti del mondo con interposizioni nonviolente esemplari, attirando molti giovani generosi per la crescita umana incalcolabile che quelle esperienze danno; il tutto nella più grande volontarietà (vera). Ma, sono questi pochi Enti sufficienti a fare da scudo allo Stato per difendersi dalla critica precedente?

La risposta è no, da parte di quelli che per quarant’anni (in assenza dello Stato) sono stati i costruttori (veramente volontari!) del SC nazionale: gli obiettori di coscienza al servizio militare. Gli 800.000 obiettori (anche se solo un loro minoranza aveva una precisa coscienza politica) assieme alla Campagna di obiezione alle spese militari (nata nel 1982 per reagire alla sconfitta, che in realtà fu solo iniziale, per la istallazione dei missili Cruise a Comiso) hanno richiesto:“una prima istituzione statale di difesa civile non armata e nonviolenta”. Dopo lunghe peripezie parlamentari (dieci approvazioni di rami distinti del Parlamento e una ricusazione pretestuosa da parte del Presidente Cossiga) la legge 230 del 1998 ha istituito un Ufficio Nazionale SC distinto e separato dal Ministero della Difesa; il suo compito è gestire il SC degli obiettori e prepararli a sperimentare una difesa civile non armata e nonviolenta (art. 8, lett. e).

D’altronde questa crescita è stata favorita dalle sentenze della Corte Costituzionale; che sin dal 1985 ha dichiarato che, secondo l’art. 52 e l’art. 11 della Costituzione, la difesa della Patria senza armi è equivalente a quella con le armi; e che la prima è realizzata in particolare dal SC Nazionale. L’Italia è il primo Paese al mondo che ha sancito il principio di parità dei due tipi di difesa.A livello internazionale questo atto corrisponde a quanto l’ONU ha stabilito dal 1992 con L’Agenda per la Pace: GLi interventi di Pace debbono avvenire sia con militari che con civili e le due componenti hanno la stessa dignità. Come si vede, nel giro di cinquant’anni il progetto presentato sin dai primi obiettori italiani si è materializzato in termini giuridici sino ai massimi livelli.

E’ questo progetto politico che il Servizio Civile Nazionale doveva proseguire. Ma il Gen. Corcione, allora ministro della Difesa, dichiarò incostituzionale la legge 230 del 1998 e non c’è da sorprendersi se i militari a mali estremi hanno opposto estremi rimedi: andando contro al Costituzione, hanno fatto “sospendere” (legge del 2001) il sevizio di leva; una maniera brutale di togliere dall’orizzonte politico gli obiettori di coscienza, perché erano diventati dei soggetti politici troppo importanti, tanto da cominciare una difesa alternativa a quella armata; cosicché gli obiettori non hanno avuto il tempo nemmeno di cominciare.

Per cui oggi non c’è nessun SC che corrisponde alla legge che lo aveva istituito, il SC voluto dagli obiettori. 

A chi appartiene l’attuale SC?

Però i militari avevano fatto i conti senza l’oste: gli Enti che avevano avuto il coraggio di associarsi agli obiettori di coscienza accettandoli in SC, sono rimasti senza 80.000 persone l’anno che lavoravano gratis per le loro finalità sociali, certamente positive. Questi Enti hanno protestato; hanno ottenuto la legge 64 del 2001, la quale istituisce il servizio civile volontario e ha dovuto riconoscere la paternità degli obiettori ribadendo la loro finalità. Ma gli Enti hanno considerato il nuovo SC come una “loro” idea. Abbiamo visto che la loro politica è stata accettata dallo Stato, e sicuramente è risultata gradita dai militari, perché così essi sono rimasti senza più concorrenti nella difesa collettiva. D’altronde dei giuristi (Conforti, benché contestato da Venditti; Quad. Satyagraha n. 7, LEF, Firenze, 2005) hanno avallato con argomenti speciosi questa politica: il SC è solo solidarietà (al più Terzo settore), non c’entra con la difesa dei confini nazionali et similia.

D’altronde tutto questo è avvenuto nel mentre le relazioni internazionali sono tornate ad un brutale realismo politico che ha schiacciato anche l’ONU e i suoi interventi di Pace. Infatti nel 1999 il patto militare NATO è cambiato da difensivo ad aggressivo. Le sue “operazioni di Pace” militari e gli “interventi di polizia internazionale”, per “missioni umanitarie”, hanno stravolto lo stesso articolo 11 della nostra Costituzione. In più ha istituito il Civil and Military Cooperation (CIMIC) per gestire (e finanziare) i civili sul terreno di guerra, in modo da assorbirli all’interno della strategia militare. Anche negli studi sul tema, il primo corso di Peacekeeping per laureati è stato lanciato nel 1995 dalla Scuola S. Anna assieme ai militari, in modo da chiudere gli accessi professionali ai soli adeguati alla logica militare.

Il Servizio civile sdoppiato

Ma c’è stato un imprevisto: le Regioni, visto che il SC si restringeva alla sola solidarietà locale, hanno preteso di ottenere la sua gestione.

Però la sentenza della Corte Costituzionale 228 del 2004 ha ribadito che il SC è difesa della Patria, quindi la competenza è della Amministrazione centrale, benché le Regioni, se vogliono, possono aggiungere un loro SC regionale.

Ma, problema: veramente questo SC, in mano agli Enti privati, è difesa della Patria? Lo Stato ha trovato la soluzione: ha istituito un “Comitato per la Difesa Civile non armata e nonviolenta” (Decr. Pres. Cons. Ministri 18/2/2004) per suggerire iniziative in proposito. Era forse rinata la possibilità della difesa voluta dagli obiettori?

A parte un breve periodo iniziale, il Comitato (rinnovato quattro volte) è stato presieduto proprio dal giurista che riduce il SC alla sola solidarietà; allora non sorprende che in sette anni il Comitato non ha preso una iniziativa operativa di difesa alternativa; se non (dopo averlo annunciato per sei anni) quella di far partire quattro SC.isti per un progetto di routine della Operazione Colomba, neanche in zona post-bellica (Albania). In più, data la politica privatistica sul SC, ogni decisione ministeriale sulla costituzione di questo Comitato è stata compiuta a trattativa privata con gli Enti di SC o anche con personaggi inappropriati (Don Ciotti), fino ad escludere dal Comitato ogni persona degli obiettori o di matrice culturale nonviolenta. Infine, ogni presentazione ufficiale di questo Comitato, anche convegni, è stata ad inviti, cioè a carattere privato. Cioè il Comitato esiste, ma fa come se il suo problema non esistesse pubblicamente, né per il dibattito pubblico né per le decisioni politiche sulla difesa nazionale e internazionale.

Perciò le Regioni hanno istituito SC regionali anche numerosi (ad es. la Toscana sul migliaio di SC.isti); ovviamente, senza nessuna idea di difesa collettiva: welfare puro. Esse sono giunte ai ferri corti con l’Ufficio nazionale SC (oltre il contenzioso generale che esse hanno con lo Stato). Hanno rifiutato il progetto di legge sul SC che nella scorsa legislatura il Sen. Giovanardi, con delega al SC nazionale, ha presentato e che voleva far approvare a tutti i costi (“O si fa la nuova legge o si muore” 22/9/11). La loro “rivolta” è sostenuta dalla Lega Nord (anche con un apposito progetto di legge) in nome della lotta agli “sprechi” di questo SC nazionale e della efficienza che invece darebbero i SC regionali.

“La fine del Servizio Civile?”

Ma in questi ultimi anni “i sacrifici sociali” hanno ridotto il SC all’osso. Dai 299 miliardi di euro del 2005 si è scesi ai 68 previsti per il 2012, con una prospettiva di totale incertezza sul futuro. Quindi gli Enti di SC hanno alzato il grido di allarme, alto e reiterato: “La fine del SC?”. Certamente è la fine del periodo delle “vacche grasse”; è anche la fine dell’espansione di questi Enti nel Terzo Settore, che ora sono schiacciati su una politica di assistenzialismo immediato (grande aumento degli indigenti italiani). Certamente è la “fine del solito SC degli Enti privati per fini privati”. Mentre (come giustamente ha fatto osservare la Associazione degli Obiettori Nonviolenti) in piena politica di lacrime e sangue, le FF.AA. non subiscono tagli, benché anche la CEI abbia ceduto): 23 miliardi per il 2012, dopo aver anche istituito la mini-naja con 20 milioni (anche di quel Ministero della Pubblica Istruzione che ha tagliato gli insegnanti?). 

                                         

Da Italia Caritas marzo 2011, p. 11.

D’altronde (lo si è scoperto solo con al relazione annuale del 2011) nel 2010 il Decr. Legisl. n. 66 ha “abrogato la legge 230/1998, lasciando in vigore solo gli articoli che riguardano il singolo obiettore e l’amministrazione dell’Ufficio nazionale SC; ciò al fine di accorpare tutte le leggi sulla difesa nel nuovo “Codice dell’ordinamento militare”; che così ignora la separazione tra difesa armata e difesa non armata.

E’ chiaro che i militari hanno mantenuto una loro politica al di sopra di ogni sacrificio nazionale; essi non sono rimasti con le mani in mano rispetto alla possibile concorrenza dell’esercito alternativo.

Servizio Civile agli immigrati stranieri?

Inoltre le Regioni, con le leggi sul loro SC, hanno cercato di forzare la legislazione nazionale. Ad esempio, sull’accettazione di immigrati non italiani nel SC; da anni lo fanno le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, il Comune di Torino, ecc..

La cosa è stata tollerata dallo Stato, ma nel dicembre 2011 un piccolo casus belli ha fatto scoppiare la situazione del SC nazionale. Un giudice di Milano ha accolto la richiesta di un giovane immigrato pakistano (Shahzad Syed, difeso dagli “Avvocati Senza Niente”), dichiarando illegittimo il bando che si stava espletando per 18.000 SC.isti, perché questo escludeva gli immigrati stranieri ddal parteciparvi: ma se il SC è una opportunità di lavoro, perché non può farlo anche lui?.

E’ chiaro che se il SC è privatizzato, è privatizzabile da tutti; non solo dagli Enti di SC, ma anche dalle Regioni, dai Comuni, dai partiti secessionisti, dal clientelismo dei Comuni e delle Associazioni nate ad hoc, dagli studenti universitari che si fanno la paghetta, dai disoccupati, dalle ragazze del Sud che vogliono uscire di casa, infine anche dagli stessi cittadini indigenti o in emergenza ….. Senza una identità basata su finalità pubbliche, gestite pubblicamente, cioè senza la prima finalità dichiarata dalla legge istitutiva (difesa collettiva alternativa), il SC è una coperta che ognuno può tirare dalla sua parte, salvo che non diventi troppo corta, anzi cortissima.  

E’ stato il blocco di tutto il SC, proprio mentre il governo era nuovo e così pure il Ministro di riferimento, ora quello della Cooperazione internazionale e integrazione, il Prof. Riccardi, che poco prima aveva accolto le dimissioni del direttore dell’Ufficio Nazionale SC, nominato da Giovanardi.

Qui si sono sprecate le dichiarazioni di solidarietà con il pakistano. Perché è chiaro che chi sostiene che il SC è solo solidarietà a corto raggio non può escludere un umano qualsiasi ad offrirsi, tanto più se questa accettazione è essa stessa un atto di solidarietà reciproca, addirittura internazionale. “Ma…” tutti hanno detto; “è una questione di tempi opportuni”. Difesa ben debole per cercare di salvare l’esistente.

Il nuovo Ministro, contrariato, è addirittura rimasto senza proposte ufficiali, se non il ricorso in appello. Chi ha parlato fuori dai denti è stato invece Giovanardi, non più al governo: “… spostare il dibattito su [come] acquistare la cittadinanza italiana [per] servire… non solo nel servizio civile, ma anche nelle Forze Armate”; le quali già hanno numerosi naturalizzati provenienti da molti Paesi del mondo.” Quindi non le Acli, non i responsabili degli Enti di SC, ma un militarista ha ricordato che il SC è ancorato alla difesa collettiva, però preferibilmente quella armata.

La debolezza politica di Sayed ko ha costretto ad accettare una promessa verbale sul futuro (tramite la Focsiv); e il SC ha ripreso la solita marcia.

I giovani e la conquista politica del SC

Meraviglia che chi difende la Costituzione non abbia mai posto il SC nei termini che la Corte ha definito così chiaramente e ripetutamente (dieci volte), nonostante i cambi continui dei suoi membri e dei Presidenti. Lo si è lasciato trasformare dal “Paese reale”, quello che secondo Craxi deve prevalere sul “Paese legale”.

Meraviglia anche che tutte le indignazioni per lo stato pietoso in cui versano moralmente i giovani negli ultimi decenni (definiti da ministri: “bamboccioni”, “sfigati”; di fatto oggi due milioni di giovani che né lavorano né cercano lavoro, né studiano) non tenga mai conto che 800.000 giovani hanno conquistato un prestigioso traguardo anche internazionale: la giurisdizione per una difesa alternativa, quella che la “seconda super-potenza mondiale” (della marcia mondiale del 17 febbraio 2003) vorrebbe da tempo in ogni Paese. E’ stata la prima volta in Italia che un movimento nato dal basso e senza l’appoggio ufficiale di un singolo partito (ma solo di singoli deputati) ha conquistato una legge parlamentare di sua concezione. E’ stata una crescita politica dal basso che fa onore alla democrazia italiana.

Ma il potere politico si è fatto beffe del loro progetto e lo Stato è apparso impermeabile anche alle sue leggi in materia. E vogliamo ricordare che quella loro politica è di tipo evangelico, conforme alle Beatitudini, anticipatrice di una nuova maniera di agire dei credenti politicamente nel mondo?

Allora, dove i giovani dovrebbero cercare valori ed ideali se quelli che hanno costruito con decenni di prigione, di lotte e di lavoro vengono annullati da poteri che o privatizzano (gli Enti SC) o monopolizzano (la difesa collettiva da parte dei militari)? Se anche la loro costruzione giuridica viene svuotata, quali ideali, se non soggettivi e privati, può avere un giovane? Lo Stato è anche dei giovani che fanno politica, o la sua politica deve essere solo quella delle vecchie istituzioni?

Una identità per il Servizio civile

Il progetto degli obiettori dava una finalità pubblica chiara al SC di Stato (lasciando spazio al SC delle Regioni per un SC per il welfare, per quello che esse possono e vogliono attuare). Ma questa finalità pubblica ha proposte politiche adeguate?

Nel primo periodo di neanche un anno, il Comitato aveva elaborato più di trenta proposte, poi bloccatesi con la nuova e lunghissima presidenza.

Ma oggi basterebbero poche proposte precise per impegnare lo Stato ad incominciare ad ottemperare alla legge 64/01 art. lett. a tuttora vigente:

- Riconoscere il diritto all’iscrizione all’albo degli obiettori. La sospensione della leva obbligatoria non ha annullato la leva, che è da reintrodurre in caso di emergenza. Perciò sussiste un albo degli obiettori del passato. Ai quali la legge 130 del 2007 ha dato la facoltà di uscirne. Quindi l’albo esiste ed è attivo; ma perché lo è solo in uscita e non in entrata? Avendo la legislazione internazionale (ed europea in particolare) riconosciuto che l’obiezione di coscienza alla difesa militare è un diritto soggettivo, relativo alla persona che lo vuol far valere, perché non ci si può iscrivere all’albo nazionale degli obiettori? E’nata una Campagna nazionale per ottenere questa iscrizione (vedasi il sito su Peacelink). Perché in particolare un SC.ista, che appunto sol suo SC “difende la Patria senza armi”, non può dichiararsi obiettore? L’Assemblea dei rappresentanti del SC del gennaio 2011 ha chiesto formalmente questa possibilità per tutti i SC.isti.

- Stipulare un contratto (temporaneo) che non sia anomalo e che ponga chiare finalità pubbliche.

- Nominare dei professionisti come consulenti per la difesa alternativa. L’attuale Ufficio Nazionale ha ben 29 consulenti (rispetto ai circa 100 impiegati); perché non nominare alcuni consulenti per la difesa alternativa, invece di nominare ancora una volta un Comitato di consulenza che si è rivelato una anticamera senza sbocchi?

- Pubblicizzare degli atti costitutivi. Se anche questo Comitato dovesse sopravvivere (per una consultazione con i Ministeri potenzialmente interessati), che esso venga  nominato dopo un dibattito pubblico ed una consultazione pubblica, secondo criteri oggettivi.

- Sperimentare la difesa alternativa: con l’ONU. Perché cercare soluzioni provinciali, quando a livelli internazionale da più di mezzo secolo l’ONU ha fatto esperienza di tutte le situazioni conflittuali nel mondo portandovi una autorevole proposta, anche senza armi, per la pace? L’ONU prevede i Volontari dell’ONU, di livello inferiore rispetto al funzionariato. Il loro numero è limitato dalle scarse risorse. Ma d’altra parte la Carta dell’ONU richiede a tutti gli Stati di fornirgli parte delle truppe e del bilancio sulla difesa, senza essere stata mai esaudita. Allora che l’UNSC incominci a versare all’ONU una somma specifica per un buon gruppo di Volontari dell’ONU, che inizino uno sperimentazione di difesa alternativa nel mondo. L’atto sarebbe molto significativo per incominciare per la prima volta al mondo a corrispondere alla richiesta dell’ONU, fornendo almeno personale non armato (quello che, si noti, è gli è più connaturato). Allora anche Syed potrebbe partecipare a questo Corpo di Volontari ONU . La somma necessaria non sarebbe grande (40.mila $ l’anno per ciascuno Volontario ONU).

Inviare SC.isti nei conflitti interni (mafie, clandestini, immigrati) in collaborazione con la Protezione Civile.

Stipulare contratti con le Università per aumentare gli insegnamenti su SC e Difesa alternativa (oggi ce n’è solo a Pisa), in corsi di laurea, i cui laureati fornirebbero i formatori dei SC.isti (attualmente essi sono stati cresciuti “in casa” dai più forti Enti di SC).

Il tutto richiede decisioni del tutto amministrative, senza dover aspettare nuove leggi. Inoltre i costi totali sono molto bassi (2 milioni di euro?).

Forse l’obiettivo politico di questa attuazione di legge appare troppo grosso allo Stato e alle forze politiche attuali? Ma allora, come si fa in questi casi, si convochi democraticamente una Conferenza Nazionale che discuta pubblicamente sul tema (così come si fece a Venezia sull’altro grosso problema della programmazione energetica nazionale).  

Il Ministro Riccardi è un operatore di pace cattolico che è famoso nel mondo per aver  compiuto più di una mediazione cruciale per la pace in vari Paesi del mondo, ancor prima del 1989 (ad es. tra una guerriglia sanguinosissima e l’autorità statale pro-Occidente in Mozambico). Saprà mantenere una sua identità di pace operando anche in questa nuova e grande responsabilità statale? 

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