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Povertà, la lezione di Vandana Shiva
"Salvare la terra dall'apartheid ambientale"
Vandana Shiva, l'attivista e ambientalista indiana che correla la povertà dei paesi poveri agli effetti della globalizzazione è una delle più importanti testimonial della lotta contro il saccheggio delle risorse naturali a scapito delle popolazioni locali ROMA - Fare pace con la terra per combattere la crisi. Resistere al potere delle multinazionali e alla devastazione dell'ambiente, che porta povertà e ingiustizie. Da tempo Vandana Shiva, combattente per la biodiversità, è una delle più importanti testimonial della lotta contro quello che definisce "il saccheggio delle risorse naturali a scapito delle popolazioni locali", una linea di pensiero ispirata a Gandhi il quale sosteneva che "la Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'avidità di alcune persone". Tra i fisici più rinomati dell'India, attivista politica e ambientalista, ha ricevuto anche il Right Livelihood Award, il premio Nobel alternativo. In Italia per partecipare a una serie di convegni, a pochi giorni dalla Giornata mondiale della terra il 22 aprile, racconta quello che definisce "apartheid ambientale", un fenomeno che "sta facendo precipitare il pianeta verso una situazione di non ritorno". Il rischio è: ricchezza per pochi e povertà per molti. "Parlo di apartheid perché il significato di questa parola è separazione. Nell'ecoaparthied c'è separazione dell'uomo dalla terra. E' un sistema che separa in modo violento, con la forza, le comunità dalle loro risorse. E' il land grab, ma c'è anche il grab, la separazione, da altre risorse come l'acqua, i minerali...". Nel suo ultimo libro Fare pace con la terra (edizioni Feltrinelli), lei spiega che l'India risente in modo particolare di questo problema. "La globalizzazione ha fatto sì che l'India sia diventata un importante fornitore globale di materie prime. Il paese si sta sviluppando rapidamente, ma la ricchezza è concentrata solo in poche mani. Fra i 10 miliardari più ricchi al mondo ci sono indiani. Ma questo accumulo di ricchezza si basa su una forma di appropriazione di risorse che lascia gli agricoltori e le popolazioni locali a mani vuote e in uno stato di povertà. Oggi in India molti agricoltori decidono di suicidarsi. Sono molte le persone povere che non hanno nulla da mangiare". Lei critica l'agricoltura industriale. Ma non le sembra difficile tornare indietro? "L'agricoltura industriale distrugge il nostro capitale naturale e i piccoli agricoltori che garantiscono la sicurezza alimentare. Ancora oggi il 70% del cibo è prodotto dall'agricoltura in scala ridotta, mentre il 70% dei danni ambientali sono collegati all'agricoltura industriale che sta distruggendo il pianeta e creando carestia e fame. Proteggere il 70% delle nostre risorse non vuol dire tornare indietro, ma creare basi solide per il nostro futuro".
Lei sostiene che i giovani dovrebbero occupare la terra e non le piazze nelle città. Dovrebbe accadere anche in Italia? "L'economia globale non ha spazio per i giovani che cercano un lavoro e un futuro. La globalizzazione ha portato e porterà alla chiusura di molti centri di produzione. Tutto questo è dovuto ad un sistema ingiusto che sfrutta in modo non equo le risorse. Ora c'è chi utilizza la crisi finanziaria per limitare le possibilità di crescita per la popolazione. In Italia, ad esempio, le nuove tasse sugli immobili e sulle terra, porterà ad una crisi. Per molte persone che vivono in campagna i costi diventeranno insostenibili. Per questo agricoltori e giovani dovrebbero occupare la terra e dare vita a forme di resistenza contro queste tasse ingiuste".
Quali sono le ricette che propone per salvare la terra e combattere la povertà? "Di fronte a noi ci sono due scenari. Nel primo la scelta è quella di proteggere le piccole fattorie, la biodiversità, promuovere l'agricoltura biologica intensiva, ma anche una produzione intensiva di alimenti, che riduca al massimo lo sfruttamento delle risorse. Si possono creare così economie locali, che si fondano sulla produzione di cibi sani. L'altra scelta è quella che punta alla distruzione dei terreni, della biodiversità e delle comunità locali. In questo modo gli individui finiranno per dipendere dagli alimenti industriali, dal cibo 'spazzatura', molto dannosi per la salute, ma che costituiscono una fonte di arricchimento per le grandi aziende. Io scelgo la prima soluzione. L'industria alimentare è avida e pensa solo al profitto. E' in questo modo che si crea un sistema dove ci sono aree del mondo dove si soffre la fame ed altre dove si combatte l'obesità". Crede che la crisi economica finirà presto? "La crisi economica non finirà presto. In pratica la crisi è utilizzata per mettere in una situazione ancora più difficile la situazione economica della popolazione, salvando invece coloro che l'hanno creata: le banche e le istituzioni finanziarie. La gente dovrà trovarsi delle alternative per superare la crisi attuale ed impedire che quella attuale si aggravi".
Fra i problemi che affronteremo ci sarà quello delle risorse energetiche. "Il problema delle risorse energetiche può essere risolto o prendendo cibo e terra ai poveri e producendo biocarburanti, oppure cercando quella che si può definire 'una giustizia energetica', riducendo gli sprechi e passando dai combustibili fossili alle energie rinnovabili". Lei parla della necessità di cambiare la nostra mentalità e abbandonare le regole imposte dal mercato globalizzato. Tutto questo appare quasi impossibile. Ma a lei non sembra solo una speranza? "Ci troviamo di fronte ad un momento storico. Il mercato senza regole guidato dal potere delle corporazioni ha come unico obiettivo i profitti ed è spinto dall'avidità. Distruggerà tutto: l'ultimo posto di lavoro, l'ultimo ettaro di terra, l'ultimo seme e l'ultima goccia d'acqua. E' difficile resistere al potere del mercato, ma è ancora più complicato non avere prospettive di sopravvivenza. L'umanità deve decidere se la volontà di vivere è così forte da portarci a combattere le forze che sono in guerra contro la terra".
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