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L'uragano Sandy spaventa, i cambiamenti climatici no: paradossi di umana natura Frankenstorm lascia New York. Sale a 3 il numero delle centrali nucleari in pericolo. Dopo la tempesta, c'è già chi pensa alla crescita del Pil: il clima come termometro di un'economia malata Dopotutto, l'appellativo Frankenstorm è guadagnato. Il "mostro" atmosferico piomba sulla costa est degli Usa alla porte di Halloween, e mette in ginocchio Manhattan approfittando della coincidenza del suo arrivo con la presenza della luna piena (e dell'alta marea che porta con sé), peggiorando la situazione per le aree costiere. L'uragano Sandy, però, adesso se ne va. Lascia New York City con un bilancio di vittime in crescendo, e col bollino un poco più rassicurante di "tempesta post-tropicale": pericolosa, certo, ma sempre meno di un uragano. L'arrivo di un "disastro naturale" impone anche a una delle più possenti roccaforti costruite dall'uomo - New York - a fermarsi ed aspettare. Non è facile osservare la Grande Mela a luci spente, con le strade semideserte. Perfino l'inarrestabile macchina della grande finanza s'impone lo stop: per la prima volta dal 1985 (quando arrivò l'uragano Gloria) Wall Street chiude i battenti per motivi atmosferici. Molto più preoccupante rimane comunque la situazione poco a sud di New York, nei pressi dell'impianto nucleare di Oyster Creek, in New Jersey, danneggiato dall'uragano. «Un aumento dell'acqua vicino all'impianto - informa il Sole24Ore - ha fatto partire l'allarme più pericoloso. Squadre di esperti, vigili del fuoco, polizia si sono mobilitati per evitare un incidente che avrebbe potuto essere gravissimo per il pericolo di contaminazioni e sembra ora che la situazione sia sotto controllo». È con gli strascichi della tempesta ancora in casa, dunque, che si cominciano a contare i danni. E si nota con drammatica evidenza come ci sia qualcosa che non vada nella concezione diffusa di danno e vantaggio economico. I maggiori danni economici - osserva Justin Wolfers, economista della university of Pennsylvania Wharton School - saranno da imputare «al fatto che nessuno sta lavorando né comprando nulla, quando altrimenti non sarebbe così. Nella misura in cui il lavoro non svolto oggi verrà comunque svolto la settimana prossima, l'impatto di Sandy sull'economia sarà solo temporaneo e non porterà cambiamenti importanti quando si analizzerà il trimestre nel suo complesso». Ma c'è chi già vede nell'uragano che se ne va un importante input per la crescita economica: palazzi e strade da sistemare, per fare un esempio, garantiranno una bella occasione di business, fondato sulle macerie. Un'operazione ghiotta agli occhi dei falchi del Pil. Fortuna che almeno Wolfers aiuta a riportare i piedi per terra, sentenziando che «chiedere quali siano gli effetti di un uragano sul Pil è inutile quanto chiedere quali siano quelli di una guerra. Racconta dei problemi del Pil più di ogni altra cosa». Anche se è Obama ha dichiarato lo stato di catastrofe, la reazione di New York sembra essere stata stavolta adeguata a fronteggiare l'emergenza, e contenere (per quanto possibile) i danni. Certo, merito anche dell'azione della Protezione civile quella Fema (Federal Emergency Management Agency) che il New York Times difende in un durissimo editoriale contro il candidato repubblicano, ricordando come «Il coordinamento degli aiuti in caso di disastri è una delle funzioni più vitali del ‘big government' che Mitt Romney vuole eliminare», preferendo passarle «in mani private». Ma non è detto che la pronta risposta della Fema possa sempre rivelarsi sufficiente. Intervenire in situazioni di estrema emergenza comporta sempre rischi... estremi. La prevenzione risulta fondamentale, ma è qui in gioco una prevenzione di respiro globale: quella contro i cambiamenti climatici, fenomeno all'interno dei quali l'influenza della mano umana non può più essere nascosta. La sfida di uno sviluppo più sostenibile mette così al centro la sicurezza stessa dei cittadini del mondo, e piangere le vittime di Sandy prevederebbe un'azione concreta in questo senso. «Per tutto il 20° secolo - scrive per la Cnn Ben Orlove, antropologo dell'Earth Institute della Columbia University, e direttore del Centro di Ricerca sulle decisioni ambientali - i livelli del mare aumentati a causa del riscaldamento degli oceani e lo scioglimento dei ghiacci nei ghiacciai. Questo aumento, che varia da luogo a luogo a seconda del pattern di vento e correnti oceaniche, è stato di circa un piede nel porto di New York». Ecco che, se «tempeste e maree sono naturali, l'innalzamento del livello del mare non lo è. Mentre continua, New York diventa più vulnerabile. Ogni città costiera lo diventa [...] Saranno in grado di intraprendere le azioni più grandi e più difficili per proteggersi dalla più lenta, e di gran lunga maggiore minaccia del cambiamento climatico?». Purtroppo, come sappiamo la percezione del rischio non è la stessa a breve o a medio-lungo periodo, e questo sfortunatamente gioca a grande sfavore della sopravvivenza e del benessere della nostra intera società. Superare questo nostro deficit cognitivo - ma soprattutto volitivo - è davvero la più grande delle sfide che il presente ci chiama, tutti, ad affrontare.
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