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3 luglio 2012

La casa brucia e noi pensiamo al portafoglio perso
di Carlo Rovelli

Un articolo di Carlo Rovelli pubblicato sul Sole24ore dell’1 luglio spiega in modo molto chiaro perché è necessario occuparsi dei cambiamenti climatici, nonostante il Summit sulla Terra delle Nazioni Unite, a Rio de Janeiro abbia ricevuto poca attenzione in Italia.

Se avete perso il portafoglio, è buona norma dedicare tutta l’attenzione a cercarlo subito. Ma se mentre lo cercate venite a sapere che il quartiere dove abitate sta bruciando, e voi ignorate la cosa e continuate a occuparvi solo del portafoglio, allora state facendo una sciocchezza.  Siamo sicuri che non stiamo commettendo la stessa sciocchezza?

Fuori di metafora, i problemi finanziari ed economici a cui stanno facendo fronte il nostro paese, l’Europa, e tutto l’Occidente, sono problemi seri, dall’esito dei quali potrebbe dipendere parte del nostro benessere.  Ma se guardiamo un po’ più il là, ci sono problemi più gravi, dai quali potrebbe dipendere molto di più. Presi dal portafoglio, li stiamo trascurando, e stiamo commettendo un errore grave.

Di questi problemi si è parlato a lungo la settimana scorsa a Rio de Janeiro, nel grande Summit internazionale delle Nazioni Unite dedicato ai problemi del pianeta Terra, la nostra casa comune. Fra i vari problemi, quello più grave e più urgente è il riscaldamento del pianeta, esacerbato dalla massiccia e crescente immissione di anidride carbonica nell’atmosfera, che ha già portato cambiamenti climatici e che avremmo modo di combattere, se vi fosse la volontà politica di farlo.  Se n’è parlato poco in Italia, presi come siamo dal terremoto, dalla crisi economica e soprattutto dal calcio.  E purtroppo, la nostra risposta globale come paese a questi problemi è stata: mi spiace, devo occuparmi del portafoglio.

Fino ad alcuni anni fa, ascoltavo gli allarmismi sui rischi planetari con un deciso disinteresse.  Avevo impressione che non ci fosse niente di sicuro, che ci fossero opinioni discordanti, che di variazioni nella temperatura del pianeta ce ne fossero sempre state, e che non fosse compito nostro preoccuparci.  Le cose sono cambiate, e penso che la classe dirigente di questo paese dovrebbe riflette seriamente, e cambiare direzione.  Il pericolo è reale.

Ci sono alcuni malintesi comuni in proposito, che vorrei discutere qui. Il primo è la domanda: “Ma siamo davvero sicuri?”. Siamo completamente sicuri che la Terra si sia scaldando per colpa nostra e che riducendo le emissioni di anidride carbonica riusciamo a fermare una catastrofe possibile?”  Meglio essere perfettamente chiari: la risposta è no, non siamo perfettamente sicuri che questi siano lo scenario e le nostre possibilità.  Ma riflettete al senso della domanda.  Supponete di essere in auto con il vostro figlio diciassettenne alla guida e lui acceleri in modo spericolato e si lanci a centocinquanta chilometri all’ora su una stradina piena di curve. Voi gli dite di rallentare perché così c’è il rischio serio di un incidente, e lui vi guarda e vi chiede: “Ma sei davvero sicuro che se guido così succede certamente un incidente?”.  Voi gli spiegate con calma che i rischi gravi non sono avvenimenti che avverranno con certezza: sono avvenimenti che possono avvenire con buona probabilità, e questo è motivo sufficiente per cambiare atteggiamento ed evitarli. Quando attraversate la strada, non guardate a destra e a sinistra perché siete sicuri che altrimenti finireste sotto una macchina. La domanda giusta non è se siamo sicuri che succederà una catastrofe.  La domanda giusta è quanto valutiamo probabile la catastrofe, allo stato attuale del nostro sapere.

Purtroppo, la risposta a questa domanda è chiara. Lo era meno anni fa. Ma oggi è chiarissima. Oggi non vi è più alcun dubbio che il riscaldamento climatico sia in atto. I mari si sono alzati, i ghiacci dei poli si sono sciolti, i ghiacciai dei monti si sono ritirati, il clima è già cambiato in diverse aree del pianeta. Tutte le misure concordano. Non vi è praticamente più alcun dubbio neanche sulla profonda incidenza dell’attività umana su questo cambiamento.  E le probabilità che questo possa non portare conseguenze devastanti per l’umanità appaiono sempre più esigue. Il problema è reale ed è molto serio. Vi sono già grandi compagnie che investono ingenti quantità di denaro per comperare vasti terreni nel mondo, in previsione dell’aumento atteso dei prezzi dei terreni all’aumentare degli effetti negativi del riscaldamento. Gli speculatori si muovono prima della politica.

Un secondo malinteso, legato al primo, riguarda una cattiva interpretazione della pluralità dell’informazione. Gli organi di comunicazione devono lasciare spazio a opinioni ampie e diversificate. Ma a nessuno verrebbe in mente di fare una trasmissione televisiva sul traffico, invitando, per ragioni di pluralità democratica, anche un ospite che invitasse tutti a passare con il rosso e guidare a duecento all’ora in città, anche se c’è in giro qualche sciocco che la pensa così.  Purtroppo gli organi d’informazione commettono spesso quest’errore.  Anni fa la comunità scientifica era incerta.  Oggi le cose si sono chiarite e la comunità degli addetti ai lavori è praticamente unanime nel denunciare i rischi che stiamo correndo.  Ma ovviamente c’è sempre qualche isolato che, in buona o più spesso cattiva fede, fa il bastian contrario e dice che lui non è ancora convinto. Ho assistito a diversi dibattiti pubblici in cui il bastian contrario veniva invitato, dando un’impressione pubblica completamente falsata sull’opinione della scienza. Certo, i provvedimenti che dovremmo prendere disturbano alcuni interessi particolari, e quindi esiste chi combatte contro il grido di allarme, ma questa opposizione viene da interessi di parte, non da disaccordo scientifico. Oggi la scienza è unanime nel lanciare un serio grido d’allarme.

Il terzo malinteso è che queste cose sono sempre avvenute. Ci sono le ere glaciali e le ere calde, faceva freddo nel 1600, e la Terra non è certo vulnerabile a questi piccoli cambiamenti. Tutto questo è vero : la Terra è grande e antica, e non è vulnerabile. Ma quelli vulnerabili siamo noi. Non stiamo facendo male alla Terra: stiamo facendo male a noi stessi. Ci sono state le ere glaciali, neanche tanto tempo fa: probabilmente uomini simili a noi, che forse già parlavano, le hanno attrversate e ne sono sopravvissuti.  Ma all’instaurarsi di una delle ultime ere glaciali, un terzo delle specie esistenti di mammiferi si è estinta. Un improvviso riscaldamento del pianeta come quello che si è ora innescato non distruggerà la biosfera, ma potrebbe limitarsi a fare sparire poche migliaia di specie, tra cui la nostra. Poco male per la Terra. Ma per noi è una faccenda con una certa rilevanza. Anche senza arrivare all’estinzione, lo scenario negativo prevede cambiamenti climatici che alterano violentemente la produttività agricola, impennata dei prezzi alimentari, fame, povertà, guerre, instabilità mondiale, dove l’Europa non è certo una fortezza autosufficiente. La stessa instabilità politica recente nel mondo arabo è stata innescata dalla ribellione in Algeria, causate dall’improvviso aumento del prezzo del grano per la diminuzione della produzione mondiale.

Ma che sciocchezze, potrà infine pensare qualcuno: non si sono mai viste catastrofi di questo genere. Perché dovrebbero succedere ora? Se pensate così, ripensateci.  La storia ha visto cicli di civiltà nel passato, che sono fiorite, hanno raggiunto un livello di complessità e benessere, e poi sono crollate, talvolta anche rapidamente.  Per molti di questi crolli, l’interpretazione più probabile è che siano stati dovuti a una distruzione sistematica di risorse ambientali necessarie al mantenimento della civiltà stessa. Un esempio famoso è la civiltà Maya, fiorita in popolose città nel centro America, e poi d’un tratto crollata e svanita nel nulla: avevano distrutto l’ambiente in cui vivevano, e non c’era più cibo per tutti.  Oggi ne restano città fantasma nella giungla, in Guatemala e in Messico.  Ma un esempio assai più vicino è la stessa civiltà greca: ci sono studi che ipotizzano che con l’aumento della popolazione l’agricoltura estesa abbia impoverito i terreni della penisola greca fino a causarne la decadenza economica e lo sfacelo.  La civiltà attuale è sviluppata su scala più ampia, planetaria. Questo fatto la rende per alcuni aspetti più stabile, ma molto probabilmente anche fortemente più instabile per altri aspetti: l’impatto delle nostre attività sul mondo attorno a noi è diventato d’un tratto molto maggiore che nel passato, sopratutto durante l’ultimo secolo. È ragionevole aspettarci contraccolpi egualmente più violenti.

Questi esempi fanno luce anche su un altro profondo malinteso: l’attribuzione di responsabilità di quanto accade allo sviluppo della tecnica e della scienza. O peggio, il pensare che la difesa intelligente contro i rischi sia rifugiarsi nel passato e nelle tradizioni antiche.  I Maya e i Greci hanno causato danni a sé stessi senza avere tecnologie moderne, e non si sono salvati pregando il dio serpente piumato Quetzalcoatl, o Zeus. Oggi non ci salveranno i nostri equivalenti divini.  In questo, anzi, non tutti i leader religiosi e morali si stanno rivelando all’altezza della situazione. L’opposizione feroce del Vaticano al controllo delle nascite, per esempio, è giudicata fuori dall’Italia una delle posizioni di più miopi, calamitose e sciagurate: porta a crescite demografiche eccessive che esasperano i problemi mondiali. Prima o poi il Vaticano cambierà idea, come finisce sempre per fare, al traino del cambiamento dei tempi, ma intanto la sua vasta influenza produce fame e dolore. Perché non prende invece l’iniziativa di indicare a tutti l’importanza di salvaguardare il bene comune? Oggi per l’umanità il bene comune non è più, come era nel passato, nell’essere più numerosi.

C’è una differenza importante fra le civiltà antiche che si sono suicidate senza saperlo e noi. Noi abbiamo alcuni strumenti intellettuali e conoscitivi che ci permettono, forse, di difenderci. Abbiamo un sapere scientifico che è forse ancora insufficiente per guidarci con sicurezza, ma che qualche cosa è in grado di comprendere, e può darci indicazioni utili per evitare le catastrofi che hanno chiuso la storia di altri esperimenti di civiltà umana. Il sapere scientifico non è la causa di questi problemi, è la nostra migliore arma per difendercene.  Il fatto che si sia oggi formato un consenso sulla gravità dei problemi, sulle priorità e sulle misure più opportune ed urgenti è un fatto importante, e gioca a nostra favore.

Ma la conoscenza da sola non basta, se non è accompagnata dalla ragionevolezza delle decisioni pubbliche.  Il sapere scientifico non basta, se la politica non segue. E la politica non segue, se l’opinione pubblica ha le idee confuse.  Chi governa è tentato di cercare di risolvere i problemi immediati, e ignorare il futuro.  Tanto peggio per chi governerà domani.

I paesi del mondo hanno riconosciuto l’urgenza del problema. Una grande macchina diplomatica si è messa in moto per cercare di coordinare una risposta.  Il Summit di Rio ne è l’espressione. Vi è accordo sulla contromisura più urgente da prendere: la riduzione dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera.

Lo stallo nell’azione è il fatto che i paesi poveri chiedono ai paesi ricchi di pagare la bolletta, e i paesi ricchi rispondono che hanno perduto il portafoglio e lo stanno cercando.  Nel frattempo, la nostra casa comune, il pianeta Terra, sta cominciando a bruciare.

 

 

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