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Marsiglia, all'altro forum vincono i movimenti per l'acqua
Da un lato un fiorire di iniziative, di proposte, di partecipazione; dall'altro un vuoto di rappresentanza e istituzioni che ha messo a nudo la natura privatistica dell'evento. Con esiti diversi si sono conclusi entrambi gli appuntamenti di Marsiglia: il FAME, il Forum Alternativo Mondiale dell'Acqua, l'incontro alternativo ideato dai movimenti, e il WWF, World Water Forum, organizzato dalle multinazionali dell'acqua. Il verdetto sembra essere unanime. Il secondo é stato un costoso fallimento. Snobbato dalle principali cariche istituzionali dei paesi partecipanti, tradito persino da Sarkozy - che inizialmente aveva investito molto nell'iniziativa in termini di immagine ma infine ha preferito non presenziarvi - il forum ufficiale ha dovuto gettare la maschera e si é in breve rivelato per quello che é: un incontro fra le potenti multinazionali dell'acqua che con la scusa di discutere di emergenze idriche e accesso comune alla risorsa, intendevano pianificare le nuove frontiere della gestione privata del prezioso bene. Tutt'altro discorso vale per il forum alternativo. Oltre 2000 partecipanti registrati, quasi 5000 in tutto, hanno dato vita ad un acceso dibattito sui metodi per contrastare il dominio della gestione privata, sulle forme di gestione pubblica e partecipata, sui modi per garantire a tutti l'accesso all'acqua. Molti i temi affrontati all'interno degli oltre 50 seminari. "Si é parlato dell’acqua in agricoltura - si legge nel resoconto redatto dal Comitato umbro acqua pubblica, presente a Marsiglia -, della privatizzazione del servizio idrico, l’accaparramento delle risorse per scopi industriali, il problema delle miniere in America Latina che consumano e distruggono irreversibilmente interi bacini acquiferi, il problema dello sfruttamento industriale delle acque minerali che in Cina sostituiscono il servizio idrico, visto che nei rubinetti arriva sporca, in Indonesia la Danone prosciuga interi fiumi così come in Italia la Rocchetta e la Nestlè prelevano per emungimento milioni di litri di acqua all’anno per i loro super profitti distruggendo il territorio e sottraendo l’acqua alle popolazioni. Si è parlato di come le multinazionali (es. Nestlè) si appoggiano a governi consenzienti e alle organizzazioni globali per fare profitti." Alla fine, ne é emersa una carta basata su quattro punti: 1) l’acqua non è una merce ma un diritto universale ed un bene comune 2) é necessario il superamento del full cost recovery (il principio che vuole che tutti i costi di gestione e gli investimenti siano inseriti nelle bollette, senza altre forme di finanziamento pubblico) come principio guida del finanziamento del servizio idrico 3) garantire a tutti l’accesso al quantitativo minimo vitale d’acqua 4) la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori alla gestione del servizio. Sul fronte degli strumenti da utilizzare per mettere in pratiche queste indicazioni, ha riscosso successo l'idea, portata avanti dalla delegazione italiana, di utilizzare la "Iniziativa dei cittadini Europei", uno strumento di democrazia diretta recentemente introdotto dalla Ue. L’obiettivo è raccogliere un milione di firme in sette paesi per invertire la rotta dell’Unione - da sempre promotrice delle privatizzazioni - e proporre un’iniziativa legislativa alla Commissione. Ma se da Marsiglia arrivano indicazioni confortanti per i vari movimenti di tutto il mondo in lotta per l'acqua, tutt'altra situazione si sono trovati ad affrontare gli attivisti italiani una volta rientrati nel nostro paese. Qui, a dispetto dei referendum vinti, la privatizzazione del servizio procede spedita, come se nulla fosse. A Roma, Alemanno ha dichiarato l'intenzione di vendere a privati il 21 per cento delle quote comunali di Acea; il Comune di Roma manterrebbe così solo il 30 per cento (proprio la quota prevista entro il 2012 dalla legge Fitto Ronchi abrogata dal referendum). In Toscana il presidente Enrico Rossi ha incontrato venerdì scorso l'ambasciatore dello Stato di Israele, proprio mentre i droni israeliani bombardavano la striscia di Gaza, per affrontare il "grande tema dell’acqua e della razionalizzazione dei suoi usi, per fronteggiare i cambiamenti climatici e gli effetti di desertificazione". La distanza fra i movimenti in lotta per la gestione pubblica e partecipata dell'acqua e le istituzioni del nostro paese - le stesse istituzioni che sarebbero preposte a far rispettare il voto referendario - ad oggi sembra quasi incolmabile.
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