tratto da La Nonviolenza è in Cammino
Verso La Marcia Perugia-Assisi.
Una Lettera di Bruno Segre
... la settimana prossima compiro' 81 anni. Percio', purtroppo, non ho piu' le gambe che mi servirebbero per marciare impunemente da Perugia ad Assisi. Leggo che quest'anno l'obiettivo fondamentale dei "marciatori" e', assieme all'impegno per la pace, quello di esigere il rispetto integrale della Costituzione della Repubblica italiana. "Ripudiare la guerra, non la Costituzione", dichiarano. Come sai, si tratta di impegni che condivido senza riserve. Sai anche che, in virtu' del mio retroterra famigliare e della mia vicenda personale, da alcuni decenni mi do da fare per propiziare, nei limiti delle mie capacita', una pace giusta tra Israele, i palestinesi e il piu' largo mondo arabo.
Italia e Israele: sono questi i due Paesi con i quali, sia pure a diverso titolo, mi identifico. Sono due democrazie che, gestite da classi di governo prive di cultura e di senso della storia e poverissime di capacita' di progetto, stanno vivendo le fasi piu' pericolose di una crisi profonda: democrazie che richiedono, l'una e l'altra, urgenti innesti di spine dorsali intenzionate a non piegarsi a ogni spirar di vento.
Permettimi allora di dedicare ai "marciatori" di quest'anno alcuni brani che traduco da un lungo saggio ("Pourquoi j'ai peur pour Israel", Le Nouvel Observateur, 19 luglio 1980) che Nahum Goldmann - una impressionante personalita' di ebreo del secolo scorso, un vecchio lottatore, un grande leader sionista ostinatamente proteso a spingere in avanti uno sguardo libero - pubblico' un paio d'anni prima di morire.
Delle proposte che in questi brani Goldmann ebbe a formulare, cio' che conta e che interessa non sono tanto i contenuti (che gli oltre trent'anni trascorsi da allora hanno reso fatalmente obsoleti), quanto lo spirito che le anima: uno spirito che oggi mi piacerebbe vedere diffondersi e prendere quota nella societa' civile israeliana, ma anche in quella italiana, proprio a tutela dei valori oggi irrisi e calpestati della nostra Costituzione.
Scriveva tra l'altro Goldmann: "Mi sembra che per coronare la storia ebraica e offrire una soluzione al problema ebraico, la creazione di un piccolo Stato ebraico aggressivo e sempre piu' impopolare sia una banalizzazione dello straordinario destino degli ebrei, una profanazione del carattere eroico e tragico della storia ebraica. [...] Il potere piu' irresistibile e' quello degli oppressi, dei perseguitati, che non possono sopravvivere se non opponendo ai persecutori un'ostinazione illimitata. Gli ebrei che hanno fondato Israele e che lo governano ancor oggi hanno ereditato dalle numerose generazioni che li hanno preceduti questo sentimento del potere che e' proprio degli impotenti. La caparbieta' di Begin, il suo rifiuto di fare concessioni, il suo comportamento provocatorio verso il mondo intero sarebbero comprensibili se fosse il presidente della comunita' ebraica di Brest-Litovsk, d'onde egli proviene. [...] L'avvenire d'Israele dipende dalla sua facolta' di dare ai dirigenti di questo Paese il sentimento di un potere statuale, che solo permettera' loro di operare compromessi, di fare concessioni, di comprendere l'avversario e trattarlo da eguale, di essere tolleranti verso le minoranze".
Sulla base di queste premesse, Goldmann immagino' che la sola vera strada da imboccare potesse essere quella della "conversione" di Israele in una forma di Stato diversa: cioe' nella forma di "uno Stato totalmente neutro, costretto formalmente da varie potenze mondiali - innanzitutto, anche dagli arabi - ad astenersi da ingerenze nella politica mondiale, eccezion fatta per il caso in cui occorresse mettere in salvo una minoranza ebraica in pericolo. [...] Il fatto che esista uno Stato ebraico indipendente nel mezzo del mondo arabo costituisce un ostacolo insormontabile per tutti quei politici arabi che auspicano la creazione di un blocco esteso dal Marocco al Pakistan. Uno Stato d'Israele neutro potrebbe essere accettato molto piu' facilmente. Per le grandi potenze il garantire l'esistenza di uno Stato d'Israele neutro, anche se per anni dovessero mantenere truppe lungo le sue frontiere, sarebbe di gran lunga preferibile al rischio di una nuova guerra nel Vicino Oriente, catastrofica per l'approvvigionamento del petrolio, oppure anche di una nuova guerra mondiale. Per il mondo ebraico, uno Stato d'Israele neutro sarebbe una benedizione. [...] La neutralita' permetterebbe a Israele di concentrarsi sulla sua autentica missione, non soltanto in termini finanziari ma in termini spirituali e in una maniera creativa: quella d'essere il centro d'ispirazione per la diaspora ebraica e di esercitare la funzione che, lungo l'arco dei secoli, fu svolta dalla religione. Cio' consentirebbe a Israele di continuare ad apportare il suo contributo secolare alla cultura universale e di garantirsi, in tal guisa, un avvenire conforme al carattere eccezionale del suo passato".