http://www.articolo21.org Quel giorno che Calvino e Guttuso guidarono il corteo “La Marcia è più di un congresso, perché tocca le case, si mostra al popolo, entra nel paesaggio stesso, è atto più che parola”. Con queste parole il 30 settembre 1961, pochi giorni dopo la prima edizione della Marcia della Pace Perugia Assisi, Aldo Capitini che ne era stato ideatore e promotore provava a spiegare i motivi del successo di un’iniziativa che metteva in discussione i modelli tradizionali dell’impegno politico, in bilico com’era tra la scampagnata e la processione laica. Eppure pochi ricordano come quella prima edizione della Marcia fino a poche ore dall’inizio sembrava davvero non dovesse svolgersi. I segnali erano veramente preoccupanti. I Prefetti di Perugia e Terni avevano vietato ai gonfaloni dei Comuni di sfilare, rispolverando una legge fascista. Il mondo cattolico, al cui coinvolgimento si puntava anche per la scelta di Assisi come luogo di arrivo della manifestazione, scricchiolava. La segreteria della Democrazia Cristiana di Perugia aveva fatto sapere di non partecipare perché” il concetto cristiano di pace è diverso da quello comunista”. Persino il locale aereo club aveva revocato l’autorizzazione ad un proprio iscritto per lanciare dall’alto materiale promozionale dell’iniziativa. Aldo Capitini, cultore da sempre della non violenza che aveva pagato con il carcere alle Murate di Firenze il suo rifiuto di iscriversi al partito fascista e la pubblicazione di un libro ispirato a Gandhi, temeva di veder svanire il sogno accarezzato da una vita del quale aveva parlato durante il regime con i suoi amici antifascisti Piero Calamandrei, Gaime Pintor, Norberto Bobbio. Poi, a poche ore dall’inizio, le preoccupazioni scomparvero. Il Comitato Organizzatore superò l’ostacolo della diffida prefettizia consigliando ai Comuni di sfilare, anziché con i gonfaloni, con semplici cartelli con il nome dell’Ente. “ La Marcia si ispira ad uno spirito francescano- osservò serafico Capitini- e non bastano certo le circolari prefettizie a sbarrare la grande marcia dell’umanità verso un avvenire di pace”. Il mattino del 24 settembre i partecipanti che si ritrovarono alle 8,00 per la partenza nei pressi del giardino del Frontone si accorsero subito di come la Marcia avesse superato le intenzioni stesse dei promotori. C’era una folla variopinta ed appassionata. Italo Calvino e Giovanni Arpino si misero con Capitini in cima al corteo. A loro si unirono ben presto intellettuali del calibro di Guido Piovene, Renato Guttuso, Arturo Carlo Jemolo. Quando il corteo scese da Peugia ed iniziò a percorrere la pianura umbra successe una cosa che pochi avevano previsto. Accadde che i contadini della zona, sensibilizzati anche dai partiti, si unirono alla Marcia, con i vestiti scuri della festa ed i cappelli di paglia per ripararsi dal sole. “ E’ fatta per loro questa Marcia- ripeteva Capitini- perché i contadini sanno camminare mentre sono a disagio nelle conferenze”. Quando il corteo arriva alla Rocca Maggiore si contano almeno 20.000 persone. I cartelli che i partecipanti mostrano sembrano scritti per oggi:” Tutto per il benessere di tutti” oppure “ la pace si assicura con la giustizia sociale” o ancora “ la scienza e la cultura al servizio del paese”. Gli oratori che si alternarono dal palco seppero parlare direttamente al cuore delle persone.” Questa Marcia ci voleva- disse Capitini- ed altre ancora ci vorranno per liberare i popoli dall’imperialismo, dal razzismo, dallo sfruttamento economico”. “ Questa manifestazione- tuonò Arturo Carlo Jemolo con voce possente- dovrebbe essere cara ad ogni cristiano; su di essa ogni credente dovrebbe invocare la benedizione divina”. Per ultimo intervenne Renato Guttuso le cui parole ispirate commossero la platea:” Italiani imitateci! Fate sentire la vostra voce, fate sentire che volete la pace. Fate che i vostri figli possano crescere sani e felici per assaltare l’avvenire”. |