Marco Ambrosini e Marco Graziotti Intervistano Giancarla Codrignani
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: Nella storia del Novecento la nonviolenza ha caratterizzato importanti esperienze, dalle lotte condotte da Gandhi dapprima in Sudafrica e successivamente in India, alle esperienze di resistenza nonviolenta contro il nazifascismo, alle lotte di Martin Luther King contro il razzismo, fino alla lotta di Aung San Suu Kyi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza alla storia degli ultimi cento anni?
- Giancarla Codrignani: Questi ultimi cento anni sono "la definizione" che posso fornire. Prima la nonviolenza, almeno come parola (anche se ancora il mio computer la sottolinea come errore), non c'era. Da poco, infatti, e' entrata nella storia come teoria e come pratica "di valore". Non ce ne rendiamo conto, ma prima il "valore", la "virtus" era l'onore della patria da difendere, cioe' la guerra, la sola previsione per la soluzione "onorevole" dei conflitti. Gli stessi "diritti umani", presenti gia' nell'esempio di Antigone, sono stati scritti nel diritto internazionale solo dopo la seconda guerra mondiale e, come e' noto, il Vaticano dal secolo XIX li contestava. Solo sul piano teorico, anche spicciolo, questa nuova filosofia di vita ha avuto corso e, per esempio, il 2 ottobre e' stato indicato come Giornata internazionale della nonviolenza. Ma quanti lo sanno e ne sentono l'importanza?
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e' intrecciata con varie tradizioni del pensiero politico, ha apportato contributi fondamentali, ed ha costituito e costituisce una delle esperienze maggiori della filosofia politica odierna. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero politico?
- Giancarla Codrignani: Detto oggi in Italia, direi che nel campo politico non c'e' troppo pensiero, figuriamoci poi se nonviolento; non solo per l'attenzione privilegiata del governo nel promuovere il mercato delle armi, la produzione degli F-35 e perfino la violenza del linguaggio. Confesso che, quando vedo il nostro ministro della Difesa, divento lombrosiana. Per gli altri paesi direi che piu' che di politici nonviolenti possiamo parlare di politici beneducati. Nonostante Martin Luther King abbia detto che la scelta attuale "non e' piu' tra violenza e nonviolenza, ma tra violenza e sopravvivenza", perfino la politica ambientale vive di timidezze e rinvii. La stessa necessita', pur percepita, della trasformazione di inusitata rilevanza a cui la storia ci sta sospingendo sembra non suscitare energie di innovazione che escludano il ricorso alle maniere forti. Nel 1961 Aldo Capitini decise di rompere gli indugi e passare all'azione dimostrativa organizzando la prima marcia Perugia-Assisi; oggi l'orizzonte del cinquantennio temo sia inevitabilmente "celebrativo". Perfino Benedettto XVI, che pure aveva menzionato la inusitata parola "nonviolenza", ha chiesto, dopo le violenze mortali verificatesi contro i cristiani, la difesa da parte degli stati, che mai hanno seriamente praticato la nonviolenza. Siamo lontani dalla condanna della guerra da parte di Giovanni XXIII come "assoluta demenza" (alienum a ratione). Anche l'"agenzia" cattolica specializzata, Pax Christi, certamente al primo posto nel sostenere le ragioni della nonviolenza, nonostante la costante, testarda coerenza di mons. Luigi Bettazzi che predica la nonviolenza non solo per cio' che ha attinenza con la guerra, ma per ogni situazione di vita, dalle discriminazioni delle coppie di fatto alle ragioni della laicita', non ha avuto in questi anni teologi che abbiano approfondito almeno il versante cristiano della questione.
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione nonviolenta si e' intrecciata anche con la ricerca e la riflessione sociologica, dando contributi rilevantissimi. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero sociologico e alla ricerca sociale?
- Giancarla Codrignani: Molti sociologi conducono le loro ricerche certamente basandosi su principi che potremmo benevolmente definire nonviolenti, ma senza saperlo e certamente senza riferimento ai principi fondativi della nonviolenza. Non tutti quelli che si dicono contrari alla violenza o disponibili alla riconciliazione e al perdono sono necessariamente nonviolenti, anche se ovviamente rappresentano ottimi alleati e possiamo menzionare tutto il settore "umanitario" come un ovvio riferimento al rigore che richiede, a mio avviso, la "scelta" nonviolenta. Per questo mi rammarico che non ci sia impegno filosofico, ma solo pratiche di buona volonta' (cose comunque buone, che sono la prima ad accettare a partire da me, mediazioni "politiche" comprese) opportune per una buona condotta, ma inadatte a cambiare il mondo. E' per questo, sempre a mio avviso, che il comportamento umano oggi e' certamente meno violento rispetto a cent'anni fa, ma non e' per questo in grado di influenzare l'avvenire. Se l'avanzamento scientifico produce bombardamenti a mezzo di aerei senza pilota e militari che, a distanza, come ragazzi con la playstation, digitano senza neppure pensare che stanno uccidendo, potro' mai pensare che la guerra cosi' diventi "umana"?
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La riflessione e le esperienze nonviolente hanno potentemente investito anche l'economia sia come realta' strutturale sia come relativo campo del sapere. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero economico?
- Giancarla Codrignani: La globalizzazione, lasciata alla sola economia, per giunta ridotta a finanza, senza internazionalizzare la cultura, produce disastri, non mi riesce di giudicare positivi tanti interventi innovativi. Perfino il no-profit ha dietro quasi sempre un profit che ricorre a un volontariato che sostanzialmente e' precariato. Una banca si potra' mai chiamare "etica", a prescindere dalle intenzioni? Ogni italiano ha sul collo 100.000 euro di debito pubblico e paga indirettamente 20/30.000 euro di servizio del debito, che i governi versano alle banche invece di destinarli a servizi. La forbice fra chi ha poco e chi ha molto si e' allargata, sia fra paesi ricchi e poveri, sia all'interno di ciascun paese. Non si tratta di violenza?
*
- Marco Ambrosini e Marco Graziotti: La teoria-prassi nonviolenta ha recentemente avuto uno svolgimento importantissimo nel campo del diritto e specificamente del diritto penale, con l'esperienza sudafricana della "Commissione per la verita' e la riconciliazione" e con le numerose altre iniziative e successive teorizzazioni che ad essa si sono ispirate. Come definirebbe e descriverebbe il contributo della nonviolenza al pensiero giuridico e alla pratica del diritto?
- Giancarla Codrignani: Sotto questo aspetto sono d'accordo nel ritenere straordinario l'avanzamento. Infatti, prima di questa svolta nel territorio della giurisprudenza (che consiste in Costituzioni, in Carte di diritti e nello statuto dell'Onu), tutto cio' che ruota attorno alla nonviolenza in senso lato era di pertinenza dell'etica, della religione (non sempre) e del diritto, ma limitatamente "ai delitti e alle pene". Si potevano menzionare Erasmo e Kant, ma il ricusare un'arma era vilta' e tradimento e la vendetta era spesso ritenuta giustizia. Tuttavia le carte dei diritti, se non vengono agite, sono come il decalogo e le convenzioni internazionali ratificate ma non tradotte in leggi nazionali valgono ancor meno. Per i nonviolenti c'e', dunque, molto da fare per veder applicati i diritti ormai definitivamente scritti. Sarebbe bene anche tenere d'occhio pedagogia, didattica e formazione, a partire dall'educazione permissiva di tanti genitori che impediscono ai figli le regole di convivenza e i doveri sociali che danno senso all'autocontrollo e al rispetto degli altri. Guardate che non sono pessimista: credo solo di essere consapevole che vivere nel 2011 non e' tanto avanti nella storia della nonviolenza...