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10/07/2011

Tav Torino-Lione, questione di (non) democrazia.
Cora Ranci Intervista Donatella Della Porta

Nonostante la forte opposizione delle comunità locali, il mondo politico è unanimemente per l’adozione di una politica di fermezza: “La Tav si deve fare”. È giusto che in una democrazia le decisioni vengano prese in questo modo?

Tra i vari problemi che la vicenda della Tav Torino-Lione solleva, quello politico sembra essere il più grave. I cittadini della Val di Susa non sono solo contrari alla costruzione della grande opera "nel loro cortile di casa", ma si fanno portatori di visioni diverse di modernità e di democrazia. Lo Stato centrale sembra saper rispondere solo con la militarizzazione della Valle. Ma è possibile una terza via? Donatella Della Porta, cattedra di Sociologia e Scienze Politiche all'Istituto Universitario Europeo di Firenze, in un'intervista a PeaceReporter analizza il problema e ne dà un'interpretazione.

Lei ha studiato i movimenti No-Tav, e i risultati delle sue ricerche sono stati pubblicati nel suo libro, scritto insieme a Gianni Piazza, dal titolo "Le ragioni del No. Le campagne contro la Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto" (Feltrinelli, 2008). Cosa chiede il movimento No-Tav?

Che le comunità locali si oppongano alla costruzione di grandi opere ad alto impatto sul loro territorio, è normale. Nel caso del movimento No-Tav, non c'è però solo la volontà di preservare il proprio territorio, ma anche e soprattutto l'elaborazione di una concezione diversa di modernità. Al progetto viene contestato un modo inefficiente di utilizzare risorse scarse: investire sull'alta velocità quando i servizi pubblici, a cominciare dai trasporti, subiscono dei tagli, è una politica miope. Inoltre, viene rilevata l'incapacità della Torino-Lione di produrre le ripercussioni positive in termini di sviluppo economico sul territorio di cui i promotori spesso parlano. Il movimento rivendica anche una diversa concezione di democrazia, come momento non solo decisionale, ma anche di confronto e discussione. Dallo sviluppo di una democrazia locale possono nascere proposte alternative molto interessanti, che meritano di essere prese in considerazione.

Siamo invece di fronte a una situazione in cui una decisione che modificherà per sempre la Val di Susa è stata presa senza il previo consenso di coloro che la abitano. È giusto che sia così? Cosa è successo?

Non è giusto che una decisione come questa, che impone costi davvero ingenti, venga imposta ad una comunità. Nel caso della Tav in Val di Susa, c'è stato un inghippo nelle procedure democratiche che riguarda la questione di quale livello territoriale ha la capacità e le competenze per intervenire sulle decisioni. C'è una tensione centro-periferia, che si traduce nella domanda: quali poteri vanno accentrati, e quali decentrati a livello locale? Abbiamo gli amministratori locali, in larga parte schierati con le loro popolazioni contro il progetto. Il livello nazionale, che contesta le competenze del livello locale e scarica le responsabilità appellandosi all'Europa. E infine il livello comunitario, molto meno trasparente. 

Non è possibile trovare una terza via per ricomporre la questione?

La terza via da intraprendere dovrebbe essere quella della democrazia partecipativa, ovvero della moltiplicazione dei canali di intervento dei cittadini. Dai referendum agli istituti di gestione, le democrazie rappresentative si sono sviluppate prevedendo forme di partecipazione più ampie, per legittimarsi di volta in volta. Democrazia vuol dire creare degli spazi dove i cittadini che vengono investiti dei costi delle decisioni possano avere la possibilità di partecipare, di dire la loro su come le decisioni vengono prese.

Perché in Val di Susa non si è intrapresa la terza via?

Nel caso della Tav Torino-Lione, quando si è tentato di mettere in piedi esperimenti di democrazia partecipativa, era ormai venuta meno la fiducia tra le parti. La radicalizzazione del conflitto ha impedito la ricerca di canali di mediazione, che hanno bisogno di tempo e flessibilità per essere trovati. Mi sembra che ora sia troppo tardi: la forte resistenza del movimento NoTav ha reso il progetto politicamente irrealizzabile. Non è possibile imporre costi così alti senza il consenso della comunità.

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