http://www.medicinademocratica.org
Thu, 25 Aug 2011 15:02:49 +0200
Autoconvochiamo gli “Stati Generali dei Beni Comuni” e Proponiamo il “Manifesto” ad una Ampia “Alleanza” fra le Forze Sociali
di Lino Balza Medicina Democratica Movimento di lotta per la salute
Siamo fermi. Dobbiamo ripartire. Come movimenti, dobbiamo farci un’autocritica se il governo, con la complicità delle opposizioni e dei sindacati, si sta facendo beffe dell’esito referendario tramite la riproposizione tale e quale della messa in gara dei servizi pubblici locali (rifiuti, trasporti, energia, eccezione apparente l’acqua), e svendendo il nostro patrimonio collettivo i beni pubblici sociali (Mattei)- che la sovrana volontà popolare, con 27 milioni di voti, ha invece sancito debba essere governato in termini ecologici, sociali e sostenibili, nell’interesse comune, e non espropriato. Ferme le responsabilità bipartisan di inaudita gravità politica giuridica e costituzionale, che vanno denunciate in tutte le forme di lotta possibili, i movimenti dei beni comuni dovrebbero però interrogarsi sui propri limiti che hanno favorito in pochi mesi il tentativo di svuotamento dell’esito epocale dei referendum. E porvi rimedio. Tramite due strumenti: organizzazione e programma.
Già all’indomani del voto c’è stato chi, fra noi, ha posto l’esigenza di una organizzazione stabile di tutti i movimenti. Sulla base di un “MANIFESTO DEI BENI COMUNI” (Lucarelli). Petrella ne ha perfino coniato la denominazione: “STATI GENERALI DEL GOVERNO DEI BENI COMUNI” . Però l’organizzazione è sempre stata il tallone d’Achille dei movimenti. Non è che ne siamo incapaci. Anzi. A novembre, ad esempio, abbiamo organizzato, improvvisando via internet, una vivacissima giornata contro il nucleare in un centinaio di località italiane, auto convocazione che ha posto le basi per la mobilitazione referendaria. Oppure pensiamo alla trionfale organizzazione del popolo dell’acqua: strutturata a livello nazionale e articolata localmente. E all’eroica resistenza dei No Tav, e non solo in Valsusa, e ai No Dal Molin e ai tantissimi altri esempi consolidati negli anni.
Esiste infatti un immenso ma disperso patrimonio di “democrazia partecipata” composto da mille vertenze sul territorio che si stanno scontrando con i poteri economico e politico, un patrimonio di movimenti ambientalisti, civici, non violenti, pacifisti, che però non hanno spiccato il salto di qualità. Sono sì innervati in una serie di formidabili reti nazionali (acqua pubblica, rifiuti, inceneritori, ogm, elettrosmog, nucleare, tav, grandi opere, pace, grillo, amianto, sanità ecc.) tutte, di fatto, convergenti su un comune alternativo modello di sviluppo e di politica che, di fatto, è un vero e proprio programma nazionale, però sono da sempre senza una esplicita piattaforma comune, senza la spina dorsale di un coordinamento, senza mezzi di comunicazione unitari, con interne difficoltà e resistenze al collegamento e all’unità, dunque sempre sull’orlo della sconfitta epocale. Insomma: una forza politica straordinaria e inespressa. Si è finalmente espressa con i referendum. Poi si è di nuovo fermata.
Eppure, dopo il referendum, nessuno, nessun partito o sindacato, se non il movimento dei movimenti sarebbe in grado credibilmente di opporre alla “manovra” di macelleria sociale (M. Bersani) una contromanovra di alternativa economica e democratica: tasse sui patrimoni e le rendite, tagli alle spese militari, alle grandi opere e Tav, sviluppo della green economy, energie rinnovabili, riciclo rifiuti, mobilità sostenibile, agricoltura biologica, lotta al precariato, sostegno alle pensioni più basse, recupero del fiscal drag, reddito di cittadinanza, diritto alla salute ecc. (Sbilanciamoci).
Dunque è dimostrato che a livelli settoriale e locale esiste, enorme, una potenzialità auto organizzativa pari a quella propositiva , però che ci sono dentro i movimenti prudenze esagerate, paure, anche resistenze culturali a capire la valenza strategica di darsi una organizzazione stabile a livello nazionale, addirittura resistenze miopi impastate di autosufficienza e separatezza, oltre alle ostilità ideologiche. Si è perfino stentato ad ammettere che ciascun quesito referendario sarebbe stato perdente se scollegato dagli altri.
L’affermazione a giugno dei referendum ha illuso molti di noi che fosse finalmente giunto il momento di costruire una organizzazione nazionale stabile, sapendo che nessun partito è in grado di rappresentare le istanze del movimento o solo di contrastare i prevedibili stravolgimenti post referendari. “Usciamo subito da Roma,” fu proposto “ facciamo della Valsusa la sede ufficiale dei comitati dei beni comuni, per un modello alternativo di sviluppo e democrazia”. A qualche mese di distanza, lo spirito di quell’appello rimane valido. Restano valide le affermazioni fatte: “Con lo straordinario avvenimento politico del referendum ha trionfato un nuovo modello di fare politica… la fine di un ciclo politico e culturale… è nato un nuovo laboratorio politico… il conflitto, la partecipazione e i beni comuni sono le nuove categorie per la nascita di nuove soggettività politiche fuori e oltre il sistema dei partiti”. Resta dunque valida l’opportunità allora avvertita di impegnarci per un” MANIFESTO DEI BENI COMUNI”. Resta valido l’obbiettivo che gli “STATI GENERALI DEL GOVERNO DEI BENI COMUNI”, o come altrimenti si vuole chiamarli, “siano il primo e rapido atto costituente del popolo dei beni comuni”. Ebbene, convochiamo questi Stati generali, autoconvochiamoci! Di lì, in piena autonomia, tenteremo di costruire una “ALLEANZA PER I BENI COMUNI” (Giustini) cercando di coalizzare in un patto forze sociali, sindacali e politiche, centri sociali, circoli culturali, associazioni civiche, studentesche, reti, imprese sociali ecc. (Viale) .
Autoconvochiamoci. Chi è d’accordo alzi la mano (via internet). Ci siamo già riusciti, ripeteremo il miracolo.
Abbiamo i programmi alternativi e gli uomini e le donne, ci manca l’organizzazione. Con l’organizzazione poniamo le basi per la creazione dal basso di una nuova classe dirigente che faccia fuori l’insopportabile occupazione del potere a tutti i livelli amministrativi e statali. Non siamo velleitari: proponiamoci solo di porre le basi. Nessuno vorrebbe abolire i partiti. Rivoltarli come un calzino, sì.
Pensare globalmente e agire localmente: abbiamo sempre detto, però più che mai è tempo che la dimensione locale diventi quella nazionale. Come indirizza l’esito dei referendum. Se invece continuiamo a ragionare per compartimenti stagni, ognuno curando il proprio “bene comune”, non faremo molta strada, né globalmente né localmente. Saremo perdenti se non difendiamo, conquistiamo tutti i “beni comuni”. “Beni comuni” sono l’acqua, i servizi pubblici, l’aria, le energie, zero rifiuti, ma anche la salute, la sanità pubblica, i saperi, l’istruzione, ma anche il territorio, le fonti non rinnovabili, la vita del pianeta, gli ecosistemi, la biodiversità, ma anche il lavoro, la casa, il cibo, la sociodiversità, le relazioni sociali. Gli strumenti di conquista sono, dal basso, la partecipazione e la democrazia. Complessivamente, la difesa e la conquista , la riappropriazione e la messa in comune di questi “beni comuni” significano la conquista e la costruzione di un modello alternativo di politica e di sviluppo, alternativo all’espropriazione-privatizzazione capitalistica dei beni e dei luoghi comuni materiali e immateriali che si avvale (la “manovra”) della stessa provocata crisi economica e sociale per accrescere precarietà, povertà e profitti. Se tale è il progetto che ereditiamo dai referendum, non dobbiamo perdere tempo in compartimenti stagni, a lavorare separatamente chi per l’acqua, chi per le fonti rinnovabili, chi per i rifiuti ecc. Organizziamo la partecipazione, la democrazia. Organizziamoci, senza fonderci, conservando la propria specificità. Ma organizziamoci.