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18 luglio 2011

In ricordo di mio figlio che oggi avrebbe 33 anni
di Giuliano Giuliani

20 luglio 2001. Piazza Alimonda. Ore 17.25. I due defender che precedono in retromarcia la fuga precipitosa di una compagnia di carabinieri si ostacolano a vicenda. Uno si sgancia, l’altro si ferma contro un cassonetto dell’immondizia. Sul retro ci sono quindici o sedici persone, a poca distanza un’intera compagnia di carabinieri che non interviene a difesa della jeep. Tra i manifestanti, uno ha in mano un’asse di legno, tre sono fotografi. Nelle fotografie sembrano tutti vicinissimi, perché ci sono zoom che riducono distanze di diversi metri a poche decine di centimetri. Un manifestante raccoglie da terra un estintore e lo lancia verso il defender. Non produce danni: una pedata lo spinge via e lo fa rotolare a quattro metri di distanza. Carlo è giunto fra gli ultimi dalle parti della jeep, e ha visto la pistola impugnata da tempo, caricata, accompagnata da grida minacciose (“vi ammazzo tutti”). Si china a raccogliere l’estintore: chi lo conosce può solo dedurre la sua intenzione di difendere gli altri e se stesso dalla minaccia. La Beretta calibro 9 spara due colpi in rapida successione. La mano che la impugna è piegata, dicono che così si controlla meglio la direzione del colpo. Braccio e canna dell’arma sono orizzontali, paralleli al suolo.

Nessun calcinaccio che devia il proiettile, come asserisce l’imbroglio dei consulenti avallato dal pm e dal gip. Carlo rotola verso la jeep che ingrana retromarcia, passa due volte sul suo corpo e si allontana in quattro secondi uscendo di scena. Poi, due minuti dopo, un folto cordone cintura la scena, un carabiniere spacca la fronte di Carlo con una pietrata. per cercare di mettere in campo un vergognoso tentativo di depistaggio, inscenato da un vice questore che insegue un manifestante “reo” soltanto di gridare “assassini” all’indirizzo dei militari (ricordate: “Bastardo, l’hai ucciso tu col tuo sasso”).

Ecco. Dieci anni non cancellano la verità. L’omicidio di Carlo è stato archiviato, non importa che fosse l’episodio più violento e più tragico di quelle giornate. I processi che si sono celebrati hanno invece rivelato le pesanti e gravi responsabilità delle catene di comando: dalle cariche ingiustificate e violente dei reparti dei carabinieri in via Tolemaide; al falso ideologico, calunnia, arresti illegali, reati compiuti dalle massime autorità della polizia alla Diaz; alla induzione alla falsa testimonianza commessa dall’allora capo della polizia De Gennaro, come hanno affermato le sentenze di secondo grado. Il terzo grado di giudizio ritarda, oscene manovrette puntano alla prescrizione (cambi di indirizzi degli imputati, mancato ricevimento degli atti). Non hanno fatto ritardo le promozioni. Tutti tranne uno (il vice questore che parlò, riferendosi alla Diaz, di “macelleria messicana”), ai gradi più alti: se la Cassazione confermasse la sospensione dai pubblici uffici per cinque anni, i vertici della polizia sarebbero decapitati. I carabinieri promossi di grado non corrono questo rischio: nessuno dei responsabili di piazza Alimonda e delle cariche ingiustificate in tutte le altre circostanze è stato mandato sotto processo.

Naturalmente, non si è voluto indagare sulle responsabilità politiche. Si è trattato di una scelta bipartisan: all’epoca del governo Prodi la commissione parlamentare d’inchiesta fu bocciata alla Camera per il voto contrario di due esponenti della maggioranza (Udeur e Idv), l’assenza di altri due (un socialista e un radicale) e l’astensione del presidente della commissione, l’on. Violante. Ed è altrettanto grave, perché rafforzare l’impunità dei responsabili di una condotta violentemente repressiva delle forze dell’ordine significa indebolire le garanzie democratiche. Significa non rispondere alle domande, a volte persino angosciate, di quei poliziotti che non vogliono essere confusi con quelli che indossando la stessa divisa massacrano 93 persone alla Diaz. Per questa ragione, il 20 luglio saremo in Piazza Alimonda anche quest’anno, perché crediamo che sia innanzi tutto il nostro dovere: non solo il ricordo di Carlo, ma un impegno per il rispetto dei diritti e delle regole democratiche.

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