(Felice Fortunaci, “La Depressione, la Distruzione Creatrice e la Guerra”, da “Megachip” del 18 dicembre 2011).
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Depressione in arrivo: è la madre delle guerre mondiali Christine Lagarde, direttrice del Fmi, va nel solco di quanto detto più volte negli ultimi tempi anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Due fra le figure istituzionali più potenti del mondo hanno dato via libera al ritorno della parola Depressione, e a tutte le paure economiche e politiche da essa richiamate. Chi ha responsabilità pubblica a quel livello non accenna alla “possibilità” di un depressione se non c’è la concreta prospettiva di una “reale” depressione. La depressione, a differenza della recessione, non si presenta come una fase “ciclica” fra le tante del sistema capitalistico. È invece una notevole flessione di lungo periodo nelle attività economiche, per giunta in più economie di vari paesi. Le preoccupazioni che nascono da una recessione vengono lenite dall’invocazione di una “ripresa”. Quando questa “ripresa” viene attesa invano come il Godot di Beckett in un mare di frasi assurde, allora è pienamente una “depressione”. Soprattutto se alla durata interminabile si accompagnano incrementi massicci e anomali dei tassi di disoccupazione, drammatiche strette creditizie collegate a crisi bancarie e finanziarie sistemiche, cali produttivi, fallimenti non solo di privati ma di debiti sovrani, nonché riduzioni nel commercio internazionale. Più la deflazione. Ecco, la depressione: è uno scenario che sconvolge assetti politici e ne crea di nuovi. L’ultima volta in Occidente portò a tassi del 30% di disoccupazione, e al diffondersi dei fascismi. Come se ne uscì è controverso nella storia disegnata dagli economisti, anche se molti pensano che avesse ragione Schumpeter. Si organizzò una “distruzione creatrice” (quando si dice “si” organizzò non ci si immagini qualcuno che fa piani segreti: si arrivò per la forza delle spinte cieche degli interessi e delle dinamiche intrinseche ai sistemi geografici, politici, economici e culturali). La distruzione fu la Seconda Guerra Mondiale, la creazione furono i successivi gloriosi trent’anni, quel periodo che va dal 1945 al 1975 (o poco prima). Identificare se si tratti di recessione o depressione cambia la percezione delle cose. Se ci illudiamo che sia recessione avremo anche noi quella sorta di fiducia messianica («tanto poi le cose s’aggiustano») che va da Mario Monti a Vendola, fino a insinuarsi addirittura in chi anima i Comitati No Debito. Se invece interpretiamo quel che accade con lo schema della depressione economica, le implicazioni sono molto più spaventose. S’impone infatti un problema grosso ed imminente: la sparizione del lavoro e del reddito, la base stessa della cittadinanza. Un problema sistemico, che le ideologie neoliberali aggravano, ma che si pone come un enigma irrisolto anche per chi critica il sistema economico e politico. La macchina non funziona più, e non funziona per tutti. La Grande Depressione che seguì il 1929 fu effettivamente risolta solo con la II Guerra Mondiale, non con il keynesismo, che venne attuato dopo, nei primi decenni del ciclo sistemico di accumulazione statunitense aperto da Bretton Woods. La Grande Depressione del 1929 era il secondo atto della crisi sistemica del ciclo di accumulazione ad egemonia britannica. La crisi di questo ciclo iniziò con la Grande Depressione 1873-1896, che sfociò nella finanziarizzazione della Belle Époque e poi nella I Guerra Mondiale (preludio alla seconda). Il concetto di distruzione creatrice di Schumpeter è stato visto tipicamente come un fatto economico. Si distrugge, così si può ricreare: si distrugge il vecchio così si può creare il nuovo, ad esempio con l’innovazione. Ma ha anche un’altra valenza (che però era solo implicita nell’economista Schumpeter): è anche una distruzione di un assetto geopolitico mondiale per dar luogo a un assetto differente. In entrambi i casi si ha a che fare con il meccanismo, vitale per il capitalismo, di «conquista di “esternalità”». Queste esternalità sono nella Società (forza-lavoro), nella Natura (trasformata in innovazione di prodotto), ancora nella Natura per accaparrarsi le materie prime, nella Geografia per conquistare mercati e risorse. Ebbene, oggi queste esternalità sono in evidentissima crisi. Scarseggiano. Sono insufficienti per limiti naturali (picco del petrolio, inquinamento, etc.), difettano per via di limiti geopolitici (enormi spazi geografici e quindi naturali sono sotto la giurisdizione di enormi stati-nazione continentali, India, Cina, Russia, Brasile, e delle loro aree d’influenza). Per farla breve, se vogliamo fare un paragone, con le bolle di Reagan-Clinton (bolla finanziaria e bolla new economy) abbiamo vissuto una seconda Belle Epoque finanziaria. Poi le bolle sono scoppiate. Hanno tentato di rigonfiarsi succhiando dai debiti sovrani. Dopo l’11 settembre 2001 è come se fossimo arrivati alla I Guerra Mondiale (Afghanistan, Iraq, Libia, Yemen, Somalia, Siria, e il resto della tabella di marcia del Pentagono spifferata dal generale Wesley Clark). E allora, quant’è grande ed estesa questa Depressione? Ogni crisi sistemica è in scala più alta delle precedenti; ogni crisi sistemica ha bisogno di maggiori risorse delle precedenti per essere risolta capitalisticamente; ogni crisi sistemica ha però a disposizione minori risorse fisico-socio-geografiche delle precedenti. Ne segue che potremmo essere di fronte ad una III Guerra Mondiale prima di quanto si possa pensare. O si affronta di petto il problema assieme a chi ne è più consapevole, oppure faremo solo i buoni samaritani movimentisti. Nessun proposito politico ed economico può ignorare in quale quadro geopolitico andrà a collocarsi. Richard K. Moore avverte: «È una scacchiera multi-dimensionale e, con una posta in palio cosi alta, si può esser certi che il tempismo delle varie mosse sarà attentamente coordinato. E dalla forma complessiva della scacchiera, sembra che ci avviciniamo alla fine del gioco».
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