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EL PAÍS MADRID 25 febbraio 2011

L’Europa inventa la dottrina zero
di José Ignacio Torreblanca
traduzione di Andrea Sparacino

Mentre i popoli della sponda meridionale del Mediterraneo lottano per riconquistare la propria dignità, noi europei dilapidiamo la nostra come se niente fosse. In politica estera il termine dottrina definisce l'intenzione di raggruppare sotto uno stesso principio di attuazione una serie di avvenimenti che presentano problematiche simili. Nel 1947 il presidente americano Harry Truman annunciava che il suo governo avrebbe sostenuto "i popoli liberi che resistono ai tentativi di soggiogamento da parte di minoranze armate o pressioni esterne".

Nel 1968 la dottrina Breznev consentiva all'Unione sovietica di intervenire militarmente per ripristinare l'ordine socialista nei paesi dell'Europa centro-orientale. Il sigillo alla conclusione delle guerra fredda arrivò nel 1989, quando il portavoce di Gorbaciov, interrogato a proposito della dottrina Breznev in relazione alle riforme democratiche in Ungheria e Polonia, rispose inaspettatamente dicendo che in primo luogo sarebbe stata valida la "dottrina Sinatra", alludendo alla canzone "My way" (A modo mio). Da quel momento nella regione si innescò un effetto domino democratizzatore.

Oggi l'Unione europea, anziché elaborare una dottrina per rispondere alle rivoluzioni arabe, avanza in punta di piedi in mezzo ai tumulti. La dottrina dell'Europa non ha un nome, a causa di una clamorosa mancanza di leadership a tutti i livelli: nelle capitali, dove i governanti si guardano l'un l'altro con la coda dell'occhio e nessuno vuole essere il primo a scommettere sul cambiamento; e a Bruxelles, dove neanche Catherine Ashton ha voluto prendersi alcun rischio. La crisi attuale avrebbe potuto essere per Ashton un'opportunità di reinventarsi, invece la baronessa ha accettato con totale sottomissione di essere un semplice portavoce di ciò che i ventisette decretano all'unanimità, per cui non ci sarà una "dottrina Ashton".

Inoltre la dottrina dell'Europa non ha neppure un contenuto, perché i nostri leader vogliono tutto in cambio di niente: protestare senza disturbare, influire senza ingerire, condannare senza sanzionare, aiutare senza rischiare, partecipare senza pagare. Come se non bastasse, continuando con l'atteggiamento ipocrita che hanno tenuto fino a questo momento, non cercano nemmeno di nascondere che ciò che li preoccupa realmente sono le questioni dell'immigrazione e delle forniture energetiche. Imitando il miracolo della coca cola senza zucchero né caffeina, l'Europa ha inaugurato la "dottrina zero": cambiamenti in cambio di niente.

La tesi di Gheddafi

Per mettere in piedi una dottrina si potrebbero utilizzare i principi esposti da Saif el Islam, l'inquietante figlio di Gheddafi, nella sua tesi di dottorato sostenuta nel 2007 alla London School of Economics con l'incredibile titolo "Il ruolo della società civile nella democratizzazione delle istituzioni della governance globale". Saif rievoca una distinzione fatta dal filosofo del diritto John Rawls: da un lato ci sono le società "bene ordinate", che pur non essendo del tutto democratiche sono pacifiche, i cui leader godono di una certa legittimità nei confronti dei cittadini e rispettano i diritti umani; dall'altro ci sono i regimi "fuorilegge" e le società "inique", che violano sistematicamente i diritti umani e che, di conseguenza, devono essere sottoposte a pressioni e sanzioni, negando loro aiuti di qualsiasi tipo e congelando i legami economici.  

Scrive Saif el Islam a pagina 236 della sua tesi (riferendosi all'islamismo radicale): "questa tesi dimostra la propria conformità con l'idea di Rawls secondo cui non bisogna lasciare che gli stati fuorilegge agiscano liberamente". E conclude a pagina 237: "l'isolamento e l'eventuale trasformazione forzata degli stati fuorilegge è di importanza vitale per la stabilità globale".

Dobbiamo dunque applicare i principi di Rawls (sostenuti già dalle Nazioni unite con il concetto di "responsabilità di proteggere") e fare una distinzione chiara tra coloro che in questi giorni fanno ricorso alla violenza contro la società e quelli che dialogano con l'opposizione. Anche se i ventisette sembrano non essersene ancora resi conto, gli eventi in Libia rappresentano un salto di qualità [nelle violenze] che dev'essere contrastato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu con dure sanzioni, una zona di esclusione aerea, l'apertura immediata di un procedimento davanti alla Corte penale internazionale e il congelamento di tutti i beni all'estero della famiglia Gheddafi. La Libia è uno stato fuorilegge, quindi trattiamolo come tale.

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