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Scritto il 25/11/11

Missili, alba di guerra: Mosca si prepara a difendere la Siria

Missili russi S-300 per difendere la Siria da un attacco occidentale, motivato da ragioni “umanitarie” e giudicato ormai imminente. Se Damasco rappresenta l’anticamera dell’assalto finale all’Iran, da Mosca arriva l’avvertimento più esplicito: giù le mani dalla Siria. Rimasta passiva nella guerra in Iraq e poi nell’operazione che in Libia ha condotto alla caduta di Gheddafi, stavolta la Russia non resterà alla finestra: «Mosca considera un attacco occidentale contro la Siria come una “linea rossa” che non tollererà», riferisce Arutz Sheva sul giornale londinese in lingua araba “Al Quds Al-Arabi”, citando fonti siriane e russe e confermando le notizie delle ultime ore: la marina da guerra di Mosca è già in Siria e sta trasferendo a Damasco importanti installazioni missilistiche contro una eventuale “no fly zone”.

«Ora sappiamo che cosa stavano trasportando quelle sei navi da guerra russe, che a quanto è stato riferito sono entrate nelle acque territoriali siriane la scorsa settimana», scrive Paul Watson sul newsmagazine “Prison Planet”: «Oltre a rappresentare una dimostrazione di forza per scoraggiare le potenze della Nato dal lanciare un attacco militare, a bordo vi erano esperti strategici e militari russi pronti ad aiutare Damasco a far funzionare un sofisticato sistema di difesa missilistica vendutogli da Mosca». Le navi da guerra russe che hanno raggiunto le acque al largo della Siria negli ultimi giorni, scrive “Al Quds Al-Arabi” il 24 novembre,  stavano trasportando tecnici russi destinati ad assistere i siriani nell’installazione di batterie di missili terra-aria S-300 che Damasco ha già ricevuto.

Missili antiaerei, che fungono anche da “scudo” anti-missile: gli S-300, che sembrano destinati a «prevenire un possibile attacco» da parte della Nato, sono moderni dispositivi balistici a lungo raggio, concepiti per proteggere complessi industriali e militari di grandi dimensioni; possono sventare attacchi provenineti da aerei nemici e anche da missili da crociera. «Il sistema – scrive Watson nella sua segnalazione, ripresa da “Megachip” – è  ampiamente considerato come uno dei più potenti sistemi anti-aerei nella guerra moderna, dato che è in grado di monitorare fino a 100 bersagli e affrontarne 12 alla volta».

La Russia ha recentemente cercato di vendere lo stesso sistema all’Iran, ma l’operazione – spiega Watson – è stata interrotta dopo le pressioni degli Stati Uniti e di Israele. «Armare la Siria con un così efficace mezzo di difesa aerea – aggiunge “Prison Planet” – non sarebbe ovviamente di buon auspicio per ogni potenziale “no fly zone” in programma da parte delle potenze occidentali». La guerra intanto si avvicina, innanzitutto attraverso l’ormai consueta pressione mediatica: diversi articoli sono stati fatti circolare nel corso dell’ultima settimana, segnalando che alcuni caccia provenienti dalla Turchia e da altri stati islamici sarebbero «presto entrati nello spazio aereo siriano» sotto pretesti “umanitari”, «con l’aiuto logistico degli Stati Uniti».

Insieme ai missili, aggiunge Watson, il rapporto afferma che la Russia ha installato sistemi radar avanzati presso tutte le principali installazioni militari e industriali siriane. Il sistema russo di allertamento radar copre anche le aree a nord e a sud della Siria, dove sarà in grado di rilevare il movimento di truppe o di aeromobili in direzione del confine siriano. «Gli obiettivi dei radar comprendono gran parte di Israele, così come la base militare di Incirlik in Turchia, che viene utilizzata dalla Nato», afferma il reportage di “Al Quds Al-Arabi”, confermando l’imponente dispiegamento difensivo col quale Mosca si sta preparando a proteggere la Siria, come ai tempi della Guerra Fredda.

Dal canto suo, l’Europa conferma: il ministro degli esteri francese Alain Juppé ha assicurato alle forze siriane di opposizione che le potenze della Nato stanno progettando di lanciare un intervento militare inteso a imporre «corridoi umanitari o zone umanitarie» motivate, sul modello libico, dalla protezione dei civili dai presunti abusi del regime al-Assad, accusato di una feroce repressione, con migliaia di morti rimasti sul terreno negli ultimi mesi. Per contro, il regime di Damasco ribalta le accuse: secondo Assad, le proteste poi degenerate in scontri sarebbero state abilmente orchestrate con anche l’impiego di reparti paramilitari, con l’obiettivo di destabilizzare la Siria e demonizzare l’establishment secondo il copione della “primavera araba”.

La Libia insegna: la prospettiva di attacchi aerei lanciati al riparo dell’alibi “umanitario” è vista come sempre più probabile: la portaerei Bush ha lasciato lo Stretto di Hormuz per avvicinarsi alle coste siriane, e nelle ultime ore si sono intensificate le tensioni dopo che l’ambasciata Usa a Damasco ha invitato i suoi cittadini a lasciare la Siria «immediatamente», mentre il ministero degli esteri della Turchia ha chiesto ai suoi concittadini che lavorano nella penisola arabica di «evitare di attraversare la Siria». L’attacco a Damasco, avverte Watson, potrebbe semplicemente essere un antipasto per l’attacco vero, quello contro l’Iran, perché Teheran ha promesso di difendere il suo alleato.

Il Mediterraneo sembra dunque sul punto di incendiarsi, mentre il mondo è distratto dalla catastrofe della crisi finanziaria globale. Nel mirino, ancora e sempre, il paese degli Ayatollah, contro cui Israele medita un devastante raid aereo, come ammesso dallo stesso presidente, Shimon Peres. L’aviazione di Tel Aviv è dotata di armi atomiche, e lo Stato ebraico teme che Teheran possa a sua volta attrezzarsi per fabbricare ordigni nucleari. Attualmente il fuoco è concentrato sull’alleato confinante, la Siria, che sembra destinato a fungere da detonatore. Ma stavolta, clamorosamente, torna in campo la potenza nucleare ex-sovietica: se finora ha tenuto un basso profilo, domani Mosca potrebbe pesare in modo decisivo sulla pericolosa evoluzione della crisi che minaccia il Mediterraneo e il Medio Oriente. E che, secondo il professor Michel Chossudowsky del Global Research Institute, sarebbe più corretto chiamare Terza Guerra Mondiale.

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