http://www.nena-news.com Daraa, La Scintilla della Protesta Daraa (Siria), 26 marzo 2011, Nena News Da questa cittadina rurale, a maggioranza sunnita tradizionalmente conservatrice e con tradizioni tribali al confine con la Giordania, invece che dalla Damasco della borghesia e dell’intellettualita’, e’ partita la scintilla della rivolta che si sta propagando ad altre aree del paese. A Daraa anche oggi, per l’ottavo giorno consecutivo i cittadini sono scesi in piazza e queata citta’ ha pagato il piu’ alto tributo di sangue: secondo fonti mediche dall’inizio della rivolta le vittime uccise dalla polizia sarebbero almeno 40, secondo attivisti e residenti arrivano a 250. Nel tentativo di calmare la tensione, le forze di sicurezza, intervenute pesantemente negli scorsi giorni, sono ora stazionate fuori dal centro abitato. Ma continuano a non lasciare entrare in citta’ i giornalisti. Anche oggi chi ha tentato e’ stato respinto. Per questo si tenta di partire da Damasco con un pullman di linea con la scusa in caso di dirigersi a Bosra, vicina localita’ turistica dove si trovano i resti di un anfiteatro romano. Avvicinandosi a Daraa il traffico si fa sempre piu’ rado ed il paesaggio piu’ verde, con campi di ulivi, grano e greggi di pecore. La terribile siccita’ che da 5 anni colpisce la Siria ha provocato il trasferimento di migliaia di persone dall’est desertico verso aree agricole, come Daraa, appesantendo le condizioni economiche dei residenti, ed anche questa ragione e’ alla base della protesta. A tre km dalla citta’ s’incontra un appostamento di soldati ma senza blindati, lasciano passare il pullman senza effettuare alcun controllo. Appena giunti alla stazione dei pullman di Daraa, Basil, l’autista, si sente al sicuro e non ha piu’ inibizioni: “A Daraa hanno ucciso 250 persone. Bisogna dire al mondo quello che vedete. Good luck, you are my best friends”. Lungo la strada principale manifesti di Bashar Al-Asad, il presidente, stracciati: una scena inimmaginabile solo due settimane fa, prima che il muro della paura venisse squarciato anche purtoppo con il sangue delle vittime di Daraa. Il tassista mostra la sede del ministero di giustizia, uno dei simboli del potere e della corruzione incendiato dai manifestanti domenica scorsa insieme con la sede dal partito Baath, al potere dal 1963, e con gli uffici della compagnia telefonica di Rami Makhlouf, milionario cugino del presidente. Prima tappa in un ristorante in via Ananu, strada che ora i residenti di Daraa vogliono intitolare a Mahmoud Jawabra, la prima vittima, il primo martire “shahid” (martire) della rivolta. Nel giro di qualche minuto si raccoglie intorno una piccola folla che vuole parlare, raccontare, far sapere. Samer, 32 anni, lavora nel ristorante di fronte ma da una settimana ha chiuso per partecipare alla rivoluzione, thawra. “Noi chiediamo hurryat, liberta’. Vogliamo vivere senza la paura di essere sempre controllati. Non si possono arrestare 20 ragazzini perche’ hanno scritto dei grafiti contro il governo. Una settimana fa siamo scesi in piazza come in Tunisia ed in Egitto per chiedere hurryat, liberta’ e la fine della corruzione. La polizia ha ucciso 4 di noi. Il giorno dopo ci sono stati i funerali, di nuovo hanno sparato, altre vittime. Qui c’e’ la rivoluzione, fai foto, mostralo. Hanno bloccato internet, i cellulari non funzionano, per comunicare dobbiamo utilizzare i numeri giordani.” Improvvisamente tutti escono in strada, sfila un piccolo corteo, un centinaio di persone, soprattutto giovani, le uniche due donne presenti non portano il velo. Tanti mostrano il segno V della vittoria con le due dita. Dicono di fare foto, di non avere paura, a Daraa non c’e’ piu’ la polizia segreta, mokhabarat. “Festeggiamo la vittoria della rivoluzione. Ora dobbiamo andare avanti. E da Daraa la rivolta deve trasmettersi alle altre citta’ della Siria” continua Samer. “Chiediamo democrazia, il Baath e’ l’unico partito al potere da 50 anni. Maher al Asad, fratello del presidente e capo delle guardie presidenziali, ha detto che vuole fare di Daraa la nuova Hama”, riferendosi alla citta’ sede rivolta islamista che Hafez al Asad, padre di Bashar, ha represso con un massacro nel 1982. “Bashar al-Asad deve andare via”, dice Abdelkarim, l’anziano gestore del ristorante, che vuole assolutamente offrire il te’. Segno che mentre all’inizio delle contestazioni il popolare presidente non era un obiettivo, dopo questi morti le richieste, a Daraa, sono cambiate. Eyal, una delle vittime di questi giorni, lavorava qui. Abdelkarim ha fretta di chiudere per andare alla manifestazione. Verso il centro si passa il viale dove sono state uccise le prime vittime. Tutti i negozi sono chiusi, tutta la citta’ sembra partecipare compatta alla rivolta. La moschea Omari e’ un vecchio edificio di pietre nere nel centro storico. Qui nelle prime ore di mercoledi’ la polizia ha tentato di irrompere all’interno dove si trovavano i manifestanti ed ha ucciso sei persone, tra cui un medico. La TV di Stato ha affermato che “sono state gang armate” ad aprire il fuoco per prime e che “la rivolta e’ stata istigata da sobillatori”. Intorno alla moschea si e’ gia’ radunato un gruppo di uomini, dentro si prega per l’ultima vittima, l’ultimo martire, ucciso questa mattina nel suo letto. Non ci sono altre donne, bisogna coprirsi il capo. La bara e’ pronta, il corteo sta per sfilare mentre il padre della vittima urla la sua rabbia. I manifestati invitano a partecipare al funerale, a fermarsi per la notte. Daraa ha un disperato desiderio e bisogno di mostrare al mondo la sua “rivoluzione”. Nena News
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