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La strategia dello struzzo
Di fronte al massacro compiuto dal regime di Gheddafi, i paesi europei si preoccupano soltanto di evitare un esodo di migranti verso le loro coste e di preservare le forniture di idrocarburi. Un atteggiamento vergognoso e un altro errore storico nel loro rapporto con il mondo arabo. Questa non è l'Europa di cui hanno bisogno le rivoluzioni in atto nel Maghreb e nel Vicino oriente. Al silenzio e all'immobilità con cui sono state accolte le manifestazioni che hanno messo fine alle dittature di Ben Ali e Mubarak in Tunisia ed Egitto si aggiunge ora la timidezza delle reazioni al massacro perpetrato dal dittatore libico Muammar Gheddafi. Quando un tiranno manda i carri armati e i bombardieri contro i cittadini che lo ripudiano, tra i quali i morti si contano già a centinaia, è semplicemente vergognoso che si parli di moderazione nell'uso della forza. I crimini di questi giorni non sono i primi commessi da Gheddafi, ma sono senz'altro quelli più spudorati. Davanti a quanto sta accadendo in Libia, l'Europa si è mostrata più preoccupata di mantenere i libici imprigionati dentro le frontiere del loro paese che di appoggiare cittadini che sono intervenuti e si stanno giocando la vita per combattere una lunga tirannia. Al cospetto di una simile esibizione di barbarie, la cautela del comunicato emesso dall'Alta rappresentante per la politica estera Catherine Ashton e la prudenza del Consiglio dei ministri europei celebrato lo scorso lunedì non hanno nessun valore. Non bisogna prendersi in giro: se Italia e Repubblica Ceca hanno potuto annacquare la posizione comune è stato perché agli altri venticinque non è dispiaciuto più di tanto il risultato finale e lo hanno considerato accettabile. Ma il risultato non è accettabile sotto nessun punto vista, neanche alla luce di un timoroso possibilismo. La vittoria di Italia e Repubblica Ceca sugli altri stati membri è in realtà una umiliante sconfitta per tutti. Mentre l'Alta rappresentante e il Consiglio dei ministri svolgevano il loro triste compito, la Commissione disonorava ulteriormente l'Europa per bocca di Michel Cercone. Il portavoce agli interni ha assicurato che l'Unione europea è preoccupata dalle conseguenze in materia di immigrazione delle rivolte nel Maghreb. Se questa è la preoccupazione dell'Unione in questi giorni, vuol dire che a forza di guardarsi l'ombelico la burocrazia di Bruxelles ha perso la capacità di gerarchizzare i problemi, collocando il terremoto politico che si abbatte su una delle regioni più martirizzate del mondo sullo stesso piano di un'ossessione che dai movimenti populisti europei si è diffusa tra i partiti democratici, ormai disposti a tutto per racimolare voti. Lingua di legno Sembra inoltre che quest'Europa di inizio secolo, perseguitata dai propri fantasmi, abbia rinunciato a fare distinzione tra un immigrato e un rifugiato. Davanti a un crimine di proporzioni enormi come quello perpetrato da Gheddafi l'Europa commette un atto imperdonabile di viltà quando si chiede quale sia il modo migliore per imprigionare i libici all'interno delle loro frontiere, lasciandoli alla mercé di una repressione feroce. Al contrario, la prima preoccupazione dell'Unione dovrebbe essere quella di trovare un modo per contribuire alla fine di un regime sanguinario e di salvare vite umane. Dai comunicati e dalle dichiarazioni ufficiali non si evince nè l'una né l'altra cosa, con l'aggravante che mentre i ventisette insistono con la lingua di legno della loro posizione comune Gheddafi utilizza soldati mercenari per reprimere i manifestanti, e alimenta il terrore impedendo che i cadaveri vengano portati via dalle strade. Non si contano più gli errori storici commessi nel Maghreb e nel Vicino oriente dalle grandi potenze, piegatesi al dogma secondo cui la dittature è un male minore rispetto alla minaccia del fanatismo islamico. In realtà si tratta di due nemici che si sono alimentati a vicenda, stringendo milioni di persone in tutto il mondo arabo in una tenaglia che le ha private della libertà e di qualsiasi speranza di progresso. Ora che i cittadini si sono fatti avanti mettendo in gioco la loro stessa vita, le grandi potenze non possono commettere di nuovo un errore di dimensioni planetarie. Almeno, non può e non deve farlo l'Europa, perché sarebbe come celebrare il tradimento finale dei principi su cui si è voluta costruire l'Unione europea. I cittadini che si sono ribellati e che si stanno ribellando contro le dittature e che pretendono libertà e dignità hanno bisogno di ricevere dall'estero, dai paesi sviluppati e democratici, l'attestazione inequivocabile della legittimità delle loro rivendicazioni. L'Unione europea non può pronunciarsi con miseri sussurri né farsi scudo delle sue meschine paure.
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