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19/05/2011

Stati Uniti, Obama annuncia cambiamento politica Usa in Medio Oriente

Omaggio alla primavera araba, orgoglio per l'uccisione Osama, che non è stato un omicidio e avvertimenti a Siria e Iran. Annunciata la svolta: "Non più aiuti ma commercio"

Introdotto dal segretario di Stato Hillary Clinton, alla quale ha dedicato parole di elogio, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto, al Dipartimento di Stato, l'atteso discorso sulla politica Usa nei confronti del Medio Oriente.

Il presidente ha cominciato il suo discorso annunciando "un nuovo capitolo della diplomazia americana", che s'inserisce in un contesto fortemente modificato dalle rivoluzioni arabe, alle quali Obama ha dedicato la prima parte del suo intervento. In sei mesi si è registrato un profondo cambiamento nelle regioni dell'Africa e del Medio Oriente: "Piazza dopo piazza, città dopo città, Paese dopo Paese i cittadini hanno reclamato i loro diritti. Due leader se ne sono andati, altri seguiranno", ha detto il presidente americano, riferendosi ai leader di Egitto e Tunisia.

E' cambiata anche la politica americana, che sotto la sua presidenza ha registrato una serie di successi: il ritiro di circa centomila soldati dall'Iraq, la sconfitta dei talebani in Afghanistan e il colpo mortale inflitto ad Al Qaeda, che per gli abitanti della regione "era già un'entità morta",  e con l'uccisione di Osama bin Laden, che - ha detto Obama - "era un assassino di massa che rigettava la democrazia, dando un messaggio sbagliato alle popolazioni arabe". Osama un'icona, da morto? "No, gli arabi lo consideravano un ostacolo"e pagavano "la sua visione omicida del Medio Oriente".

Il presidente è quindi tornato sulle rivoluzioni arabe, grazie alle quali "respiriamo un'aria nuova", ricordando l'atto che innescò la protesta: il suicidio di un ragazzo tunisino che voleva protestare contro il sequestro del suo carretto della frutta. "La storia è cambiata in Tunisia", ma queste rivoluzioni non sono arrivate come una sorpresa, "perché - ha spiegato il leader americano - in troppi Paesi il potere è concentrato nelle mani di pochi", che non rispettano i diritti fondamentali, come quello all'autodeterminazione né rappresentano il popolo. Accade in Paesi che hanno avuto "la fortuna di esser benedetti da una grande abbondanza di petrolio e gas", ma queste economie, in un mondo globalizzato, non possono più prescindere da investimenti nella tecnologia e nella formazione.

I recenti avvenimenti di una regione che "è cambiata più in sei mesi che in interi decenni", dimostrano che "la strategia della repressione non funziona più". Gli Stati Uniti sono dalla parte dei popoli dei Paesi in cui il cambiamento è già cominciato (Tunisia ed Egitto, "dove gli interessi americani in gioco erano molto alti", visto che Mubarak era un partner di vecchia data) ma anche dove non si è ancora concluso, in Libia ("Quando Gheddafi - che ha lanciato una guerra contro il suo stesso popolo - lascerà il potere, allora inizierà la transizione"), e dove non è ancora cominciato, cioé in Siria e in Iran. A Damasco, Obama recapita un messaggio preciso: "Assad può ancora scegliere: o asseconda il cambiamento o si fa da parte". Teheran, invece, è ipocrita - ha proseguito Obama - "perché appoggia le rivoluzioni all'estero", ma ha represso quella dei suoi studenti nel 2009: "L'immagine di una giovane donna che muore per strada è ancora viva nella nostra memoria", ha spiegato il presidente Usa, ricordando l'uccisione di Neda Salehi Agha-Soltan, la ragazza che è diventata il simbolo dell'Onda Verde.

Obama non ha risparmiato parole dure nemmeno nei confronti dei regimi amici, come Bahrein, "Paese in cui l'Iran sta interferendo" o lo Yemen, dove "Saleh deve mantenere la parola data quando ha parlato di cambiamento". L'Iraq, invece, può avere "un ruolo chiave nella regione", soprattutto perché è la dimostrazione che la democrazia si può avere anche in uno stato multietnico e caratterizzato da un forte pluralismo.

Non è mancato un passaggio sulla questione mediorientale per eccellenza, quella israelo-palestinese, a proposito della quale Obama ha detto che "lo status quo non è più sostenibile", che è ora che vi siano "due stati per due popoli", che quello palestinese dovrà avere confini smilitarizzati, quelli 1967. I negoziati quindi devono ripartire.

"Non abbiamo secondi fini" - ha precisato l'inquilino della Casa Bianca, introducendo la nuova politica estera americana nei confronti di un'area riconosciuta come centrale. "La nostra è una visione di lungo periodo", che non può prescindere però dalla difesa di un nucleo di valori fondamentali che gli Usa continueranno a sostenere. "Gli Stati Uniti si oppongono alla repressione", ha scandito Obama, ricevendo il secondo applauso nel mezzo del discorso; sostengono diritti universali come la libertà di parola, quella religiosa, la parità tra uomo e donna e il diritto di scegliersi il proprio leader; supportano riforme politiche ed economiche in Africa e Medio Oriente, regioni alle quali è legato il futuro americano e che Washington vuole sostenere con programmi di aiuti come fatto nell'Europa orientale dopo la fine della Guerra fredda.

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