articolo dal quotidiano Il Manifesto del 15 gennaio 2011 Mondo Arabo: Tunisia, la Paura dell’Effetto Domino Roma, 15 gennaio 2011, Nena News Feroci repressori e, allo stesso tempo, buoni amici degli Stati Uniti e dei governi europei, i leader di diversi regimi arabi seguono con attenzione, e una crescente preoccupazione, la sorte subita dal «collega» tunisino Ben Ali, costretto ad abbandonare il paese e a dire addio ad un potere mantenuto col pugno di ferro per 23 anni consecutivi. Non che temano quell’«effetto domino» del quale si parla da quando i giovani nordafricani un mese fa accessero la miccia della rivolta. Eppure il fatto che un tiranno potente e brutale come Ben Ali non sia riuscito a domare la rivolta e sia stato costretto a fuggire, inquieta non poco i tanti autocrati presidenti e petromonarchi al potere, spesso da decenni, all’ombra della protezione di Washington. La fuga di Ben Ali ma soprattutto le proteste violente delle ultime settimane in Tunisia sono state seguite passo passo dalle tv satellitari e da internet in Medio Oriente, dove l’alto tasso di disoccupazione, l’aumento di popolazione giovane, l’inflazione galoppante e un profondo gap tra ricchi e poveri sono problemi gravi e condivisi. «La preoccupazione esiste spiega al manifesto l’analista arabo Mouin Rabbani -, i leader di vari paesi arabi, a cominciare dall’Egitto, hanno costruito il loro potere e le loro fortune economiche allo stesso modo di Ben Ali. E ora che il dittatore tunisino ha dovuto abbandonare il potere si sentono più fragili. Non a caso alcuni di loro hanno scelto una posizione di basso profilo e hanno messo da parte, almeno per il momento, la loro abituale arroganza». Anche Rabbani non crede a un «effetto domino», almeno per ora. «Esistono le similitudini, ma anche differenze tra paese e paese, ed è improbabile che possano ripetersi rivolte così ampie come quella tunisina», prevede l’analista. «D’altronde aggiunge Rabbani Ben Ali ha commesso un errore gravissimo a causa del delirio di onnipotenza che lo condiziona. Non ha compreso che la situazione economica e sociale era diventata insostenibile per gran parte della sua popolazione e non ha fatto alcun passo per alleviare le sofferenze dei tunisini, peraltro già privati di libertà fondamentali». Al contrario, prosegue l’analista, «altri leader arabi si sono dimostrati più lungimiranti e di fronte all’acuirsi della crisi economica hanno garantito maggiori sussidi statali e aiuti alle popolazioni». È il caso della Giordania, dove la monarchia e il governo hanno varato provvedimenti per placare il malcontento popolare per la crisi economica e impedire che si trasformasse in una rivolta a sfondo politico. Il premier Samir Refai, ad esempio, ha approvato un pacchetto da 225 milioni di dollari per ridurre il costo di alcuni prodotti come riso e zucchero e del carburante. Provvedimenti insufficienti visto che ieri migliaia di giordani sono scesi in piazza in diverse città del regno, organizzati dai partiti di sinistra. «Volevano convincere la gente a non scendere in strada, ma siamo riusciti a mostrare ugualmente la nostra collera» dice Mansour Murad, ex parlamentare del Movimento sociale nazionale. Ma in Giordania, e soprattutto in Egitto, continuano a tenersi lontano dalle piazze i Fratelli Musulmani che mantengono una posizione ambigua. Gli islamisti da un lato criticano i regimi e dall’altro non fanno nulla o quasi di concreto per alimentare e cavalcare la rabbia popolare. Ma anche loro presto saranno chiamati a prendere una posizione netta se, come prevede il Fondo Monetario Internazionale, per soddisfare i bisogni delle nuove generazioni i paesi arabi dovranno creare 100 milioni di posti di lavoro entro il 2020. Altrimenti la rivolta tunisina attraverserà tutta la regione.
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