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13 dicembre 2011

Egitto: un anno di rivoluzione
di Salma El Baradei

Non mi definirei un’attivista, non perché ho paura che, se lo facessi, verrei catturata e processata, ma perché non lo sono. Per poter essere un’attivista bisogna fare più che preoccuparsi. Non posso dire che io lo faccia. Ho adottato questa posizione codarda lo scorso 28 gennaio, quando mi sono trovata stretta abbracciata a mio zio (Mohammed el Baradei, Ndr) da un lato ed ai miei amici dall’altro.

Eravamo circondati da uomini armati delle forze di sicurezza nazionale. Quei soldati ci incitavano ad andarcene, perché avrebbero cominciato a picchiare la gente. Non ho potuto essere d’aiuto se non pensando a quanto fossi umana di fronte ai manganelli. Ho immaginato la mia spina dorsale spezzarsi in meno di un secondo.

Per tutta la mia vita, Mubarak è stato il presidente. Ho sempre pensato che un giorno sarebbe morto e ci avrebbe lasciato suo figlio in eredità. Adesso avevamo la possibilità di sbarazzarcene e, nonostante la mia enorme paura, avevo bisogno di esser parte di tutto questo. Non ebbi il tempo rimuginare su questo pensiero che i candelotti di gas lacrimogeno cominciarono a volarci addosso.

Avrei anche potuto affrontarli i gas, ma non potevo sopportare la sensazione di quella massa di persone che fuggiva in ogni direzione; avevo paura che mia sorella potesse morire in quella calca. Non volevo essere la sorella di una martire. Ho imparato che essere un’attivista non si addice ai tipi impressionabili.

Piazza Tahrir divenne il luogo dove gente di ogni classe, età e religione si riuniva per la prima volta nel loro odio per Mubarak e nel desiderio di rovesciare lui ed il suo regime. Raggiunsi piazza Tahrir, ma non senza aver prima controllato le notizie sui telegiornali e su Twitter, per sapere se potevano esserci pericoli. E se ve n’erano, rimanevo a distanza di sicurezza, rimanendo a guardare i candelotti dei lacrimogeni. Spesso la piazza era disseminata da uomini mal vestiti che cercavano di passare inosservati mentre, a loro volta, osservavano la folla. Gli arresti erano all’ordine del giorno. Non sono un volto così noto da poter essere riconosciuta, ma la loro presenza m'innervosiva.

Gli attivisti non sono fatti così. Loro correvano avanti e indietro lottando contro i lacrimogeni, ingaggiavano scontri con la polizia. Andavano negli obitori dove erano stati portati i manifestanti uccisi dai cecchini o morti asfissiati per i gas, per convincere le famiglie delle vittime che avevano diritto ad un'autopsia e ad un avvocato. Ho aiutato indirettamente i miei amici attivisti prendendomi cura dei loro cuccioli, o facendo da babysitter per i loro bambini. 

Il giorno dopo che Mubarak si è dimesso, il quotidiano nazionale Al Ahram, ha titolato: “Il popolo ha rovesciato il regime”. Ho ancora sul mio cellulare la foto dei miei parenti che sorridono come bambini, stringendo tra le mani le copie del giornale. Tutti credevano che l’esercito avesse rimosso Mubarak con la forza, di solidarietà con il popolo. Così, quando il Guardian pubblicò presto degli articoli nei quali si descrivevano torture dei militari sui manifestanti, non furono in molti a crederci. C’era persino una foto che di un soldato che cercava di non farsi riprendere il viso mentre malmenava un manifestante. Il Museo Egizio è diventato celebre anche per altro, non solo per le sue mummie perfettamente imbalsamate. Trovandosi proprio fuori Piazza Tahrir, è diventato un luogo perfetto per le torture.

Il maresciallo Tantawi, Comandante supremo dello SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate (la giunta militare che ha preso il potere a febbraio, ndr), fu acclamato come un eroe nel giro di una notte, dopo le dimissioni di Mubarak. A differenza di Mubarak, che negava di aver assassinato migliaia di persone, ecco finalmente un uomo che onorava i suoi martiri.

Il suo volto commemorante i martiri della rivoluzione è apparso sulla bandiera egiziana, rimpiazzando il classico falco giallo. Chiunque ha fatto sua la propria foto profilo su Facebook. I genitori affidavano i loro bambini ai soldati seduti sui carri armati per farsi fotografare assieme. A Piazza Tahrir la gente cantava: “L’esercito ed il popolo sono una cosa sola”. Come un bambino che è stato maltrattato per troppo tempo, volevamo credere a tutti i costi che fossimo stati salvati.

E così chiudemmo un occhio quando, dopo solo un giorno dalle dimissioni di Mubarak, i soldati strapparono le tende degli ultimi manifestanti. Quei dissidenti che avevano giurato che non avrebbero lasciato finché le richieste della rivoluzione non fossero state esaudite, finché il paese non avesse visto la fine di trentotto anni di stato d’emergenza. E gli egiziani li giustificavano: “Hanno troppe cose da fare, dobbiamo dargli una possibilità”.

Il 10 marzo fu la volta delle aggressioni sessuali, quando lo SCAF umiliò e torturò diverse dissidenti, trascinandole via a forza da un sit-in pacifico in Piazza Tahrir, ed obbligandole a subire dei “test della verginità”. Solo una tra le sette donne che hanno subito questo trattamento ha fatto ricorso contro l’esercito, ma la sua udienza continua ad essere rimandata. Si considera fortunata perché i suoi parenti, benché conservatori, la incoraggiano a intraprendere le vie legali. Un report di Human Rights Watch si chiede apertamente: “Come può un controllo sulla verginità di una donna essere di legittimo interesse per lo stato?”.

Vi è stato anche un forte aumento di processi militari su civili. Cittadini comuni devono affrontare dei processi farsa, senza neppure un avvocato e senza esser stati informati delle accuse a loro carico. Durante tutta l’era Mubarak, duemila persone vennero giudicate attraverso “tribunali” militari, ma lo SCAF è riuscito a processarne dodicimila nel giro di sei mesi.

Maikel Nabil, uno dei primi blogger egiziani a denunciare i crimini dello SCAF, è stato un altro sbaglio palese compiuto dall’esercito. Il suo blog si chiamava “L’Esercito ed il Popolo non sono mai stati uniti”, e citava fonti legittime che dimostravano come l’esercito avesse tradito il popolo durante la rivoluzione. Nessuno avrebbe sentito parlare del suo blog se loro non avessero deciso di arrestarlo. E’ stato condannato a tre anni di prigione per “ingiurie contro l’esercito a mezzo blog”. È in sciopero della fame dal 23 agosto, e riesce a sopravvivere nutrendosi solo di succhi di frutta e latte, in condizioni di detenzione tremende.

Dov’era il popolo egiziano? Qualcuno ha bollato la storia dei test di verginità come falsa perché troppo inquietante per essere vera. Come per Maikel, che si era bruciato da solo i suoi contatti, essendo al contempo un sostenitore della causa israeliana ed un copto critico nei confronti della Chiesa Copta. Non molti egiziani possono simpatizzare con la sua causa.

Ma le cose hanno cominciato a mettersi molto peggio il 10 ottobre scorso, quando lo SCAF ha interrotto una marcia pacifica di cristiani copti, sparando con munizioni vere e lanciando i blindati a velocità sulla folla. Lo SCAF insiste che i copti erano armati e che portavano con loro dei candelotti di gas lacrimogeno (e li avrebbero portati per miglia e miglia!) mentre marciavano dal sobborgo proletario di Sayida Zeinab al palazzo della televisione di stato Maspiro. Hanno fatto persino appello ai “cittadini egiziani rispettabili” affinché proteggessero l’esercito dai copti armati. In seguito hanno negato di averli attaccati. Anzi, hanno dichiarato che sono stati i copti ad aver preso possesso dei carri armati, e con quelli hanno schiacciato i loro stessi manifestanti. Ventisette persone sono state uccise.

Il 19 novembre SCAF ha interrotto un sit-in pacifico a Piazza Tahrir. I feriti della rivoluzione, le loro famiglie ed i parenti delle vittime si sono accampati per una settimana. Quando gli attivisti hanno deciso di raggiungerli, lo SCAF li ha sgomberati. Molti dei feriti hanno perso gli occhi, perché i cecchini hanno concentrato i loro colpi al volto. Questa volta gli attivisti hanno deciso di resistere ed hanno organizzato un ritorno in massa a Piazza Tahrir. Lo SCAF non ci ha salvato. Maikel Nabil aveva ragione.

Una mia amica coraggiosa, S., insiste per essere in prima linea, organizzando conferenze contro il Consiglio Supremo delle Forze Armate (lo SCAF, appunto). Il cellulare che usa per offrire supporto e consulenza legale è sempre nella sua borsa.

Durante gli attacchi di novembre a Piazza Tahrir, è svenuta due volte in una settimana a causa del gas. La prima volta ha ripreso conoscenza dopo pochi minuti, ma la seconda è andata diversamente. Durante la rivoluzione sapevamo che i lacrimogeni potevano provocare vomito e svenimenti. Non riuscivamo a capire perché avesse le convulsioni e avesse smesso di respirare. Il medico dell’ospedale da campo non riusciva a trovarle il polso. Quattro uomini si affrettarono a portarla in un altro ospedale per liberarle le vie respiratorie. Quando ha ripreso conoscenza, ore ed ore dopo, ha realizzato che i suoi figli erano ancora all’asilo. Erano le undici di sera. Andammo a prenderla con mia sorella perché, nonostante fosse al nono piano in un palazzo fuori da Piazza Tahrir aveva ancora difficoltà a respirare a causa degli effetti del gas.

Che stava facendo la mia amica? Si stava comportando nel modo giusto rispetto ai suoi figli? Ed io, mi stavo comportando bene con i suoi figli, non essendo più impegnata politicamente di modo da costruirgli un futuro?

In seguito abbiamo saputo che un medico è morto dopo essere entrato in coma, quando un candelotto di gas è stato lanciato direttamente dentro l’ospedale della piazza. Non è chiaro se si tratti di una forma più concentrata del vecchio gas o di un nuovo tipo di gas nervino. Il Ministero della Sanità in Egitto nega di aver mai usato gas nervino. Ma nega anche il fatto che si spari alla gente con proiettili veri.

La battaglia tra il popolo egiziano e lo SCAF continua. Molti attivisti hanno deciso di boicottare le elezioni come rifiuto alla legittimazione politica dello SCAF. Altri sono eccitati per il fatto che, per la prima volta nelle loro vite, potranno votare e nessuno può privarli di quel brivido.

Possiamo anche aver contrastato in qualche modo lo SCAF, ma una nuova popolazione è uscita allo scoperto da quando abbiamo “abbattuto il regime” – una popolazione di musulmani ultra-conservatori, che si radono i baffi ma si lasciano crescere le barbe, uno dei tanti precetti che seguono alla lettera, come prescrive il Profeta Maometto.

Non è chiaro quale direzione prenderà l’Egitto. Sembra che la maggioranza sia favorevole a questi musulmani conservatori. Saranno loro ad esaudire le richieste della rivoluzione, per ottenere la giustizia sociale, o saranno solo un’altra parte di quel regime brutale che dobbiamo rovesciare a tutti i costi?

Una cosa è certa, la rivoluzione egiziana ha ancora molta strada da fare.

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