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El Baradei: «Il mio Egitto non è immune dalla rivolta tunisina» Ciò che è accaduto in Tunisia è, al tempo stesso, un segnale di speranza e un monito. La speranza è per quanti, in Maghreb, nel Medio Oriente, si battono per il cambiamento. Il monito è rivolo alle nomenclature al potere che non intendono prendere atto del loro fallimento». L’Egitto non è immune dal “contagio tunisino”. A sostenerlo, nel colloquio con l’Unità, è colui che incarna le speranze dell’Egitto laico, progressista, che sfida il «Faraone» senza per questo farsi stritolare in un abbraccio mortale dall’integralismo islamico. È la doppia sfida di Mohamed El Baradei, ex Direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), premio Nobel per la Pace 2005, leader dell’opposizione democratica egiziana. Di una cosa El Baradei si dice convinto: «Alla base della rivolta tunisina vi sono ragioni che si ritrovano anche in altre realtà, come quella egiziana: la mancanza di prospettive di lavoro per le giovani generazioni, l’ingiustizia sociale elevata alla massima potenza, una rivendicazione di libertà e di diritti che si scontra con le chiusure di un potere incapace di rinnovarsi”. «È inevitabile, il cambiamento deve arrivare », sottolinea con forza l’ex Direttore dell’Aiea. E il motore di questo cambiamento sono i giovani. È la generazione sotto i trent’anni (che rappresenta il60%della popolazione egiziana) che «non ha alcuna speranza, alcun futuro, ma neanche nulla da perdere», contrariamente alle generazioni precedenti che convivono con il regime o lo temono. «Il 42% degli egiziani rimarca El Baradei - vive con un dollaro al giorno, il 30% non sa leggere e scrivere, la disoccupazione è dilagante, la corruzione ovunque». S’infervora, El Baradei, quando gli riportiamo le parole del portavoce del ministero degli Esteri egiziano, Hossam Zaky: «Non crediamo che quanto è avvenuto in Tunisia possa facilmente ripetersi in altri Paesi». «È la riprova commenta il premio Nobel per la pace di un potere cieco e sordo, chiuso nella sua fortezza, incapace di cogliere il malessere che sta crescendo in tutto il Paese ». Quel malessere segnalato anche da episodi drammatici, avvenuti nei giorni scorsi: un uomodi 50 anni, padre di quattro figli che si cosparge di benzina e si dà fuoco davanti all’Assemblea del popolo egiziana per protestare contro il «no» delle autorità all’aumento della sua quota di pane; un giovane di 25 anni si dà fuoco sul tetto della sua casa di Alessandria d’Egitto. Muore poche ore dopo il ricovero in ospedale con ustioni sul95 per cento del corpo. Secondo i familiari era depresso perché disoccupato. Altri tre egiziani in 48 ore hanno tentato il gesto, tra cuiun avvocato che prima di innescare il rogo aveva gridato slogan contro il carovita. «Anche la rivolta in Tunisia ricorda El Baradei fu innescata dal giovane che per protesta si era dato fuoco. Si tratta di gesti estremi, disperati, ma che danno conto di una condizione generalizzata di rabbia, frustrazione non più sopportabile ». Di fronte a questa situazione, l’Europanon puòcontinuare ad essere succube di una logica perdente. Quella del «Male minore». La logica, spiega El Baradei, che «porta l’Europa a sostenere leadership ormai usurate, nella convinzione, tragicamente sbagliata, che esse sono comunque un baluardo alla penetrazione del fondamentalismo, del jihadismo». Un errore strategico. «Perché solo un profondo cambiamento di classi dirigenti, che passa per il sostegno a quanti si battono per la giustizia sociale e contro i predatori di ricchezze, può rappresentare un investimento sul futuro anche per l’Europa». El Baradei non sottovaluta la lotta al terrorismo e la necessità di garantire la sicurezza degli egiziani: «Ma la lotta al terrorismo dice non giustifica la riduzione degli spazi, già angusti, di democrazia, non legittima il ricorso alla legge marziale. La sicurezza non può essere il pretesto per conculcare le libertà di un popolo. Il vero antidoto agli estremismi è la democrazia». «Giustizia sociale e Stato di diritto sono le due facce della stessa battaglia di libertà », si dice convinto El Baradei. Per quanto lo riguarda, ciò che lo ha spinto a impegnarsi in politica è «essere lo strumento di un cambiamento per l’Egitto»,un Paese ben lontano dalla democrazia”. Il premio Nobel per la Pace ha lanciato un appello al boicottaggio delle prossime elezioni presidenziali, fissate per il mese di settembre, e ha iniziato la raccolta delle firme per una petizione nella quale chiede una maggiore democratizzazione del Paese; l'ex Direttore generale dell' Aiea si dice disposto tuttavia a candidarsi alle presidenziali a condizione che «le elezioni siano libere e giuste ». A questo fine, El Baradei ha dato vita all’Associazione nazionale apartitica per il cambiamento, che mira a riformare la Costituzione e in particolare un Articolo di essa che di fatto proibisce ai candidati indipendenti di concorrere per le elezioni presidenziali. Nelle riflessioni di El Baradei ricorre sovente il termine «cambiamento». Che il sessantottenne Nobel per la Pace articola così: «Cambiamento per me significa democrazia, libertà, giustizia sociale, rispetto delle minoranze». Principi che si traducono in programma politico: elezioni libere e monitorate, la fine dello stato d’emergenza, governo democratico, libertà di stampa, modernizzazione. El Baradei rifiuta l’etichetta di «salvatore della patria». «Non è proprio il caso dice - . Le persone hanno raggiunto un tale livello di esasperazione che sono in attesa di una persona che le salvi, ma vorrei piuttosto che l’Egitto fosse in grado di salvare se stesso. Se la gente vuole cambiare davvero questo Paese, tutti devono unirsi per realizzare questo sogno». Un diplomatico moderato costretto, suo malgrado, a vestire i panni di un «Saladino» laico in lotta contro il potere mummificato del «Faraone» Mubarak. Fa paura, El Baradei, alle élite abbarbicate al potere . «Lo so bene afferma il Nobel per la Pace egiziano ma penso di avere le spalle abbastanza larghe per sopportare questa campagna di demonizzazione. Adarmi forza è la consapevolezza che sono sempre di più gli egiziani, soprattutto i giovani, che sentono che è venuto il momento di cambiare, di realizzare anche per il mio Paese un “Nuovo Inizio” »
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