da Il Manifesto

Verso un’altra guerra «umanitaria»
di Tommaso Di Francesco
 

Siamo ai prodromi di un’altra guerra umanitaria. Che andrebbe ad aggiungersi a quella già sul campo. Stavolta in Libia. La Nato dichiara che «non è all’ordine del giorno, per ora», l’Unione europea che «nemmeno ci pensa», il ministro della difesa italiano La Russa che «non è nei nostri pensieri, però…». Ma ci stanno pensando, ci ragionano, e soprattutto si attivano forze e strumenti istituzionali di copertura. Sanzioni, no fly zone.
Diciamo questo perché, ben al dilà del disfacimento evidente del regime di Gheddafi, delle sue drammatiche responsabilità e del suo delirio, emerge la disinformazione. Si rende cioè evidente un significativo livello di menzogne da parte dei media ancora una volta embedded: fosse comuni che appaiono, quando in realtà sono fosse individuali; un salto improbabile in 12 ore dalle mille alle diecimila vittime, secondo l’americanissima televisione Al Arabya; flash di foto di corpi senza vita; l’invenzione di un inesistente membro libico della Corte penale internazionale rigorosamente antiregime che moltiplica per 50mila il numero delle vittime e dei feriti.
Quasi un déjà vu balcanico: per il Kosovo, quando ci fu poi la verifica sul campo dei medici legali del Tribunale dell’Aja risultò falso il numero delle vittime e inventata la strage di Racak. Ma fu ben utile, nell’immediato, per 78 giorni di bombardamenti aerei della Nato che provocarono 3.500 vittime civili. Volute, non «effetti collaterali», denunciò un’inchiesta di Amnesty International. Dimenticate, anzi cancellate da ogni memoria. Giacché la guerra doveva essere «umanitaria». E a quell’enfasi di menzogne partecipò un’intera schiera di media.
Ci stanno pensando alla «missione». Gridando al cielo che «no, è infame bombardare i civili», si sdegnano le cancellerie occidentali. Dimenticando il massacro dei civili e degli insorti se sono iracheni o afghani. Già l’amministrazione Usa parla di una delega all’Italia e alla Francia, paesi ex coloniali che dovrebbero guidare l’eventuale «missione». Del resto lo strumento militare operativo di Africom della Nato è già pronto, come da mandato, per l’intervento proprio in quell’area. E tutti sono avvertiti della presenza sul campo non di Al Qaeda che soffia sul fuoco, ma di un integralismo islamico reale e storico in Cirenaica.
Eppure non sanno ancora come motivarlo l’intervento. Se avessero a cuore davvero la vicenda umanitaria, non avrebbero dovuto sottoscrivere accordi di compravendita di armi con il Colonnello. E se l’Italia è davvero attenta all’umanità non avrebbe dovuto ratificare in modo bipartisan un Trattato che, pur riconoscendo finalmente le nostre malefatte coloniali, ha chiesto a Gheddafi di istituire campi di concentramento per fermare la fuga dei migranti disperati dalla grande miseria dell’Africa dell’interno e del Maghreb.
Non lo dicono, né lo diranno mai. Ma come per l’enfasi e la falsificazione sul numero delle vittime, c’è l’esagerazione interessata sui «milioni di profughi» dalla Libia e dalla Tunisia, «250mila» ha detto il gommoso Frattini, senza alcuna vergogna.
Non lo dicono, ma sono terrorizzati davvero per il pericolo che corrono gli approvvigionamenti di petrolio e metano. Per i nostri consumi, il nostro intoccabile modello di vita.
Per questo alla fine interverranno. Non per un ruolo umanitario da subito degli organismi delle Nazioni unite, non per un corridoio umanitario che porti soccorso a chiunque, insisto chiunque, soffra – giacché la crisi libica si rappresenta più come guerra civile che come rivolta secondo il modello di Tunisi e del Cairo. Interverranno perché, qualsiasi sia il potere che arriverà dopo Gheddafi, svolga per noi la stessa funzione del Colonnello: elargire petrolio per i consumi dell’Occidente e impedire l’arrivo dei disperati relegandoli in un nuovo sistema concentrazionario.

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