A 10 anni dal G8 di Genova
Il 17 luglio 2001, due giorni prima che oltre 200.000 persone si ritrovassero a Genova per protestare contro il vertice del G8, Amnesty International chiedeva alle autorità italiane di proteggere i manifestanti, garantendo un uso legittimo della forza da parte di agenti della polizia. Tra il 19 e il 22 luglio, Genova divenne teatro di aggressioni indiscriminate da parte di agenti di polizia verso manifestanti pacifici e giornalisti durante i cortei, violenze ingiustificate nel raid alla scuola Diaz, arresti arbitrari e maltrattamenti nel carcere provvisorio di Bolzaneto, tra cui minacce di stupro e di morte, schiaffi, calci, pugni, privazione del cibo, dell'acqua, del sonno e posizioni forzate per tempi prolungati. La responsabilità delle forze di polizia è emersa in vari processi, ma le vittime degli abusi commessi a Genova non hanno ottenuto una piena giustizia. I processi sulla Diaz e Bolzaneto hanno riconosciuto in appello diversi funzionari dello stato (medici, carabinieri, agenti di polizia di stato e penitenziaria) responsabili di violenze, calunnie e falsi ma questi non hanno ricevuto punizioni adeguate, perché nel codice penale italiano manca il reato di tortura e per la prescrizione di reati minori. Molti pubblici ufficiali coinvolti nelle violenze non hanno potuto essere identificati perché avevano il volto coperto e sulle loro divise non erano presenti nomi o numeri identificativi. In questi 10 anni, inoltre, altri episodi hanno chiamato in causa le responsabilità dei corpi di polizia per l'uso delle armi e della forza, dalla morte di Federico Aldrovandi durante un fermo (2005) a quella di Gabriele Sandri, raggiunto da un colpo di pistola sparato da un agente di polizia stradale (2007), alla morte in custodia di Aldo Bianzino (2007), Giuseppe Uva (2008) e Stefano Cucchi (2009), assieme all'aggressione e agli insulti razzisti denunciati da Emmanuel Bonsu, fermato da agenti della polizia municipale (2008). Amnesty International chiede all'Italia di cogliere questo anniversario come un'occasione per impegnarsi seriamente a combattere l'impunità e a fare in modo che l'operato delle forze di polizia sia trasparente. Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Perché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilità e una complessiva trasparenza. L'Italia deve, pertanto, introdurre il reato di tortura nel codice penale, prevedere misure che permettano di identificare gli agenti durante le operazioni di ordine pubblico e istituire un meccanismo di monitoraggio sui diritti umani. Firma l’appello a questo link, per introdurre il reato di tortura nel codice penale.
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