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il 23 gen 2011

Il vero Made in China
di Chen Xinxin

Più i giornalisti cinesi cercano di informare realmente , più i vertici del potere reagiscono con la repressione. Con l’inizio del nuovo anno il potente dipartimento centrale del Partito comunista cinese per la Propaganda si è subito adoperato per ricordare ai reporter del gigante d’Asia quali sono le linee rosse dell’informazione “made in China”.

Con una serie di direttive ben precise il dipartimento, elemento centrale della “macchina del consenso” cinese (http://www.ilmondodiannibale.it/cinala-macchina-del-consenso/), ha sostanzialmente ribadito il blackout dell’informazione su problemi economici e tensioni sociali.

Le direttive per il 2011, considerate “segreti di Stato”, sono state presentate durante riunioni con giornalisti in cui, riferisce Reporters Sans Frontières (Rsf, http://en.rsf.org/chine-propaganda-department-issues-13-01-2011,39304.html), era vietato prendere appunti. Tuttavia Rsf è riuscita a ottenere alcuni dettagli delle nuove normative.

Le disposizioni vietano di fatto ai media di dare notizie sulla corruzione, sulle proteste antigovernative, sull’aumento dei prezzi, sulle carenze dei servizi, sui frequenti sfratti forzati e la conseguente demolizione di edifici residenziali.

Nonostante non trovino spesso spazio sui media ufficiali in lingua cinese del gigante d’Asia, nella Repubblica Popolare sono molto frequenti le proteste dei cittadini nelle zone remote del Paese, scatenate per lo più da diversi tipi di abuso di potere. Le manifestazioni culminano molte volte in scontri con la polizia, chiamata a reprimere le proteste, e in arresti.

La normativa per il 2011, inoltre, vieta di tenere aggiornata l’opinione pubblica su casi reati di rilievo e viene richiesto ai giornalisti di limitare le notizie sulle conseguenze di eventuali calamità naturali e su incidenti. Ai mezzi d’informazione è anche proibito il contatto tra testate di regioni diverse del Paese, in modo da contenere la diffusione di notizie considerate “negative” dai vertici del Pcc.

Dietro alle nuove direttive del dipartimento centrale per la Propaganda, oltre alla difficoltà ad accettare «eccessive coperture mediatiche» di alcuni problemi del Paese, ci sono i vecchi obiettivi della leadership cinese: non alimentare il malcontento popolare, evitare un’emorragia di consensi che porterebbe alla delegittimazione del Partito comunista e ridurre le possibili minacce all’unità nazionale, creando una «buona atmosfera» per l’opinione pubblica, che va «guidata» nella “giusta” direzione.

Le disposizioni, presentate in dieci punti nel documento ottenuto da Rsf, sono il risultato delle contraddizioni cinesi. Con lo sviluppo dell’economia di mercato si è intrapresa la strada della progressiva liberalizzazione dei media (che aiuta il governo a liberarsi dall’onere finanziario di sostenere la stampa), ma allo stesso tempo il Partito comunista cinese – e quindi il governo – continua a controllare l’informazione (http://www.ilmondodiannibale.it/liberta-cinese/). Anche con la censura preventiva.

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