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Cina, in 20mila si mobilitano. Colletta per salvare Ai Weiwei Interessa così poco alle autorità cinesi recuperare i soldi che il dissidente Ai Weiwei avrebbe secondo loro sottratto al fisco, che nel momento in cui una spontanea colletta popolare permette di accumulare in pochi giorni un quarto di quella somma, scatta la minaccia ai donatori: attenti, rischiate di essere accusati anche voi, per «raccolta illegale di fondi». Ai Weiwei è un artista che acquisì fama internazionale nel 2008 per avere disegnato il «Nido d’uccello», lo stadio delle Olimpiadi a Pechino. Il ché non gli impedì di criticare il governo della Repubblica popolare per gli sprechi di denaro pubblico e per le libertà negate ai concittadini. Arrestato lo scorso 3 aprile per «sovversione dello Stato» è stato scarcerato dopo 81 giorni e costretto agli arresti domiciliari per un’imputazione del tutto diversa: evasione fiscale. Reati imputati alla compagnia che produce le sue opere d’arte. Accuse respinte da Ai Weiwei, che afferma di essere un dipendente di quell’azienda e non il «vero proprietario», come sostengono i suoi accusatori. Dettagli giudiziari a parte, l’impressione generale è che il regime applichi all’artista dissidente il meccanismo usato a suo tempo, in un contesto del tutto diverso, dalla magistratura americana per incastrare il gangster Al Capone. Non trovando le prove di assassini e altri più gravi delitti, riuscirono ad arrestarlo per avere evaso il pagamento delle imposte. Nel caso di Ai Weiwei, Pechino non avrebbe certo alcuna difficoltà a insistere nella tesi del complotto sovversivo. La scelta di puntare su presunte colpe di natura economica, serve a screditarne l’immagine agli occhi dei connazionali: vedete, quest’uomo parla di democrazia, ma è il denaro ciò che gli sta veramente a cuore. Non potevano prevedere però i capi del regime comunista che una così grande mobilitazione popolare si mettesse in moto a sostegno di un individuo che evidentemente molti considerano ingiustamente perseguitato. In pochi giorni ventimila persone hanno versato un totale di cinque milioni di yuan, equivalenti a 790mila dollari, cioè quasi un quarto della somma che Ai Weiwei, fra tasse evase e multe, dovrebbe pagare allo Stato per evitare una condanna a sette anni di prigione. Ai Weiwei dice di non avere bisogno di quei contributi e annuncia che li restituirà, ma accoglie con favore l’iniziativa, perché da parte dei partecipanti è un modo surrettizio per appropriarsi di diritti negati. «Alcuni mi hanno detto che così è come se votassero», ha commentato l’artista. Un voto a favore della democrazia, che imbarazza gravemente il governo. Gli sforzi per dimostrare attraverso una capillare repressione quanto siano isolati ed elitari i dissidenti cinesi, vengono vanificati dalla straordinaria adesione popolare a quella che assume il carattere di una vera e propria colletta per la libertà.
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