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Abbiamo tradito il Gange
Esistiamo grazie alla generosità del fiume. Io stessa, come miliardi di persone, sono nata su questo fiume. Ho imparato a parlare, a leggere, a sopravvivere su queste rive...Perché ora lo stiamo tradendo? Il Gange è molto più di un fiume. Rappresenta l'essenza stessa dell'India, ne racconta la vita spirituale, culturale, ecologica ed economica. Senza il Gange l'India non potrebbe materialmente sopravvivere, non sarebbe neanche nata, perché la nostra millenaria storia si è sviluppata attorno, dentro e grazie al Gange. Esistiamo grazie alla generosità del fiume. Io stessa, come miliardi di persone, sono nata su questo fiume. Ho imparato a parlare, a leggere, a sopravvivere su questo fiume. Anche i nostri morti, se ne vanno via con lui. Restando parte di una storia che il Gange scrive ogni giorno, con ciascuno di noi singolarmente e tutti assieme. E poi, ingannandoci, lo abbiamo tradito. Abbiamo cominciato a farlo quando ci siamo convinti che per essere più ricchi ci servivano più cose. Abbiamo avvelenato il Gange con gli scarichi industriali, che generano cose che non vivranno mai abbastanza per ripagarci della perdita del fiume. Lo abbiamo soffocato con megalopoli senza anima. Lo abbiamo strozzato con dighe e interventi che gli hanno imprigionato l'anima, per ottenere più elettricità. Per accendere una luce oggi, spegniamo il futuro. Il movimento per salvare il Gange e il flusso delle sue acque non è solo un movimento per salvare un fiume. Si tratta di un movimento per salvare l'anima travagliata dell'India, che è inquinata e soffocata da un consumismo crasso e dall'avidità, scollegato dalla sua esistenza in armonia con la natura e dalle sue fondamenta culturali. Per questo ci battiamo, per questo organizziamo i campi di lavoro con i giovani, sul fiume, per la democrazia dell'acqua. Per ricordare loro da dove veniamo e che non saremmo qui, oggi, senza il fiume Gange. E non ci saremo domani, senza il Gange. GUARDA IL REPORTAGE FOTOGRAFICO DI GIULIO DI STARCO 1 Capita qui, sul Gange, ma i nostri fiumi raccontano la storia dell'umanità. Per questo quella dell'acqua è una questione popolare. Il dibattito, se limitato alla dialettica pubblico-privato, gestione corretta o sbagliata, economica o no, è fuorviante. Si sbaglia approccio e si negano i diritti delle comunità interessate. Qualsiasi comunità, in qualsiasi parte del mondo, se interpellata sull'acqua, chiederà che venga tutelata e basta. Né comprata né venduta. Solo conservata, protetta. Anche perché non basta impedire la privatizzazione per salvare i fiumi, l'acqua e il futuro. Il primo passo della privatizzazione è l'inquinamento. Pochi che distruggono l'anima della terra per diventare più ricchi. Se non proteggiamo l'ambiente, pur impedendo la privatizzazione dell'acqua, come avete fatto con coraggio in Italia con il referendum, non la salveremo. E un fiume morto, pubblico o privato, non torna più. Credo che la consapevolezza lentamente cresca. Rispetto al 2003, quando ho scritto Le guerre dell'acqua, vedo un atteggiamento differente. Tante persone che all'epoca, quando denunciavo l'attacco all'acqua, mi accusavano di esagerare ora lottano con me. Ed è cambiata, lentamente, anche la consapevolezza politica. Il referendum in Italia, per esempio, oppure le costituzioni di alcuni Stati latinoamericani, che hanno inserito il diritto all'acqua come un punto fermo. E ancora la Dichiarazione dei diritti della Madre Terra, piuttosto che il lavoro delle Nazioni unite per arrivare, finalmente, al riconoscimento dell'accesso all'acqua come diritto umano. Tanta strada, tante lotte, sono state fatte. Ma non basta. Perché guardando queste foto, l'agonia del fiume Gange, si vede un mondo che muore, non solo un corso d'acqua.
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