(Il libro: Paolo Ermani e Valerio Pignatta, “Pensare come le montagne”, Terra Nuova edizioni, 220 pagine, 12 euro, presentazione completa sul sito del libro - http://www.pensarecomelemontagne.it)

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il 02/12/11

Pensare come le montagne, o non avremo scampo

Cialtroni pubblici e truffatori della finanza, politici-fantasma e replicanti dello “sviluppo” alle prese col delirio tragicomico della “crescita” ormai impossibile: un film horror? C’è di peggio. Se si spalanca la finestra sulla realtà, quella vera, si può restare stecchiti: teoricamente, siamo alle soglie del suicidio del pianeta. Mai, nella sua storia, la Terra ha dovuto affrontare problemi come quelli di oggi. Mentre assistiamo allo sfacelo quotidiano di una delle tante crisi, quella economica, il mondo là fuori sta letteralmente collassando: esplosione demografica, deserto che avanza, acqua che non basta più. Previsioni: catastrofiche. Molte le analisi, e non uno straccio di soluzione. Nell’era di Internet, siamo ciechi al futuro: possibile? Nessuno che avanzi una via d’uscita ragionevole? Inutile attendere risposte: occorre agire, e subito.

«Sfruttamento, alienazione, povertà, sottomissione, lavoro frammentato e debilitante, profitti per pochi, e poi mancanza di casa, fame, degrado: tutto ciò non è come la forza di gravità, nasce da rapporti istituzionali stabiliti da esseri umani», scrive Michel Albert nel saggio “Oltre il capitalismo, un’utopia realistica”, pubblicato nel 2007 da Elèuthera. Parole che Paolo Ermani e Valerio Pignatta adottano, nell’introduzione della loro ultima fatica, “Pensare come le montagne”, volume appena uscito con prefazione di Simone Perotti, autore del bestseller autobiografico “Adesso basta”, nel quale racconta che cambiare vita è davvero possibile. Stessa prospettiva, quella di Ermani e Pignatta: provare, malgrado tutto, a illuminare un orizzonte diverso da quello che ci assedia, i cui numeri di morte annichiliscono, umiliando l’impostura quotidiana cucinata dai media mainstream con le loro pallide “riprese” e il loro spread: di fronte all’insostenibilità dello scenario globale, le “ricette” correnti sembrano chiacchiere di bambini che si attardano sulla spiaggia su cui sta per abbattersi lo tsunami.

Questa almeno è l’impressione, spaventosa, davanti alla fotografia della situazione: tutti gli indicatori dicono che i principali problemi del pianeta aumenteranno in modo esplosivo. Nel mondo, secondo l’Oms, due persone su cinque vivono in condizioni igieniche precarie per mancanza d’acqua. Tra Asia e Africa, sono un miliardo gli esseri umani che non hanno accesso a fonti d’acqua pulita, mentre negli Usa il consumo idrico giornaliero si aggira sui 380 litri a persona. Ancora: nei paesi poveri, milioni di individui vivono ciascuno con meno di 18 litri d’acqua al giorno, e il 46% della popolazione mondiale abita in case senz’acqua corrente: le donne fanno a piedi 5 chilometri, in media, per procurarsela. E attenzione: entro il 2025, almeno due miliardi di persone vivranno in aree con gravi problemi di siccità. Prospettive? Terrificanti: il boom demografico produrrà migrazioni bibliche, mentre agricoltura e industria avranno sempre più sete.

Altro capitolo cruciale, la deforestazione: in soli cinque anni, tra il 2000 e il 2005, è letteralmente sparito un milione di chilometri quadrati di foreste, pari al 3,1% del patrimonio forestale mondiale: un’area tre volte più grande dell’Italia. E il deserto avanza, grazie al surriscaldamento: «Un quarto della superficie terrestre è a rischio desertificazione», spiegano Ermani e Pignatta. «L’inaridimento attuale riguarda circa il 47% delle terre emerse, sia per carenza di piogge, sia per innalzamento delle temperature». A soccombere è innanzitutto l’Africa, col 73% delle terre coltivate soggette a degrado e desertificazione. In Italia si parte dal Sud, che ha perso il 5% di terre fertili, ma si arriverà fino al Po e alle zone costiere dell’intera penisola, che «nei prossimi trent’anni saranno a rischio-inaridimento, per un totale del 30% del territorio nazionale». Anche peggio in Portogallo, Grecia e Spagna.

Del resto, attualmente, nell’atmosfera terrestre ci sono 380 parti per milione (“ppm”) di anidride carbonica: «Concentrazione mai così alta da 650.000 anni a questa parte». Secondo lo studio “Meeting the Climate Challenge” condotto da ricercatori inglesi, americani e australiani, se si arriverà a 400 “ppm” ci saranno cambiamenti climatici “irreversibili”, cioè probabilmente irrimediabili. «Agli attuali ritmi di emissioni – scrivono Ermani e Pignatta nell’introduzione di “Pensare come le montagne” – questi cambiamenti climatici irreversibili si avranno entro pochi anni». Secondo l’Eia, l’agenzia statunitense per l’informazione sull’energia, le emissioni complessive derivanti dalla combustione di petrolio, carbone e gas naturali dovrebbero addirittura aumentare del 43% entro il 2035: da quasi 30 a oltre 40 miliardi di tonnellate.

La catastrofe innescata dal global warming è già in corso: secondo l’Onu, tra il 1970 e il 2006 la popolazione animale è diminuita del 31%. «A rischio non sono solo le varietà delle specie animali e vegetali sul pianeta, ma anche gli ecosistemi basilari per la sopravvivenza umana». Risorse primarie: innanzitutto acqua potabile e cibo. In pericolo la salute, «sempre più inquinata da composti tossici». E non in ultimo l’impollinazione, «con tutte le conseguenze che è possibile immaginare». Acqua e piante, fiori e insetti. Il nesso? «Nel 2007, si contavano nel mondo 37,4 milioni di profughi, il 66,8% dei quali a causa di catastrofi naturali: l’Unicef aveva calcolato che entro la fine del 2010 nel mondo avrebbero sofferto la fame a causa di emergenze umanitarie e climatiche circa 50 milioni di persone».

Il dato che più intristisce, aggiungono Ermani e Pignatta, è che la povertà impedisce spesso di usufruire di beni vitali come l’acqua: nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, sono quasi 3 milioni e mezzo le persone che muoiono ogni anno a causa di patologie collegate all’acqua. Un pericolo che minaccia anche l’Italia, dove nel 2008 l’inquinamento da arsenico ha contaminato le falde avvelenando 1,2 milioni di persone. «La diossina ha sforato i limiti previsti a norma di legge arrivando a contaminare i neonati attraverso il latte materno», mentre residui di pesticidi sono costantemente presenti nei nostri cibi: «In Svezia, parallelamente alla voluta riduzione dei pesticidi, alcuni dei quali sono stati vietati, si è assistito alla riduzione di alcuni tipi di tumore come i linfomi; in Italia invece il 57,3% delle acque è inquinato dai pesticidi e il 36,6% oltre i limiti di legge».

Peccato che nessuno ne parli mai, nei titoli di testa dei telegiornali, ipnotizzati dalla Borsa e dallo spettro della “crescita”. «Che il denaro e lo “sviluppo” non facciano la felicità non è un semplice luogo comune, e nemmeno ipocrisia», sostengono Ermani e Pignatta, citando le classifiche delle nazioni più felici al mondo stilate dalla World Value Survey: ai primi posti svettano paesi che solitamente appartengono al cosiddetto Terzo Mondo, come Costarica, Cuba, Colombia, Vietnam, Bhutan, Repubblica Dominicana. Gli autori di un recente studio americano e tedesco citano Tucidide: «Il segreto della felicità è la libertà». Giusto. «Ma chi vive in Occidente, compresso tra la coda in autostrada e il cellulare impazzito, sa bene sotto quanti e quali punti di vista valga questa affermazione», commentano gli autori di “Pensare come le montagne”, alle prese col dilemma di fondo: com’è possibile ottenere un cambiamento reale, radicale, capace davvero di metterci in salvo?

Dopo la diffusione di massa di migliaia di libri, rilanciati dall’avvento di Internet, è davvero difficile poter affermare che non si è a conoscenza della gravità della situazione. Quello che purtroppo manca quasi sempre, in queste analisi, è la via d’uscita: cosa possono fare veramente le persone, nel quotidiano, nell’immediato e in un futuro più o meno vicino? «Le soluzioni talvolta fornite sono molto miopi e si crogiolano in illusioni tipiche del modello culturale legato al concetto lineare di “progresso”» . I più attivi si impegnano in raccolte di firme, conferenze e dibattiti, dando vita a movimenti che rischiano di finire svuotati, in pasto ai carrieristi della politica. E dire che al mondo «ci sono almeno 130.000 organizzazioni che lavorano per la giustizia ambientale e sociale»: possibile che non si trovino idee capaci di tradursi in azione?

«Se così tante persone cambiassero veramente l’organizzazione della propria esistenza, così come dovrebbe essere interpretando i loro intenti manifestati, la situazione sarebbe sicuramente molto meno catastrofica dell’attuale», sostengono Ermani e Pignatta, diffidenti anche nei confronti della green economy: «Mettere un pannello fotovoltaico e poi mangiare carne tutti i giorni, annulla praticamente i benefici apportati dalla presunta scelta energetica ecologica». La chiave? Disponibilità quotidiana dei singoli, alleati in comunità territoriali per cambiare da subito usi e costumi, e soprattutto consumi, giorno per giorno. “Pensare come le montagne” è dedicato a loro: il libro fornisce istruzioni preziose per chi vuole «cambiare veramente vita, uscire dalla gabbia del sistema tecnico-burocratico e dall’isolamento socio-relazionale» al quale ci condanna l’attuale società di consumatori disperatamente soli.

E chi invece pensa che il cambiamento debba necessariamente avvenire attraverso i politici, i leader, la venuta di un nuovo messia? Chi spera nelle manifestazioni oceaniche in piazza e nella nascita dell’ennesimo forum telematico o partito politico?  Nel saggio di Ermani e Pignatta «troverà pane per i suoi denti», e alla fine probabilmente cambierà idea: perché quello che serve, drammaticamente, è «un impegno in prima persona per cambiamenti quotidiani concreti all’interno di una comunità e un’economia partecipativa». Come auspica Michel Albert: «Nuove istituzioni, anch’esse determinate da esseri umani, possono generare risultati ben superiori, che liberano i nostri talenti e il nostro spirito», dando spazio a tutti. Serve un nuovo orizzonte, antico e vasto, durevole “come le montagne”. Purché si faccia in fretta, perché il tempo sta davvero scadendo.

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