http://www.ipsnotizie.it I paesi himalayani devono rompere il ghiaccio KATHMANDU, 24 novembre 2011 (IPS) - Chungda Sherpa, un pastore del Nepal orientale, ha una storia preoccupante da raccontare in vista della conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici che partirà il 28 novembre a Durban, Sudafrica. Nell’ambito della campagna ‘Testimoni del Clima’ del WWF-Giappone lanciata a Tokyo e ad Osaka, volta a sensibilizzare la comunità mondiale sulla grave minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici, Chungda Sherpa, 48 anni, ha raccontato che il ghiacciaio del monte Kanchenjunga, la terza cima più alta del mondo, si sta rapidamente sciogliendo. “Quando ero giovane...dicevano che era uno dei ghiacciai non polari più grandi del mondo”, dichiara. “Ma adesso si è ritirato, e si sono formati dei nuovi laghi glaciali che continuano a crescere e si trasformano in inondazioni da collasso di lago glaciale [GLOF, dalla sigla inglese], mettendo a rischio le nostre vite e tutto ciò che abbiamo”. L’aumento della temperatura media globale nell’ultimo secolo, di circa 0,75° gradi centigradi, ha il suo effetto più visibile e immediato sulle catene montuose, spiega Pradeep Mool, esperto del Centro internazionale per lo sviluppo integrato della montagna (ICIMOD). “La salute dei ghiacciai è indice dello stato del clima”, ha detto Mool. “Nel 1957, quando il geologo svizzero Toni Hagen fotografò il ghiacciaio del Gangapurna, sul versante settentrionale del monte Annapurna, questo si estendeva fino alla valle Manang. Ma dalle foto più recenti si vede che non è rimasto altro che una lingua sospesa. Abbiamo assistito a questa enorme trasformazione nell’arco di una vita umana”. Lo scioglimento e il ritiro dei ghiacciai himalayani, che forniscono acqua a più di un miliardo di persone, sono diventati visibili subito dopo il 1970. Trent’anni dopo, il fenomeno è accelerato, portando alla formazione di laghi glaciali sbarrati da dighe moreniche, che crescono minacciosamente. Ci sono più di 20mila laghi glaciali nella catena montuosa himalayana dell’Hindu Kush, e nel 2010 un rapporto sulla valutazione del rischio di GLOF del Centro ICIMOD includeva una lista di 179 laghi potenzialmente pericolosi in Cina, India, Nepal e Pakistan. Gli esperti ne hanno poi identificati altri 25 in Bhutan. Finora, la Cina ha registrato il numero più elevato di GLOF (29), seguita da Nepal (22), Pakistan (9) e Bhutan (4). “C’è un’insufficienza di dati”, afferma Mool. “Ad esempio, si parla di inondazioni fredde in India e Myanmar (Birmania), che potrebbero essere GLOF; alcune immagini satellitari lo confermano. Ma non ci sono prove certe”. La geografia e la geopolitica della regione non favoriscono le indagini approfondite e la condivisione di informazioni. L’elevata altitudine dei ghiacciai e dei laghi glaciali, circa 4.800 metri sopra il livello del mare, li rende praticamente inaccessibili. Per di più, molti di essi si trovano vicino a confini internazionali o territori contesi, come il ghiacciaio indiano Siachen vicino al confine con il Pakistan, o una parte dello stato indiano di Arunachal Pradesh, rivendicato dalla Cina. I conflitti ne fanno aree molto sensibili, spesso inaccessibili alle indagini scientifiche. L’instabilità politica e le violenze che imperversano in queste regioni, come in Afghanistan e Pakistan, ostacolano le ricerche. Ma nonostante le difficoltà, l’ICIMOD ha potuto per la prima volta condurre uno studio più approfondito dei GLOF in Afghanistan e Birmania. Il nuovo inventario di circa 1.700 laghi nei due paesi, possibile soprattutto grazie alle immagini satellitari, sarà presentato alla 17esima Conferenza delle parti (COP 17) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) a Durban, Sudafrica (28 novembre-9 dicembre 2011). Anche se la maggior parte dei governi è consapevole della necessità di combattere i cambiamenti climatici, ed ha adottato singolarmente piani d’azione nazionali e leggi per la gestione dei disastri, è ancora scarso l’impegno collettivo. Ad esempio, il Bhutan ha ospitato lo scorso 19 novembre il “Climate Summit for a Living Himalayas” per discutere degli impatti dei cambiamenti climatici su biodiversità, alimentazione e sicurezza energetica e sul sistema idrico naturale dell’Himalaya. Ma, oltre al paese ospitante, hanno partecipato solo India, Nepal e Bangladesh, e ha sorpreso l’assenza di Cina e Pakistan. “L’incontro era rivolto solo ai paesi dell’Himalaya orientale”, ha dichiarato Krishna Gyawali, funzionario del Ministero dell’ambiente nepalese. “Dobbiamo cominciare da qualche parte e poi espanderci gradualmente”. In realtà, si pensa che il motivo dell’assenza sia la difficile relazione dell’India con Cina e Pakistan. “Alcuni dei principali fiumi dell’Asia, come il Gange, il Brahmaputra e il Mekong, attraversano più paesi”, ha affermato Mool. “I disastri provocati dall’acqua vanno al di là delle frontiere”. “Dieci delle inondazioni GLOF che hanno colpito il Nepal si sono originate in Tibet. E le conseguenze sono durature. Oltre agli enormi costi di ricostruzione delle infrastrutture nelle aree montane, ci sono anche i rischi di un aumento di frane e valanghe. Perciò la cooperazione regionale è indispensabile”. Un segnale positivo è che alcuni di questi paesi collaborano con agenzie donatrici multilaterali per ridurre il rischio di GLOF, creare sistemi di allarme preventivo in caso di inondazioni, o progettare mezzi di sostentamento alternativi per gli sfollati. Martin Krause, team leader presso la divisione energia e ambiente del centro regionale UNDP Asia-Pacifico, spiega che l’agenzia è attualmente impegnata in progetti in Bhutan e Pakistan, e un nuovo progetto partirà il prossimo anno in Nepal. Il progetto in Bhutan è incentrato sulle due aree più vulnerabili del regno buddista, le valli di Punakha-Wangdi e di Chamkhar, che ospitano il 10 per cento della popolazione del paese e importanti infrastrutture. I progetti sono cofinanziati da UNFCC, dal Fondo per i Paesi Meno Sviluppati e dal governo austriaco. L’UNDP spera che una parte del progetto, ossia la riduzione del livello dell’acqua del lago Thorthormi, uno dei laghi glaciali più pericolosi del Bhutan, rappresenti un’esperienza utile per altri paesi come Cina, Pakistan, India e Cile In Pakistan l’UNDP collabora con il governo per creare un organismo che aiuti a far fronte ai rischi di inondazioni GLOF e ad altre questioni che interessano le comunità e il sostentamento del Pakistan settentrionale. Paradossalmente, sebbene il Nepal sia rimasto isolato dal mondo fino agli anni ’50 e sia stato interessato da una rivoluzione comunista durata 10 anni, oggi si rivela il paese più aperto a ricerche, studi e progetti di mitigazione dei disastri. Il prossimo anno, l’UNDP avvierà in Nepal un esteso programma di gestione del rischio da disastri naturali che, tra le altre cose, tenterà di ridurre le perdite umane e materiali delle GLOF in due distretti montuosi: Dolakha e Solukhumbu. Il Nepal, dove si trovano 8 delle 14 montagne più alte del mondo, tra cui l’Everest, ha utilizzato questa vetta simbolica per richiamare l’attenzione sui rischi cui è esposta la sua popolazione. “Nel 2009, il governo nepalese ha convocato una riunione del gabinetto sul Kala Patthar” (un altopiano di 5.242 metri di altitudine ai piedi dell’Everest), racconta Ghana S. Gurung, direttore del programma di conservazione del WWF Nepal. “Nello stesso anno, alla conferenza COP 15 di Copenhagen, ha regalato frammenti di roccia dell’Everest al presidente Usa Barack Obama e all’allora primo ministro britannico Gordon Brown, per richiamare l’attenzione sullo scioglimento della copertura di ghiaccio della montagna, riuscendo a sensibilizzare la comunità internazionale sul pericolo che corre la cima più alta del mondo a causa dei cambiamenti climatici”. |