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25 luglio 2011

Produrre più cibo senza aumentare l'impronta sull'ambiente
di Pietro Greco

Otto strategie per congelare l’impronta dell’agricoltura sull’ambiente. Le propone in un articolo sulla rivista scientifica Nature, Jason Clay, vicepresidente del WWF e responsabile del settore “trasformazione del mercato” del movimento ambientalista internazionale. L’articolo giunge mentre è in atto, nel Corno d’Africa, la più grave carestia degli ultimi decenni. Ma la sua prospettiva è il futuro. Come fare, da qui al 2050, a fornire cibo ad altri 3 miliardi di persone – questo è l’aumento previsto della popolazione mondiale – magari meglio di come ci riusciamo oggi, ma senza aumentare l’impronta umana sull’ambiente.

Diciamo subito che, in questo momento, il problema non è la capacità di produrre cibo a sufficienza. Il mondo oggi ne produce persino in eccedenza. È che lo distribuisce malissimo: tant’è che un miliardo di persone non ne ha accesso a una quantità sufficiente, mentre specularmente un altro miliardo di persone ne consuma troppo. E, soprattutto, lo produce a spese dell’ambiente. Negli ultimi anni, per esempio, le economie emergenti hanno aumentato la loro produzione agricola e hanno soddisfatto la domanda delle proprie popolazioni, ma estendendo la superficie coltivata al ritmo dello 0,6% l’anno, sottraendo questo terreno agli habitat selvaggi e, dunque, alla diversità biologica.

Per risolvere i problemi di equa distribuzione delle risorse alimentari in un mondo da 10 miliardi di persone nel 2050, occorre intervenire a livello politico per riformare il sistema economico. Iniziando, per esempio, dalla drastica riduzione degli aiuti con cui l’Europa e gli Stati Uniti sostengono le proprie agricolture a danno di quella dei paesi più poveri.

Per risolvere i problemi di impatto ambientale conviene, invece, ascoltare le proposte di Jason Clay. Iniziando da quelle pratiche e dalle tecnologie già disponibili. Le migliori sono fino a 100 volte più efficienti delle peggiori. Persino all’interno degli stessi paesi una pratica già usata può essere 10 volte più efficiente di un’altra. Impariamo a diffondere le migliori pratiche già disponibili e, continua Jones, facciamoci aiutare dalle nuove tecnologie. In molti paesi poveri, soprattutto dell’Africa sub-sahariana, l’accesso alle tecnologie è molto limitato. E questo mancato accesso frena l’aumento della produttività.

Se proprio occorre aumentare la superficie coltivabile, non andiamo a intaccare gli habitat naturali ma utilizziamo i terreni degradati che, purtroppo, coprono una superficie sempre più estesa.

Assicuriamo ai contadini dei paesi poveri la proprietà della terra che coltivano: in molti paesi c’è bisogno di quelle riforme agrarie e di lotta al latifondo che abbiamo già conosciuto in Europa.

Impariamo a gestire i rifiuti alimentari. Oggi buttiamo tra il 30 e il 40% del cibo che produciamo. Se recuperassimo tutto questo cibo avremmo già oggi la capacità di sfamare 10 miliardi di persone. Ciò comporta, peraltro, una maggiore intelligenza nei consumi. Che significa, per noi in Occidente, una maggiore austerità: che tra l’altro aiuterebbe a risolvere il problema dell’obesità che riguarda un miliardo di persone.

Impariamo a ripristinare il carbonio presente nei terreni agricoli. Questo carbonio organico nei terreni agricoli tende a diminuire e, dunque, a rendere sempre meno fertili i campi. Le migliori pratiche agricole già disponibili consentono di arricchire il terreno di carbonio organico tra lo 0,5 e il 2,0%.

Resta l’ultima proposta di Jason Clay. Quella forse più sorprendente, per un ambientalista: utilizziamo le migliori conoscenze genetiche disponibili. Per almeno sei millenni gli uomini lo hanno fatto, realizzando quella che Charles Darwin chiamava la selezione artificiale. Oggi le migliori conoscenze disponibili sono legate anche alla possibilità di leggere e utilizzare il codice genetico nei laboratori di biologia molecolare. Clay fa riferimento al sequenziamento del genoma delle piante e all’uso dell’informazione. Ma, è evidente, apre la partita anche agli organismi geneticamente modificati. E questa è una novità.

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