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Isolate gli Israeliani Ghada Karmi was born in Jerusalem and left Palestine for England in 1949. She practised as a doctor for many years working as as specialist in the health of migrants and refugees. She held a number of research appointments on Middle Eastern politics and culture at the School of Oriental and African Studies in the Universities of Durham and Leeds. From 1999 to 2001 she was an Associate Fellow of the Royal Institute of International Affairs, where she led a major project on Israel-Palestinian reconciliation. Currently Ghada Karmi is a Research Fellow at the Institute of Arab and Islamic Studies, University of Exeter.
Può Israele vincere la sua recente battaglia con l’opinione pubblica? Molti pensano che questo sia un momento determinante nella lunga storia dell’impunità di Israele. Finora la capacità israeliana di sfuggire alla censura internazionale è stata impressionante. Un filo conduttore dei passati misfatti - l’invasione del Libano nel 1982 e l’assedio di Beirut ovest, il massacro di Sabra e Chatila, la guerra con il Libano del 2006, l’interminabile occupazione delle terre arabe, anche la guerra di Gaza del 2008 2009, che avrebbe dovuto essere decisiva finisce per offuscare irreparabilmente la reputazione di Israele. A dispetto delle severe condanne internazionali ogni volta, è sempre riuscito a superare le critiche stringendosi nelle spalle. L’attacco alla Freedom Flotilla del 31 maggio è l’attuale oggetto della censura internazionale. Ma, guardando al futuro, non c’è motivo di pensare che questa volta sia diverso. Non solo per le speculazioni sul crescente isolamento internazionale che danneggerebbe Israele. Lo scorso maggio Israele ha ottenuto un posto nella prestigiosa organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo, una partecipazione senza precedenti per uno stato delle sue dimensioni. Un miglioramento delle relazioni con l’Europa, un continente già favorevole a Israele, viene ritardato ma non cancellato. Il chiasso intorno all’assalto alla Flotilla si è già affievolito, e Israele forse pensa di aver archiviato anche queste ultime condanne della comunità internazionale. Ma forse questa volta non sarà così semplice. La spacconeria del potere di Israele che si gloria di fronte al Congresso USA, e il recente successo nell’apparente restaurazione di cordiali rapporti con il Presidente Barak Obama, non può mascherare l’ondata crescente di panico tra gli israeliani. Per uno stato che sposa l’idea di se stesso come legittimo, stimabile e meritevole membro della comunità internazionale, il fuoco di fila che l’immagine di Israele ha ricevuto in questi ultimi mesi, è preoccupante. Il clima delle opinioni internazionali non era mai stato così ostile nei riguardi di Israele. Il selvaggio assalto su Gaza ha avuto un fortissimo impatto sulla pubblica opinione internazionale, aggravato in seguito dall’assalto alla Flotilla, durante il quale sono stati uccisi nove attivisti umanitari turchi. La solita invocazione israeliana di antisemitismo e minaccia alla sicurezza non funziona. Il parziale allentamento dell’assedio di Gaza è fallito nel tentativo di arginare l’onda di criticismo. Il mese scorso l’unico alleato islamico di Israele ha annunciato la sospensione di una cooperazione militare dal valore di sette miliardi e mezzo di dollari. Lo spazio aereo turco è stato chiuso ai voli militari. La paura di rappresaglie ha tenuto i turisti israeliani fuori dalla Turchia, e anche i funzionari di stato sono stati consigliati di non visitare la Turchia. L’ONU ha insistito per una commissione d’inchiesta indipendente sugli eventi della Flotilla, bypassando la proposta israeliana. Il controllo di Gaza, fino ad ora senza impedimenti, inizia ad essere minacciato dalla richiesta europea di porre fine all’assedio e di implementare un meccanismo di monitoraggio per il territorio di Gaza e per l’accesso al mare, così che gli aiuti umanitari possano raggiungere la striscia senza impedimenti. Persino il devoto alleato USA, ha definito l’assedio inaccettabile. Da gennaio le relazioni di Israele con diversi paesi occidentali sono diventate difficili. L’Inghilterra e l’Australia hanno reagito espellendo diplomatici israeliani, dopo aver scoperto l’uso, da parte del Mossad, di passaporti inglesi e australiani durante l’uccisione di Mahmoud Al Mabhouh avvenuta a Dubai. Dove l’autorità di polizia arrestò un agente del Mossad coinvolto nell’assassinio. Inghilterra, Francia, Spagna e Italia si sono schierate con fermezza contro l’attacco alla Flotilla. Il 14 giugno il Ministro della Difesa Ehud Barak ha cancellato un viaggio alla Fiera delle Armi di Parigi, perché allertato della possibilità che un gruppo pro Palestina era intenzionato a richiedere il suo arresto. Nel frattempo il movimento per il boicottaggio contro Israele ha realizzato straordinari momenti. Personalità israeliane vengono prese di mira nelle Università europee e americane, costretti a rinunciare alle loro letture e conferenze. Questa settimana 76 accademici di rango, in India, compreso lo scrittore Arundhati Roy, hanno firmato un appello per il boicottaggio culturale e accademico di Israele. Unendosi al già stabile movimento accademico di boicottaggio britannico, BRICUP, insieme al gruppo di boicottaggio accademico che sta crescendo negli USA. Inoltre il movimento di boicottaggio sta sviluppando anche altre forme e sostenitori: The Pixies, Klaxons and Gorillaz, hanno cancellato i loro concerti in Israele. Scrittori famosi come Alice Walker e Lain Banks stanno boicottando Israele; Banks ha rifiutato la traduzione in ebraico del suo libro, così come la Regina Rania per il suo ultimo libro per bambini. Gli scaricatori dei porti in Svezia, Norvegia, India e Sud Africa si sono rifiutati di scaricare le navi israeliane. A San Francisco gli scaricatori hanno ritardato le operazioni di scarico di ventiquattr’ore, azione mai registrata prima tra i sindacati USA e britannici che hanno deciso di boicottare le compagnie israeliane. Il movimento cresce in Europa e negli USA ottenendo il disinvestimento da compagnie come la Caterpillar, che lavoro per sostenere l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. La spontaneità e la velocità che accomuna tutte queste prese di posizione e molto importante. Al di sotto del livello governativo di sostegno a Israele, si insinua un’inquietante incertezza sulla sua condotta. Anche a livello popolare l’opinione pubblica ha cambiato atteggiamento, da quando Israele veniva identificato come la vittima, viene ora considerato il prepotente. In Inghilterra per esempio la simpatia per i palestinesi impressiona. I racconti suggeriscono che lo stesso accade anche altrove. Se questo trend continua l’isolamento di Israele peggiorerà. E questa è probabilmente l’unica via per Israele di afferrare e comprendere che l’aggressione infinita ha un prezzo e che la pace non si fa con il tamburo di una pistola.
Isolate the Israelis... Can Israel survive its recent battering in public opinion? Many believe that this may be a defining moment in a long history of Israeli impunity. Hitherto, Israel's record of recovery from international censure has been impressive. A string of past misdeeds - the 1982 Lebanon invasion and siege of West Beirut, the Sabra and Shatila massacres, the 2006 Lebanon war, the interminable occupation of Arab land, even the 2008-2009 war on Gaza that should have been decisive - failed to tarnish Israel's reputation irreparably. Despite strong international condemnation each time, it was always been able to shrug off its critics. The Israeli attack on the Gaza Freedom Flotilla on May 31 is the current object of international censure. But, going by the past, there is no reason to suppose this time will be different. Speculation about growing international isolation that will damage Israel may be just that. This May, Israel gained membership in the prestigious Organisation for Economic Co-operation and Development, unprecedented for a state of its size. An upgrade of relations with Europe, already a continent most favourable to Israel, is delayed but not cancelled. The fuss over the flotilla assault is fading, and Israel may feel it has succeeded in facing down international condemnation yet again. Yet, it may not turn out so well this time. Bravado, the flaunting of Israeli power over the US Congress, and the recent success in apparently restoring cordial relations with President Barack Obama cannot disguise a tide of rising panic among Israelis. For a state so wedded to the idea of itself as legitimate, reputable and a worthy member of the world community, the battering this image has received in recent months must be worrying. The international climate of opinion has never been so hostile towards Israel. The savage assault on Gaza had a powerful impact on international public opinion, further aggravated by the flotilla affair, in which nine Turkish humanitarian activists were killed. Israel's stock invocation of anti-Semitism and security threats is not working. Its partial easing of the Gaza blockade has failed to stem the tide of criticism. Last month Israel's only Islamic ally, Turkey, announced a suspension of all military co-operation worth $7.5 billion. Turkish airspace has been closed to Israeli military aircraft. Fear of reprisals has kept Israeli tourists out of Turkey, and Israeli officers have been instructed not to visit there. The UN has insisted on an independent inquiry into events around the flotilla, and not the one Israel proposes. Israel's hitherto unfettered control over Gaza is further under threat by the European Union's call for an end to the blockade and its intention to set up a monitoring mechanism for Gaza's land and sea crossings so that more humanitarian aid can enter unimpeded. Even Israel's staunchest ally, the US, has called the Gaza siege "unacceptable." Relations between Israel and several Western states have been strained since January. The UK and Australia expelled Israeli diplomats in reaction to the illegal use by Mossad agents of their passports in Mahmoud Al Mabhouh's killing in Dubai. The Polish authorities arrested a Mossad agent accused of involvement. The UK, France, Spain and Italy have demanded firm action over the flotilla attack. On June 14, Israel's defence minister Ehud Barak cancelled a trip to the Paris Arms Show, having been warned that pro-Palestinian groups would seek his arrest. Meanwhile, the boycott movement against Israel has gained astonishing momentum. Israeli officials are frequently targeted at universities in Europe and America, forcing them to cancel lectures. This week 76 distinguished Indian academics, including writer Arundhati Roy, signed a call for cultural and academic boycott of Israel. They have joined the well-established British academic boycott of Israel movement, BRICUP, and a growing US academic boycott group. A cultural boycott of Israel movement is also developing; the Pixies, Klaxons and Gorillaz recently cancelled concerts in Israel. Prominent writers Alice Walker and Iain Banks are also boycotting Israel. Banks has refused to have his books translated into Hebrew, as has Jordan's Queen Rania whose book for children has just been published. Dockworkers in Sweden, Norway, India and South Africa are refusing to handle Israeli ships. In San Francisco, bay dockworkers delayed Israeli ships for 24 hours, unheard of in the US. Britain's Unite union has resolved to boycott Israeli companies, and there is a mounting movement in Europe and the US for divestment from companies such as Caterpillar, which work to support Israel's occupation of the Palestinian territories. Individually none of these acts is likely to threaten Israel. It is their collectivity and the speed with which they are spreading and increasing that is important. Beneath the official level of Western governmental support for Israel, there is private disquiet about Israeli conduct. And at the popular level, there is a sea change in opinion: where Israel was once seen as the victim, it has now become the bully. In the UK, for example, the strength of popular sympathy for Palestinians is striking. Anecdotal evidence suggests that the same is happening elsewhere. If this trend continues and Israel's isolation worsens it will be no bad thing. It may be the only way for Israelis to grasp that endless aggression comes at a price and that peace is not made through the barrel of a gun.
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