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Lunedì 25 Gennaio 2010 18:40

Gli Agricoltori Palestinesi Sono Trattati Come Criminali
di Amira Hass
da Haaretz
Traduzione To.DG

25 gennaio 2010

Coperto dall’incessante rumore delle strade del distretto di Hebron, un arabo anonimo sta perpetrando un grave crimine: con un piccolo martello sta scavando una cisterna così potrà raccogliere l’acqua piovana che cade sulla sua terra rocciosa. Altri criminali hanno altri metodi per attuare i loro progetti malefici, cioè: preparare il terreno per la coltivazione di verdure, cereali, vigneti o mandorli.

“Quando qualcuno realizza una terrazza sulla sua terra, lo fa prendendo una pietra dal terreno e aggiungendola al muro di sostegno una volta al mese o una volta alla settimana al massimo, così che sarà difficile individuarne il cambiamento”, dice un abitante di Hebron, spiegando uno dei metodi.

L’esperienza mostra che utilizzando attrezzature pesanti per sistemare la terra, essi attrarranno immediatamente gli ispettori della Amministrazione Civile e i coloni locali e a ciò seguirà a breve l’ingiunzione di blocco dei lavori.

Nello spirito del detto popolare di “dare a un uomo una canna da pesca piuttosto che un pesce”, l’unione Europea negli ultimi anni ha rivolto attenzione e dato finanziamenti agli agricoltori palestinesi. Questi progetti sono disegnati per incrementare le entrate nelle famiglie povere del settore agricolo consentendo loro di bonificare le loro terre e di espandere l’area coltivata. La logica del “dare la canna da pesca” incontra anche la necessità del ritorno ai metodi agricoli tradizionali, compatibili con l’ambiente e della conservazione del patrimonio genetico delle specie coltivate, mentre si fa il migliore uso dell’acqua – contrastando così anche la desertificazione.

“E noi siamo stati realmente convinti che palestinesi e israeliani avessero un interesse comune: lo sviluppo dell’Area C, come supporto dell’economia palestinese e di progetti convenienti a entrambe le parti in termini di ambiente”, disse un diplomatico europeo – che si è scoperto aveva torto.

Negli ultimi due anni, l’Amministrazione Civile dell’area di Hebron ha emesso dozzine di ordini di blocco dei lavori ad agricoltori palestinesi che cercavano di bonificare, ripristinare e preparare la terra sulla loro proprietà. È in questo modo che i funzionari europei, rappresentanti delle nazioni donatrici, hanno scoperto che ai palestinesi “non è consentito muovere una pietra, piantare un albero o raccogliere l’acqua piovana sulla loro terra senza l’approvazione della Amministrazione Civile”, così uno di loro ha riferito ad Haaretz.

I palestinesi hanno diverse associazioni di agricoltori veterani che sono attive sin dai primi anni ‘80; essi non avevano la necessità che gli europei inventassero la ruota per loro, ma essi hanno bisogno di supporto economico.

Il sistema funziona così: gli europei trasferiscono denaro alle agenzie non-governative, che sono collegate alle organizzazioni locali. Una di queste agenzie è la Union of Agricultural Work Committees, una delle più vecchie organizzazioni non-governative palestinesi. Questa organizzazione ha ricevuto 2,25 milioni di euro dalla EU per un progetto di tre anni finalizzato a bonificare e ripristinare 2000 dunum di terra agricola nel distretto di Hebron. Ciò significa rimuovere rocce e pietre, livellare il terreno, realizzare terrazze e recinti di pietra, scavare cisterne e migliorare le strade di accesso ai campi. Questo progetto coinvolge diverse centinaia di famiglie tutte quante d’accordo su una delle condizioni principali: pagare il 25% del costo del lavoro sulla loro terra.

Circa il 70% della terra agricola palestinese è localizzata nell’area che Israele ha definito come Area C, che è sotto il totale controllo israeliano. Perciò, per le organizzazioni no-profit, recuperare la terra è parte della lotta popolare e politica contro la annessione di terra agli insediamenti e avamposti israeliani. Ma per gli agricoltori stessi questa battaglia comporta anche molti rischi che molti preferirebbero non avere.

Come conseguenza della marea di ingiunzioni di blocco dei lavori che sono arrivati nel 2008, dice un funzionario europeo, pochi agricoltori hanno voluto unirsi al progetto di recupero della terra nell’Area C. Alcuni hanno preso in prestito del denaro allo scopo di pagare la loro parte dei lavori. Poi sono arrivate le ingiunzioni. I lavori sono stati fermati, ma i loro debiti sono rimasti o i loro risparmi si sono prosciugati. In molti casi, i macchinari affittati per realizzare i lavori sono stati confiscati dalla Amministrazione Civile. Per questi macchinari è necessario un permesso, poiché il loro uso è considerato “costruzione”. I loro proprietari sono stati lasciati senza la loro fonte di guadagno per diversi mesi. Alcuni operatori di scavatrici sono stati arrestati per diversi giorni. L’ Union of Agricultural Work Committees ha confermato: alcuni di loro che erano stati segnalati per il progetto hanno cambiato idea.

Ordine di fermo

Nessuno vuole fare esperienza di ciò che è accaduto quattro mesi fa alla famiglia di Rabi’a Jaber. Ad ottobre, i soldati israeliani dell’Israel Defense Forces (IDF) e l’Amministrazione Civile hanno fatto irruzione nel campo della famiglia, di 10 dunum, secco e roccioso, a sud-est di Hebron. Un bulldozer dell’IDF ha disperso le pietre delle terrazze, ha rivoltato il terreno e distrutto la cisterna.

I lavori nel campo molto roccioso sul pendio della montagna di fronte alla casa dei Jaber, sono cominciati a maggio 2008. Una grossa scavatrice palestinese ha rimosso e frantumato le rocce e scavato una cisterna per raccogliere l’acqua; una scavatrice più piccola ha sminuzzato le rocce frantumate in pietre più piccole e iniziato a formare le terrazze sul pendio. La famiglia – quattro fratelli, 35 persone – avevano pianificato di piantare vite, olivi e mandorli, tutte colture che non necessitano di irrigazione. Ma ad ottobre 2008, quando i lavori erano quasi ultimati, è arrivato l’ordine di fermo.

Dall’ordine è venuto fuori che l’Amministrazione Civile aveva stabilito che i Jabers stavano invadendo terra che non era loro, anche se i Jabers avevano i documenti che riportavano le tasse pagate sulla terra dal tempo del governo giordano e anche i loro vicini, proprietari dei terreni adiacenti, hanno sempre saputo che quella è la loro terra.

La demolizione ha sollevato un polverone dopo i reports scritti e filmati apparsi su siti web pro-coloni. L’ultimo sosteneva anche entusiasticamente di identificare i partner di questa invasione delle terre: l’UE e l’Oxfam (Belgio).

Khader Shibak di Halhoul ha ricevuto il suo ordine di blocco nell’agosto 2008, quattro giorni dopo aver cominciato i lavori. Fino a dieci anni fa lui e suo fratello avevano sulla loro terra vigneti e mandorleti. Nel 2000 inoltrato, un campo militare fu montato sulla cima della montagna. Questo e le restrizioni agli spostamenti durante l’Intifada che cominciò in quell’anno, non consentirono alla famiglia di accedere sia al vigneto che al frutteto. Nel 2008 il campo militare è stato rimosso e la famiglia ha deciso di bonificare e ripristinare la loro terra e di piantare nuovi alberi.

Sia i Jabers che gli Shibaks – entrambi beneficiari del progetto dell’Union of Agricultural Work Committees – sono stati chiamati a presentare alle autorità israeliane i documenti che provano la proprietà della terra e il loro diritto a coltivarla. Si tratta di un processo dispendioso, che richiede tempo e comporta tasse, avvocati, viaggi a Beit El, direzione dell’Amministrazione Civile, scavare negli archivi con il risultato che spesso le autorità israeliane non sono soddisfatte, con la loro definizione molto flessibile di terra di stato e terra privata. Entrambe le famiglie sono impantanate nel mezzo.

Hani Zema’ara di Halhoul, 56, voleva sistemare tre dunam della sua terra. Anche il suo lavoro è stato bloccato. La terra di Zema’ara, fra l’altro, era stata coltivata prima del 1993, ma le sue colture furono distrutte quando fu realizzata la bypass road di Hebron. Egli, a dire il vero, ha fornito tutti i documenti necessari per dimostrare agli israeliani che è il proprietario della terra – includendo una mappa dettagliata e un pianta schizzata da un geometra appositamente per lui. Ha investito 3.500 NIS, che non ha, per ottenere tutti i documenti necessari. É trascorso più di un anno ed egli sta ancora aspettando il permesso. Le terrazze quasi complete sul suo campo rimangono lì nella loro

aridità, sul pendio della montagna. “Per Israele, quando noi lavoriamo nella nostra terra, è come se uccidessimo un israeliano”, è ciò che esprime un membro della Union of Agricultural Work Committees.

I funzionari europei che sono coinvolti nel processo di finanziamento sono convinti che l’Amministrazione Civile è diventata più severa negli ultimi anni nelle azioni contro gli agricoltori palestinesi, sotto la pressione dei coloni in generale e della associazione Regavim in particolare. Regavim, che si autodefinisce “il movimento per la conservazione delle terre della nazione”, sta espandendo assiduamente il suo lavoro di individuazione delle “violazioni” palestinesi nell’Area C.

Un portavoce della Regavim ha riferito ad Haaretz che l’organizzazione “ sta eseguendo un approccio molto serio riguardo l’acquisizione illegale da parte degli arabi di terre nell’Area C in Giudea e Samaria, anche per mezzo di coltivazioni agricole realizzate solo per questo scopo.

“Regavim sta seguendo con preoccupazione l’aumentato coinvolgimento di Paesi ed entità estere unilateralmente, violando le leggi dello Stato di Israele minando sfacciatamente la sua sovranità… Regavim chiede al Ministero degli Esteri di inviare un messaggio univoco alle parti internazionali e dichiarare che Israele è molto infastidito dal loro comportamento e pretende che essi desistano immediatamente.

“Il movimento Regavim è compiaciuto di sentire che l’Amministrazione Civile ha risposto alle sue richieste e che sia stata rafforzata la legge in maniera egualitaria, anche tra gli arabi”

Al momento della pubblicazione, l’Amministrazione Civile non ha risposto alle domande di Haaretz.

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