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27 novembre 2010

Ondata di Demolizioni in Cisgiordania

Secondo un rapporto diffuso dall’Ufficio di Coordinamento delle Nazioni Unite, sono 18 le strutture edilizie distrutte da Israele in Cisgiordania, solo dal 24 novembre.

Ramallah, 27 novembre 2010 Nena news

Settimana di demolizioni in Cisgiordania: solo giovedi l’esercito israeliano ha buttato giù una moschea e altre 10 strutture utilizzate per il ricovero delle pecore. La maggior parte delle demolizioni è avvenuta a nord della Valle del Giordano, vicino Khirbet Yarza, un villaggio con meno di 200 residenti palestinesi.  IL COGAT, unità di coordinamento (parte del Ministero della Difesa) tra esercito israeliano e amministrazione palestinese, ne ha dato conferma ai media israeliani, spiegando che le strutture si trovavano in un’area dichiarata “zona militare chiusa” e che si trattava di strutture prive del permesso di costruzione. Del resto oltre il 18% della Cisgiordania è definita “area militarmente chiusa”. Khirbat Yarza, a est di Tubas, è considerata area C, quindi sotto pieno controllo israeliano, sia amministrativo che militare. Secondo i dati diffusi dalle organizzazioni israeliane, oltre il 95% delle richieste di permessi di costruzione avanzate dai palestinesi viene rifiutata dall’amministrazione civile israeliana, che  approva una media di 12 permessi all’anno.

Secondo il rapporto ONU diffuso a fine novembre 2009, costruire è vietato su circa il 70% della Cisgiordania, con il 30% rimanente in cui vengono applicate tutta una serie di restrizioni che eliminano di fatto la possibilità di ottenere un permesso. Nella Valle del Giordano poi, la costruzione è vietata ovunque.

Secondo quanto dichiarato dai residenti palestinesi in un’ intervista all’agenzia palestinese Ma’an News, la moschea era stata costruita prima dell’occupazione nel 1967 e solo in seguito ingrandita, mentre secondo il portavoce dell’esercito nei dati diffusi da Al Jazeera, “tra le strutture demolite non figurerebbe alcuna moschea”. Il portavoce locale dell’ANP Ahmad As’ad sostiene invece che  residenti sono in possesso di carte che provano il regolare permesso per la costruzione dell’edificio adibito a moschea. Sempre secondo le dichiarazioni ufficiali da parte israeliana, ai residenti sarebbero stati notificati  tre mesi fa gli ordini di demolizioni, consentendo loro di intraprendere un appello presso le corti israeliane. “C’era tutto il tempo perché l’appello arrivasse sui tavoli dell’amministrazione israeliana” hanno dichiarato gli ufficiali israeliani, ma secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite è bassissima la percentuale di appelli che trova poi un riscontro legale, scoraggiando ulteriormente i residenti palestinesi dall’affrontare la tortuosa burocrazia isrealiana.

Sempre nel corso della settimana, al sud della Cisgiordania, nei pressi di Yatta, è stato demolito un altro edificio che ospitava 18 palestinesi. Secondo il settimanale rapporto diffuso venerdì dall’Ufficio di Coordinamento delle Nazioni Unite nei territori palestinesi (OCHA) sono 18 le strutture distrutte da Israele solo dal 24 novembre, lasciando senza tetto sulla testa 54 persone. L’altra grande ondata di demolizioni è avvenuta a Gerusalemme Est, nell’area di Al ‘Isawiya: la municipalità ha dato ordine di distruggere 4 strutture, incluse tre capannoni usati per gli animali e un’altra struttura utilizzata come deposito del foraggio. Ventitre alberi sono stati sradicati e due dunum di terra livellati dai bulldozer nel corso dell’operazione. Sempre le Nazioni Unite fanno notare che l’accesso al villaggio è chiuso dall’esercito israeliano in due punti, mentre un check-point volante controlla un terzo accesso, costringendo i residenti ad un percorso più lungo. Nelle ultime tre settimane Al ‘Isawiya è oggetto di un’ondata di operazioni da parte dell’esercito e dell’amministrazione di Gerusalemme, mirate a colpire gli evasori fiscali e le strutture prive di regolare permesso di costruzione, operazioni che hanno dato luogo a scontri in alcuni casi molto violenti tra forze di polizia e residenti, con il ferimento di 19 bambini palestinesi. Nena News

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