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20 dicembre 2010

Chi Protegge I Bambini Palestinesi?
di Nunzio Corona

Nello scorso anno a Gerusalemme sono state aperte cause legali contro piu' di 1.200 minori palestinesi accusati di avere lanciato sassi contro la polizia, quasi il doppio degli arrestati l'anno precedente nel territorio dell'intera Cisgiordania.

Gerusalemme, 20 dicembre 2010, Nena News – Aumentano in queste ultime settimane le preoccupazioni per il livello di violenza cui sono sottoposti i bambini palestinesi dalle forze di sicurezza israeliane. Nena-News del 13 dicembre riferiva dei “Bambini nel mirino” nel martoriato quartiere di Silwan a Gerusalemme Est[1] riportando quanto documentato dall’organizzazione israeliana B’Tselem[2]: arresti e violenze su giovani minorenni in totale violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e della stessa legge israeliana.

Lo stesso giorno Amira Hass sul quotidiano israeliano Haaretz[3] riferiva della grande risonanza che questi fatti stanno avendo in Gran Bretagna dove il 7 dicembre un dibattito parlamentare stigmatizzava il trattamento riservato ai detenuti palestinesi minorenni. Un portavoce del governo britannico rilevava in quella sede come “troppo spesso non riceviamo risposte alle pressioni” che facciamo su Israele. Le motivazioni sono in genere insoddisfacenti e si rifanno a generiche questioni di sicurezza.

Nello scorso anno a Gerusalemme sono state aperte cause legali contro piu’ di 1200 minori palestinesi accusati di avere lanciato sassi contro la polizia, quasi il doppio degli arrestati l’anno precedente nel territorio dell’intera Cisgiordania. Lo riferisce l‘Associazione per i Diritti Umani in Israele (ACRI),[4] che documenta la violenza con cui le forze israeliane calpestano i diritti legali dei bambini lasciando molti di loro con profondi traumi emotivi. Le testimonianze raccolte rivelano come il piu’ delle volte i bambini sono arrestati in incursioni a notte fonda, ammanettati e interrogati per ore senza la presenza di un genitore o un avvocato. In molti casi i bambini riferiscono di avere subito violenze e minacce.

Defence for Children International (DCI) ha documentato casi di tortura sui bambini. “Per la prima volta…tre casi (documentati) di bambini che hanno riferito di avere subito shock elettrici da parte di agenti israeliani nella colonia di Ariel”. Erano accusati di lanciare sassi. L’applicazione di shock elettrico ha portato ad una confessione anche se i ragazzi insistono sulla loro innocenza. DCI e il Comitato Pubblico contro la Tortura in Israele (PACBI) hanno sollecitato le autorita’ israeliane a condurre un’inchiesta sui fatti  riferiti riguardanti l’”applicazione di cavi da batteria di automobile ai genitali di un ragazzo di 14 anni per costringerlo a confessare di aver lanciato sassi.”[5]

Le Nazioni Unite sono consapevoli della vulnerabilita’ dei bambini alla violenza politica in situazioni di conflitto e ne chiedono conto ai propri Stati Membri.  Le Osservazioni Conclusive della 53ma sessione (Gennaio 2010) della Commissione sui Diritti del Bambino sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati[6] sono estremamente severe sul Rapporto presentato dallo Stato di Israele. Sottolineando come la “legislazione di Israele continui a discriminare nella definizione di bambino tra i bambini israeliani (sotto i 18 anni) e i bambini palestinesi nel Territorio Palestinese Occupato – TPO (sotto i 16 anni)”, le “gravi preoccupazioni” espresse dalla Commissione vanno dalle “violazioni al diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo dei bambini all’interno della giurisdizione dello Stato”, alle “serie violazioni sofferte dai bambini durante l’Operazione Piombo Fuso a Gaza… a causa della violenza sproporzionata, l’assenza di distinzione per la popolazione civile e gli ostacoli posti agli aiuti umanitari e medici”; al “reiterato rifiuto di Israele di fornire qualsiasi informazione sulla situazione dei bambini nel TPO”; alla “pratica persistente secondo cui bambini palestinesi sono usati come scudi umani e come informatori a scopo spionistico”; alla “violazione degli standard internazionali nella amministrazione della giustizia minorile e il diritto a un giusto processo.” E prosegue: “La Commissione e’ gravemente preoccupata dei piu’ di 2000 bambini, alcuni di 12 anni, accusati di reati contro la sicurezza tra il 2005 e il 2009, detenuti senza capo d’imputazione fino a 8 giorni e perseguiti penalmente in tribunali militari… soggetti a lunghi periodi in isolamento e ad abusi in condizioni disumane e degradanti [con] inadeguata rappresentanza legale..[e senza la possibilita' di] visite familiari poiche’ ai parenti e’ negato l’ingresso in Israele.”

Cosa si fa per proteggere questi bambini dalla violenza politica? La protezione dei minori e’ responsabilita’ dello Stato, ma nel contesto della lunghissima occupazione militare israeliana e in assenza di uno Stato sovrano palestinese il dovere di proteggere i bambini e di assicurare il loro benessere ricade soprattutto sulle organizzazioni internazionali e le Agenzie delle Nazioni Unite. Un recente (Settembre 2010) Rapporto[7] del Centro Studi sui Rifugiati, Universita’ di Oxford, dal titolo “Proteggere i bambini palestinesi dalla violenza politica” descrive come la comunita’ internazionale abbia finora fallito miseramente in questo compito a causa della tendenza dominante a focalizzarsi su interventi di tipo riparativo anziche’ sulla prevenzione, preoccupata soprattutto di evitare questioni politiche con lo Stato di Israele e i suoi sostenitori.

Tipico e’ il caso dell’UNICEF, il Fondo della Nazioni Unite per i bambini: ” Il rapporto stretto e dipendente che molte organizzazioni per la protezione dei bambini intrattengono con i maggiori governi occidentali significa che il loro lavoro e’ di conseguenza condizionato. Per esempio, la presunta riluttanza dell’UNICEF a prendere posizioni pubbliche nei confronti delle violazioni compiute da Israele, quale firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti del Bambino e di altri strumenti giuridici internazionali, viene attribuita da diversi intervistati soprattutto al timore di alienare donatori e politici influenti negli Stati Uniti dove la lobby pro-israeliana gode di un potere immenso.” (pag.31). Un ex-dirigente di UNICEF nel TPO ammette:” Riguardo a quello che era consentito dire sulla violazione dei diritti dei bambini si riceveva piu’ pressioni da New York [Quartiere Generale di UNICEF] che dallo stesso Governo israeliano.”

Anziche’ farsi incessanti promotrici della eliminazione della minaccia della violenza dello Stato israeliana e dei coloni dalle strade, dalle scuole e dalle case dove sono i bambini, le organizzazioni internazionali preferiscono spendere la maggior parte delle loro energie e dei loro fondi per identificare luoghi dove i bambini palestinesi possano usufruire di attivita’ psico-sociali di dubbio impatto o di sempre piu’ inconsistenti opportunita’ educative e culturali. “Esistono scarse prove,” affermano gli autori, “che i principali donatori, come l’Unione Europea, i governi della Gran Gretagna e degli Stati Uniti, siano disposti a intraprendere quel genere di azioni che sono necessarie a livello politico” (pag. 33) per contrastare le sistematiche violazioni al diritto internazionale che hanno un impatto cosi’ devastante sulla vita dei bambini e delle loro famiglie.

La crisi dei diritti umani che stanno pagando i bambini palestinesi richiede che la comunita’ internazionale si concentri sulle cause anziche’ sugli effetti della violenza sui minori. Di conseguenza, conclude il Rapporto dell’universita’ di Oxford, nonostante l’ammirevole lavoro che stanno facendo, le agenzie che lavorano per la protezione dei minori dovrebbero essere valutate in base alla loro efficacia nel prevenire i danni della violenza politica sui bambini palestinesi. Allo stesso tempo, la loro mancanza di volonta’ ad andare oltre azioni di tipo semplicemente migliorativo, come gli interventi psico-sociali, dovrebbe essere oggetto di attenta discussione critica. Nena News

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