Farian Sabahi Presenta "Donne Senza Uomini" Di Shirin Neshat

[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Il sole 24 ore" del
6 settembre 2009 col titolo "Oppresse, ma non vittime" e il sommario
"L'artista irano-americana Shirin Neshat parla del suo Donne senza uomini,
in gara a Venezia..."]


Conversando con l'artista irano-americana Shirin Neshat il termine che
ricorre con maggior frequenza e' azadi', liberta': quella negata prima dallo
scia' e ora dagli ayatollah, quella limitata concessa alle donne iraniane;
ma anche la liberta' della fotografa e della creatrice di videoistallazioni
in confronto a quella (limitata) della regista: "Il gallerista non esercita
controllo sulle mie foto e sui video, ma queste opere mi hanno reso nota
solo a un pubblico limitato. Con il cinema sara' diverso: a vedere il film
Donne senza uomini, in programmazione al Festival di Venezia mercoledi' 9
settembre, saranno in tanti ma nel realizzarlo la mia liberta' e' stata
limitata dal coinvolgimento del produttore e dalla stesura del copione,
indispensabile per ottenere i finanziamenti".
Shirin Neshat nasce a Qazvin nel 1957, a diciassette anni si trasferisce a
New York e nel 1990 torna in patria dove prende spunto dalle discriminazioni
subite dalle donne per creare le sue prime opere. Come artista visiva si fa
conoscere per il simbolismo delle foto di donna con le armi in pugno e il
corpo - in parte nudo e in parte velato - ricoperto di versi della poetessa
iraniana Forugh Farrokhzad (m. 1967), icona dell'anticonformismo in chiave
femminile.
Ora Shirin Neshat passa al cinema per portare sullo schermo il romanzo Donne
senza uomini (trad. Anna Vanzan, ed. Aiep, San Marino 2000, pp. 126, euro
9,30) scritto vent'anni fa da Shahrnush Parsipur.
Nel libro la prima donna che il lettore incontra e' la ventottenne Faezeh,
vittima di stupro e nubile come la sua amica Munes, che di anni ne ha
trentotto e di sesso sa ben poco. Zarin e' una giovane prostituta che ha
lavorato nel quartiere a luci rosse della Teheran dei Pahlavi, sembra
allegra ma trenta clienti al giorno sono troppi, un mattino li vede senza
testa e dunque privi di una loro individualita': Zarin paga cosi' con la
follia lo sfruttamento del proprio corpo. La malattia mentale e' condivisa
da Mahdokht, un'insegnante nubile terrorizzata dal sesso e ossessionata
dalla fertilita'. Un giorno assiste per caso al rapporto carnale tra la
cameriera quindicenne (consenziente) e l'anziano giardiniere, ne rimane
sconvolta e si pianta nella terra come un albero.
Un giorno queste cinque donne decidono di lasciarsi alle spalle il loro
doloroso passato e si ritrovano nella casa di campagna della vedova Farokh
Legha che dopo trentadue anni di matrimonio trova la forza di rifarsi una
vita. Quel giardino, in cui Mahdokht ha piantato le sue radici, diventa un
rifugio e al tempo stesso una sorta di esilio volontario. In comune hanno il
desiderio di controllare il proprio destino. Ma nel momento in cui
raggiungono un equilibrio utopico ognuna di loro decidera' di andare per la
sua strada.
Ambientato durante l'estate del 1953, alla vigilia del colpo di stato
anglo-americano contro il premier Mossadeq che aveva osato nazionalizzare il
petrolio, il libro della Parsipur e' un mosaico strano e complesso da cui
Neshat aveva gia' tratto delle installazioni. "Il passaggio da una forma
artistica all'altra non e' facile perche' sullo schermo lo spettatore deve
seguire simultaneamente le vicende di piu' personaggi".
Su cinque donne protagoniste Shirin Neshat ne sceglie allora quattro,
escludendo Mahdokht per le implicazioni (anche poetiche) del personaggio. E
sullo schermo Munes si trasforma da donna semplice in attivista coinvolta
nelle manifestazioni contro lo scia'. Muore all'inizio del film e diventa
cosi' l'io narrante che accompagna lo spettatore attraverso gli sviluppi
politici.
Un'altra differenza rispetto al testo originale riguarda il finale. Evoca
Shirin Neshat: "Le mie donne sono si' oppresse ma non vittime e la loro
trasformazione e' positiva perche' in ognuna di loro ritrovo una parte di
me: con Munes condivido la passione politica, come Faezeh vorrei avere una
vita normale, di Farokh Legha mi piace l'idea di invecchiare e la forza di
ricominciare daccapo. Ma il personaggio in cui mi ritrovo di piu' e' Zarin
perche' anch'io avverto la sensazione di vergogna e inadeguatezza del mio
corpo".
Iscritto nella tradizione del realismo magico per scansare (invano) la scure
del censore, il romanzo di Parsipur intreccia elementi personali e sociali,
locali e globali, spirituali e violenti. In confronto al libro, il film e'
piu' politico e non ha alcuna speranza di essere proiettato in Iran: "Non
solo il romanzo da cui e' tratto e' vietato e la sua autrice ha scontato
cinque anni di carcere, ma sullo schermo scorrono scene come quella in cui
Zarin va a lavarsi al bagno pubblico e si spoglia, oppure quella in cui
Faezeh prega, si sbottona la camicia e resta nuda, un modo per far capire
come sia riuscita a ritrovare il proprio corpo dopo lo stupro". Scene
inconcepibili per gli standard morali della Repubblica islamica. Ma
fondamentali per soddisfare il desiderio di liberta' (di espressione) degli
iraniani. Anche nella diaspora.

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