Nonviolenza. Femminile Plurale Numero 276 del 18 settembre 2009
Il Film di Shirin Neshat di Cristina Piccino [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 settembre 2009 col titolo "Iran, quattro donne in cerca di futuro nel paese che le nega"] Shirin Neshat e' una magnifica artista, conosce e ama la potenza delle immagini, la grana di luce, spazio, orizzonte, i corpi che le abitano e tutto questo compone l'intensita' violenta di ogni fotogramma del suo primo film da regista cinematografica, Women Whitout Men, presentato in gara. Il punto di partenza e' il romanzo di Shahmush Parsipur, scrittrice molto conosciuta in Iran che la regista ha cominciato ad amare appena scoperta, da ragazza, quando viveva ancora nel suo paese lasciato per gli Stati Uniti, New York, dove adesso vive. Donne senza uomini intreccia le vite di quattro donne molto diverse in un'estate di rivolta e di repressione. Siamo nel 1953, quando l'Iran elegge democraticamente Mohammad Mossadegh, il primo presidente iraniano che sfida il colonialismo occidentale, nazionalizza il petrolio iraniano sottraendolo al controllo inglese. Lo scia' lascia il paese ma ovviamente gli americani e gli inglesi non tollerano questa dichiarazione di indipendenza, senza contare che l'Iran forniva piu' del 60% del petrolio utilizzato dai paese occidentali. I governi inglese e americano (Churchill e Truman), sbandierando il pericolo comunista, organizzarono un colpo di stato con una serie di attacchi destabilizzanti dall'interno che facevano passare Mossadegh e i suoi sostenitori per nemici del paese permettendo il ritorno al potere dello scia'. Sembra l'Iran del movimento verde, con Ahmadinejad che accusa i suoi oppositori di tramare contro il paese per arrestarli, torturali, ucciderli. Le donne sono Fakhri, cinquantenne che vive nell'amarezza di un pessimo matrimonio con un militare di alta carica che la tratta con disprezzo. E quando rivede la vecchia fiamma che ha lasciato il paese per gli Stati Uniti, la donna abbandona il marito e si rifugia in una strana tenuta di sua proprieta' in cui il tempo sembra sospeso. Munis e' una ragazza che vuole vivere il suo tempo, ma il fratello integralista la chiude in casa, impedendole anche di ascoltare la radio. L'unico modo per uscire nel mondo e' volare giu' dal tetto... La sua amica Faezeh e' innamorata del fratello e non comprende quanto l'uomo sia brutale e egoista. Zarin e' chiusa in un bordello, il corpo scarnificato, che sfrega nell'hammam fino a farlo sanguinare, ci dice del suo dolore e del desiderio di distruggersi. Donne senza uomini parla dell'Iran e lo fa confrontando due momenti, gli anni Cinquanta e il presente che sono anche diversi nell'esperienza dei suoi protagonisti e in una sorta di circolarita' annulla le distanze temporali. Allora le donne potevano scegliere tra la moda occidentale e il velo ma non sembra la questione piu' importante: cio' che conta e' la trama soffocante che costituisce un intero sistema sociale e culturale, nel quale anche la differenza di classe si annulla negli abusi sulla sua componente femminile privata dei diritti piu' semplici, del rispetto, di una dignita'. Costretta a vivere nella paura, aggredita, uccisa, calpestata. Un terrore che scivola sui corpi di queste donne prima ancora che nei loro sentimenti, nel conflitto tra accettazione e desiderio di rivolta, quello spazio aperto di sogni e voci interiori a cui segretamente si abbandonano e dove tutto e' possibile. Potremmo dire che Women Without Men e' un viaggio di "formazione" in cui il femminile - l'universo che narrano le quattro donne - traccia una cartografia di conflitti universali. Le quattro donne vanno verso una nuova consapevolezza di se' che passa attrraverso le epoche, la morte, il disincanto, la sofferenza e anche in una diversa e strana dolcezza di complicita'. Quasi che alla fine divenissero una sola, fragile e fortissima insieme, tanto da lottare per la liberta' senza perdere i desideri. La cifra visiva di Neshat e' quella delle sue opere, col ritmo sospeso in un intreccio di simboli e sovrimpressioni narrative. Non e' un film "realistico" Donne senza uomini anche se parla della realta', e' fortemente politico, quasi "didattico" nel suo rapporto col presente che non esclude dalla storia e dalla metafora. Neshat cerca una diversa sostanza dell'immagine che vuole comunicare. La sua realta' e' una sospensione fantastica (molti cinefili si sono irritati gridando che non e' cinema), nutrita di associazioni personali, che conduce lo spettatore, nel difficile rapporto di associazioni arte-schermo cinematografico, a un diverso sguardo non banalmente "preordinato". * Postilla. Shirin Neshat: Non e' piu' possibile essere artisti non politici Shirin Neshat e' piccolina, occhi scurissimi, eleganza in nero. Arriva a Venezia per il suo esordio da regista. Neshat con le sue immagini da fotografa - o in quelle dei video - continua a cercare la sostanza profonda del suo paese, l'Iran, abbandonato anni fa per New York dove vive. E lo fa concentrandosi sui corpi delle donne, su quel territorio dove piu' di ogni altro spazio sociale e culturale si esercita la tensione tra desiderio di liberta' e pratica dell'oppressione. Le sue opere in Iran sono vietate. "Non credo che nel mio paese sia possibile essere artisti senza impegnarsi politicamente. Soprattutto dopo quanto e' accaduto negli ultimi mesi, e' chiaro a tutto il mondo come stanno le cose e quali atrocita' sta continuando a commettere il governo di Ahmadinejad. Hanno chiuso i giornali, tagliato le comunicazioni, migliaia di persone sono in carcere dove si pratica sistematicamente lo stupro, la sodomia e ogni altra forma di tortura. Dobbiamo dare voce a chi lotta". Shirin Neshat porta la fascetta verde, il colore simbolo del movimento iraniano. "E' un modo per comunicare, tutti adesso dicono che il verde e' il simbolo della nostra protesta. Dobbiamo farci sentire con ogni mezzo. Abbiamo internet che e' uno strumento potente, anche se cercano di oscurarlo. A New York abbiamo organizzato molte manifestazioni di supporto alla lotta in Iran. E' la prima volta, da quando ho lasciato il paese, che sento tanta unita' tra noi iraniani, sia dentro che fuori". |