Articole Riassuntivo del Convegno
di Silvia Zugno

Domenica 8 maggio, all’interno della Fiera del Terzo Settore “Civitas”, si è svolto un seminario sui Corpi Civili di Pace Europei. Il titolo "un’utopia realizzabile" mirava a valorizzare gli aspetti di fattibilità di un sogno ideato da Alex Langer (di cui quest’anno ricorre il decennale dalla tragica scomparsa) e sempre più condiviso da chi si adopera per la costruzione effettiva di una pace sostenibile.

L’appuntamento è stato avvalorato non solo dal Patrocinio concesso dal Comune di Padova, ma dalla presenza delle autorità locali in materia competenti. In apertura, l’Assessore alle Politiche di Pace Renzo Scortegagna ha portato il suo saluto e ha ricordato la problematicità del concetto di pace, la cui estensione autenticamente glocale richiede un’opera paziente e quotidiana a livello microsociale. Lodevole l’attenzione ininterrotta dimostrata nel corso dell’esposizione e la disponibilità ad approfondire lo Studio di Fattibilità promosso dal Comune e dalla Provincia di Ferrara "per la realizzazione di una missione di caschi bianchi da parte di amministrazioni locali"; il medesimo elaborato è stato consegnato anche agli altri rappresentanti politici.

L’ospite d’onore è stato il Prof. Alberto L’Abate, il quale ha riportato un intervento esposto recentemente presso il Parlamento Europeo. Il professore ha sottolineato come esista un illogico squilibrio tra le risorse destinate a contenere le guerre e quelle per farle: contro un unico euro per la prevenzione dei conflitti – tra l’altro sborsato in genere non dagli Stati ma dalle ONG umanitarie -, se ne spendono 140 per scopi militari e di ricostruzione postbellica. Persino la “patria della nonviolenza”, l’India, ha tradito l’eredità gandhiana: essa è oggi il secondo paese al mondo (dopo la Cina) per spese in armamenti, mentre abbandona alle magre risorse finanziarie e di personale le potenzialità degli Shanti Sena (Eserciti di Pace promossi da Gandhi e dai suoi seguaci, precorrendo l’idea dei CCP). Le conseguenze del totale autofinanziamento di questi ultimi si sono viste in occasione dello Tsunami: l’intervento umanitario in India è risultato tardivo e fragile.
Se l’Unione Europea volesse essere, realmente, portatrice di pace, dovrebbe innanzitutto investire molto di più – istituzionalmente – sia sulla previsione, che sulla prevenzione dei conflitti armati. I CCPE potrebbero essere uno strumento formidabilmente costruttivo, specie se s’intendesse con questa sigla (ma le definizioni in merito sono varie) un gruppo fisso di persone che operino con capacità professionale e collaborino proficuamente con sperimentate ONG già attive in quest’ambito, evitando una totale istituzionalizzazione e burocratizzazione d’un organo d’appendice.
L’efficacia di un impegno di prevenzione è stata confermata ricordando il caso Kossovo, per cui lo stesso L’Abate si è molto prodigato: allora, l’intervento armato della Nato conseguì i medesimi obiettivi già presentati già nel 1992 dall’istituto svedese TFFR (Transnational Foundation for Peace and Future Research), ovvero un’amministrazione transitoria dell’area kosovara sotto l’egida delle Nazioni Unite; ma quale fu la pesante differenza? Non solo gli effetti distruttivi di qualunque intervento armato, ma soprattutto la risoluzione nominale e temporanea di un conflitto non sanato alle radici e pronto a riesplodere a breve termine.
L’esperienza insegna che occorrerebbe migliorare e connettere più strettamente gli strumenti di previsione e quelli di prevenzione, non attendendo che il conflitto si acutizzi al punto da richiedere l’intervento militare. A circa 9 anni da quelle date, siamo ancora a discutere come e se fare i Corpi Civili di Pace, mentre l’Europa sta già lavorando per coordinare gli interventi militari e sta costituendo una polizia europea.

Il secondo relatore è stato un affermato ricercatore del CSDC (Centro Studi di Difesa Civile) Matteo Menin, il quale ha approfondito i rapporti tra “La Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) e gli strumenti civili di prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi.” L’UE ha avviato già dal 1999 la creazione di strumenti civili e militari per l’assolvimento delle cosiddette missioni di Petersberg: missioni congiunte in materia di disarmo, umanitarie e di soccorso, di consulenza e assistenza in materia militare, di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace, di combattimento per la gestione delle crisi, di ristabilimento della pace e di stabilizzazione al termine dei conflitti. Alcuni esperti sono stati già impiegati in diverse missioni ufficiali dell’UE: due missioni di polizia, una in Bosnia-Herzegovina ed una in Macedonia; una di rafforzamento dello stato di diritto in Georgia e la missione di monitoraggio nei Balcani occidentali; altre mete in previsione sono Iraq e Repubblica del Congo. Le necessità individuate fino ad oggi erano limitate a 4 ambiti: Protezione Civile, Polizia, Stato di Diritto e Amministrazione Civile; su decisione del Consiglio dell’UE, ne sono state affiancate altre: monitoraggio, diritti umani, affari politici, politiche di genere, riforma del settore della sicurezza. Restano ancora da riconoscere le expertise in altri settori, attualmente messe a disposizione dal volontariato: la mediazione, il controllo delle frontiere, il disarmo-smobilitazione-reinserimento dei militari e paramilitari, le comunicazioni di massa. Un altro capitolo è recentemente stato aperto dal Consiglio della UE e riguarda i Civilian rapid response teams: “squadre di reazione rapida di esperti civili” scelti di volta in volta sulla base delle specializzazioni più adatte al tipo di situazione di crisi da affrontare. Alcune di queste figure, però, sono già presenti nel personale di ONG (soprattutto del Nord Europa) e ad esse l’Europa dovrebbero guardare maggiormente. Per facilitare questa dialettica, nel 2001 le maggiori organizzazioni europee che si occupano di costruzione della pace e gestione nonviolenta dei conflitti hanno creato un apposito ufficio di collegamento del peacebuilding: lo European Peacebuilding Liaison Office (EPLO). La sua funzione consiste in attività d’informazione e lobby sui decisori europei (burocrazia europea, diplomazia nazionale, esponenti politici e della società civile), di aggiornamento e di facilitazione della cooperazione fra le varie ONG interessate. Oltre agli obiettivi già illustrati da L’Abate, queste reti di ONG chiedono in particolare la creazione di un’Agenzia europea per il peacebuilding - contrappeso alla già istituita Agenzia europea per la difesa – e una chiara distinzione a tutti i livelli (politico, decisionale, operativo) tra civile e militare. E’ sempre più frequente ed invasiva l’assunzione da parte militare di mansioni di aiuto umanitario, ricostruzione e sviluppo, finora assolti dalle ONG nel rispetto del principio di neutralità ed imparzialità che verrebbe meno con attori militari. Parte dei finanziamenti inizialmente destinati dal Fondo Europeo per lo Sviluppo all’Africa, sono stati inoltre dirottati verso missioni di peacekeeping militare dell’Unione Africana. Infine, la pianificazione delle operazioni civili in ambito UE è stata affidata ad un comitato congiunto civile-militare creato in seno allo Stato Maggiore militare dell’UE. Occorre dunque una politica di prevenzione dei conflitti e di peacebuilding di lungo termine e la definizione di strumenti di bilancio specifici per il peacebuilding civile delle ONG (già previsto tra gli strumenti d’amministrazione UE).
Se confrontiamo il nostro con altri paesi europei, il settore del peacebuilding civile risulta abbandonato alla buona volontà dell’associazionismo, senza il supporto di un serio investimento – finanziario e politico – del governo italiano in una politica di prevenzione dei conflitti, di promozione dei CCPE, di sostegno di progetti di prevenzione, gestione, e trasformazione dei conflitti o consolidamento della pace. Tutto ciò risulta tanto più grave ed importante per la sicurezza del nostro paese in un’epoca di globalizzazione ed interdipendenza. Esperienze del genere sono già state avviate in Germania dov’è operativo da anni un Servizio Civile di Pace, necessario per affrontare le crisi al loro nascere tanto all’estero che, e soprattutto, all’interno.
Ma la PESD è però ancora sotto il pieno controllo dei governi nazionali, sia dal punto di vista del processo decisionale sottoposto ancora alla regola dell’unanimità, sia dal punto di vista operativo: sono gli Stati membri, infatti, ad individuare gli specialisti ora chiamati nei maggiori teatri di crisi e conflitto, i quali di conseguenza risultano sotto il diretto controllo delle capitali e dei vari ministeri nazionali; inoltre, frequentemente si tratta di funzionari delle amministrazioni statali che, spesso, non hanno alcuna preventiva volontà di essere impiegati sul terreno in missioni ad alto rischio.

Gli interlocutori politici hanno dimostrato vivo interesse. Il Senatore Tino Bedin (Ulivo) ha evidenziato i limiti che l’attuale situazione politica impone nel cambiamento di prospettiva difensiva e al tempo stesso le opportunità che si profilano di premere affinché funzioni civili quali l’istruzione della polizia municipale, di vigili del fuoco e di protezione civile in Afghanistan ed Iraq, non siano affidate come al solito a militari. Anche il futuro Europarlamentare Iles Braghetto (UDC) ha sottolineato l’importanza di stravolgere l’attuale strategia della Difesa, concordando in toto con quanto emerso nel seminario. Gli abbiamo strappato l’impegno di rappresentare una spina al fianco della maggioranza a cui appartiene…

Al termine del dibattito, è intervenuto l’Assessore alla Cooperazione Internazionale del Comune di Padova Francesco Bicciato, presente in sala durante l’intero incontro. Bicciato, proveniente da esperienze di concreto impegno sociale, ha manifestato il desiderio sincero di una collaborazione più intensa e frequente tra enti locali e società civile. Con l’occasione, ha ringraziato pubblicamente Matteo Menin, per l’apporto informativo ed organizzativo offerto per la realizzazione del progetto Sri Lanka del Comune di Padova: l’amministrazione locale sta infatti promuovendo alcune iniziative di Noviolent Peace Force di difesa nonarmata e nonviolenta.

In chiusura sono state raccolte le firme di sottoscrizione di un appello per la concretizzazione di un sogno comune. Da lì riparte la campagna della società civile per un mondo che non legittimi gli spargimenti di sangue. Chiediamo ai lettori che condividono i punti della mozione di inviare i loro dati per posta elettronica all’indirizzo del MIR: mirsezpd@libero.it.

SILVIA ZUGNO
volontaria in SCV presso il MIR

Il seminario è stato organizzato dal MIR (Movimento Internazionale di Riconciliazione) dall’interno del "Comitato Italiano per il Decennio 2001-2010 per una cultura di nonviolenza e di pace per i bambini del mondo" [oltre al MIR, Associazione per la Pace, Banca Popolare Etica, Beati i Costruttori di Pace, Gruppo Autonomo di Volontariato Civile in Italia (GAVCI), Movimento Nonviolento), in collaborazione con il Centro Studi di Difesa Civile (CSDC), Donne In Nero e Rete Lilliput.

Per ulteriori informazioni, contattare la segreteria del MIR: via Cornaro 1/a, 35128 Padova; mirsezpd@libero.it; tel. 049 8075964.

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