Prevenzione, Trasformazione e Gestione Civile dei Conflitti nelle strategie delle Organizzazioni Internazionali.

di Davide Berruti, Coordinatore dell'Associazione per la Pace
e
Alessandro Rossi, Direttore del Centro Studi Difesa Civile

Lezione tenuta al Seminario organizzato dalla Fondazione Langer
Bolzano Estate 2003

Documento chiuso il 15 giugno 2003.


Alessandro Rossi è ricercatore social, Direttore del Centro Studi Difesa Civile e membro dell’esecutivo dell’Associazione per la Pace. Si occupa di Politiche Europee e di formazione.
Contatto: rssale@flashnet.it

Davide Berruti è coordinatore nazionale dell’Associazione per la Pace. Ha una lunga esperienza come formatore e esperto in peace-building.
Contatto: davideberruti@yahoo.it <mailto:davideberruti@yahoo.it>
Per la versione italiana si ringraziano Matteo Menin, Francesco Loiacono, Simone De Sisto.

Sommario

I) Introduzione: la prevenzione e la trasformazione dei conflitti nei documenti delle Organizzazioni Internazionali.

II) I principi alla base della Politica Estera e di Prevenzione dei conflitti dell’Unione Europea.

II.1) La nuova architettura Europea di sicurezza e di difesa nella visione del Parlamento Europeo

II.2) Una politica integrata per la prevenzione dei conflitti: la strategia della Commissione Europea.

II.3) Linee guida e strumenti dell’ UE per la gestione civile delle crisi internazionali

III) Prevenzione e gestione civile dei conflitti nei documenti dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)

IV) La gestione civile dei conflitti nelle strategie delle Nazioni Unite: il progetto dei Caschi Bianchi

V) Prevenzione e gestione dei conflitti nei documenti del summit dei G8

VI) Conclusioni. Verso una moltiplicazione di concetti e attori coinvolti nella trasformazione dei conflitti

Bibliografia

PRINCIPALI DOCUMENTI POLITICI DELL'UNIONE EUROPEA RELATIVI ALLA PREVENZIONE DEI CONFLITTI

LETTERATURA

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PARAGRAFO I
Introduzione: prevenzione e trasformazione dei conflitti nei documenti delle Organizzazioni Internazionali
.
Nello scorso decennio, l’approccio tradizionale alla sicurezza nazionale ed internazionale è stato messo
in discussione con forza da un nuovo approccio. In luogo del vecchio approccio, che si focalizzava
sulla dimensione militare, il nuovo approccio è multidimensionale, affermando, infatti,
che la sicurezza (inter)nazionale (o continentale)
può essere assicurata solo se nel contempo si assicurano la salvaguardia e la sicurezza delle persone,
dell’ambiente e degli interessi collettivi.
In altri termini, in questo approccio, la coesione sociale diviene il principale obiettivo strategico,
dove il potenziale militare può addirittura essere considerato controproducente nel lungo termine
e solo parzialmente utile nel breve.
Quest’approccio ha trovato sostegno di un’altra evoluzione concettuale nella peace research
e (anche se solo parzialmente) nelle posizioni delle organizzazioni internazionali riguardo alla gestione dei conflitti:
il passaggio dalla prevenzione dei conflitti alla trasformazione dei conflitti.
Infatti, se consideriamo il conflitto come un fattore sociale permanente dovuto all’inevitabile diversità
degli individui e dei gruppi sociali, i conflitti violenti appaiono come una soltanto delle vie per affrontare
la conflittualità sociale.
Tenuto conto che i ricercatori sulla pace ricordano come i conflitti siano inevitabili nelle società,
ma che essi non devono essere necessariamente conflitti armati. Per di più, devono essere
gestiti costruttivamente, e non necessariamente “risolti”. E’ questa la ragione per cui la trasformazione
dei conflitti è stata riconosciuta come una definizione più corretta per politiche ed azioni sociali dirette a
prevenire i conflitti violenti.
Ciò nonostante, le istituzioni internazionali confondono ancora le definizioni in quest’ambito.
Nel presente lavoro proveremo a sottolineare, ove opportuno, le differenze fra i termini utilizzati
nei documenti ufficiali ed i corrispondenti termini scientifici .
L’approccio multidimensionale, ampiamente utilizzato dai sostenitori della multi-track diplomacy
(diplomazia multilivello), cerca di individuare per ogni fase del conflitto lo strumento di gestione pacifica più appropriato. In questo senso, la trasformazione dei conflitti potrebbe includere una gamma ampissima di strumenti.
Poichè l’approccio multilivello non è sempre la visione prevalente nelle istituzioni internazionali; ai fini del presente lavoro si considererà una definizione di trasformazione e prevenzione dei conflitti più limitata, più corrispondente agli assunti dei documenti ufficiali stessi.

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PARAGRAFO II
I principi alla base della Politica Estera e di Prevenzione dei conflitti dell’Unione Europea.
Una “politica estera comune” fu incorporata per la prima volta nei Trattati europei a Maastricht
(trattato entrato in vigore il primo novembre 1993). Le norme sulla Politica Estera e di Sicurezza Comune
(PESC) furono riviste nel Trattato di Amsterdam, che entrò in vigore nel 1999.
Gli articoli dall’11 al 28 del Trattato dell’Unione Europea sono da allora specificatamente dedicati alla PESC.
Una decisione significativa, in termini di potenziamento dell’efficacia e di rafforzamento del profilo
di politica estera dell’Unione fu la nomina dell’Alto Rappresentante per la PESC (un’innovazione
del Trattato di Amsterdam) nella persona di Javier Solana Madariaga, che ne occuperà l’incarico,
a partire dal 18 ottobre 1999, per un periodo di 5 anni.
Il nuovo Trattato di Nizza, è entrato in vigore il primo febbraio 2003 e contiene nuove norme sulla PESC.
Esso ha ampliato notevolmente le aree di applicazione del voto a maggioranza qualificata e rafforzato
il ruolo del Comitato Politico e di Sicurezza nelle operazioni di gestione delle crisi.

La Politica Europea di Sicurezza e di Difesa
Il Trattato, inoltre, ha dotato l’Unione di una politica comune di sicurezza e di difesa
(PESD o ESDP) che copre tutte le questioni relative alla sua sicurezza, inclusa la formulazione graduale
di una politica di difesa comune - la PESD è parte della PESC. Questa politica di difesa comune
potrebbe inoltre portare ad una difesa comune nel caso in cui il Consiglio Europeo decidesse
in tal senso e tale decisione venisse adottata e ratificata dagli stati membri.
La riunione del Consiglio Europeo di Colonia del giugno 1999, ha posto i compiti di gestione delle crisi al centro
del processo di rafforzamento della Politica europea comune di sicurezza e di difesa;
conosciuti anche come compiti di Petersberg, dal nome del luogo che ospitava
il Consiglio Ministeriale dell’’Unione dellEuropa Occidentale (UEO)
<http://www.weu.int/> che li formulò nel giugno 1992.

Si tratta di missioni umanitarie e di soccorso, di mantenimento della pace e di combattimento nella gestione
delle crisi, incluso il ristabilimento della pace. Il consiglio Europeo ha deciso che a tal fine
“L’Unione deve avere la capacità di condurre azioni in modo autonomo, potendo contare su forze militari credibili,
I mezzi per decidere di farle intervenire e la disponibilità a farlo, al fine di rispondere
alla crisi internazionali senza pregiudizio per le azioni della NATO”
Il Consiglio Europeo di Nizza decise di creare, all’interno del Consiglio,
delle nuove strutture politiche e militari permanenti new permanent political and military struct
ures
per fornire il controllo politico e la direzione strategica in una crisi, in particolare un
Comitato Politico e di Sicurezza e la nomina di un Alto Rappresentante per la PESC.
Tre altre istanze vennero poi create: un Comitato per gli aspetti civili della gestione delle crisi,
un Comitato Militare ed un Gruppo Politico-Militare. Inoltre, venne costituito uno staff militare
composto di esperti militari distaccati dagli Stati Membri.
La PESC, è parte di una struttura istituzionale unica: le istituzioni sono quelle che già esistono nella struttura comunitaria.
Tuttavia, il bilanciamento dei poteri tra Consiglio, Parlamento e Commissione è diverso.
Da questo punto di vista, l’implementazione della PESC differisce considerevolmente
dall’imple-mentazione delle politiche comunitarie.
La Commissione, ad esempio, è pienamente associata alla PESC ma non ha il diritto esclusivo di iniziativa.
Questo viene esercitato, infatti, principalmente dalla Presidenza, da uno Stato Membro o dall’Alto Rappresentante.
Il Parlamento Europeo, inoltre, è solamente consultato dalla Presidenza sulle scelte fondamentali della PESC
e viene aggiornato sul loro sviluppo.

II.1) La nuova architettura europea di sicurezza e difesa nella visione del Parlamento Europeo
Considerando le Istituzioni Europee, si vede come il cammino verso l’approccio multidimensionale alla sicurezza ha avuto una storia complessa ma i risultati più avanzati proprio nei documenti del Parlamento Europeo.
Nel 1995, Alexander Langer, Membro del Parlamento Europeo con i Verdi, iniziò una campagna fra i suoi colleghi
per promuovere l’idea dei Corpi Civili di Pace Europei (CPCE o ECPC), al fine di fornire
alla PESC nascente uno strumento multinazionale e non violento. Dopo diversi accenni agli
ECPC in alcune risoluzioni nell’ambito delle relazioni esterne dell’UE: nel 1999;
la risoluzione A4-0047/99
http://www2.europarl.ep.ec/omk/omnsapir.so/webreport?PRG=QUERY&APP=RAPPORT&FORMUL
=A4&VALEUR=0047&YEAR=99&LANGUE=EN
approvata il 10 febbraio 1999, prevedeva:
“[Il PE] raccomanda al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un
CPCE nell’ambito di una Politica estera e di Sicurezza Comune più forte ed efficace […]
di vagliare la possibilità di concreti provvedimenti generatori di pace finalizzati alla mediazione
ed alla promozione della fiducia fra i belligeranti, all’assistenza umanitaria, alla reintegrazione
(specie tramite il disarmo e la smobilitazione), alla riabilitazione nonché alla ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani”.
Più recentemente, poi, il 13 dicembre 2001, Il Parlamentare Europeo Lagendijk è stato relatore
per la risoluzione A5-0394/2001
http://www2.europarl.ep.ec/omk/OMEuroparl?PROG=REPORT&L=EN&PUBREF=-//EP//TEXT+
REPORT+A5-2001-0394+0+NOT+SGML+V0//EN
sulla Comunicazione della Commissione sulla Prevenzione dei Conflitti, che è un buon esempio di
approccio realmente multidimensionale alle politiche di sicurezza. Essa è basata, infatti, su tre livelli principali:
Impatto conflittuale delle politiche comuni dell’UE
Il bisogno di una valutazione della prevenzione dei conflitti:
integrare gli indicatori di conflitto e gli obiettivi della prevenzione dei conflitti nella programmazione dei
programmi di aiuto esterno della Comunità.
Creare un sistema legalmente vincolante con sanzioni per le imprese che contribuiscono ai conflitti.

Realizzare una “valutazione della Prevenzione dei Conflitti” quando si esaminano le decisioni principali
riguardo alle politiche comuni dell’Ue come anche il lancio di qualsiasi programma nei paesi non membri.
Un struttura appropriata, che dovrebbe constare di una “unità di reazione rapida non militare”.

2. Realizzazione di un Corpo Civile di Pace Europeo:
I possibili compiti degli ECPC sarebbero: il coordinamento a livello europeo della formazione e
dispiegamento degli specialisti civili per la realizzazione di misure concrete di peace-making come
l’arbitrato, la mediazione, la disseminazione di informazioni imparziali, la de-traumatizzazione, e la costruzione
della fiducia fra le parti in conflitto, l’aiuto umanitario, la reintegrazione, la riabilitazione,
la ricostruzione, l’educazione e il monitoraggio e il miglioramento della situazione dei diritti umani,
incluse le misure di accompagnamento dei diritti umani […] utilizzando pienamente le risorse della società civile.
Delle relazioni rafforzate con le Nazioni Unite e l’OSCE
Raccomanda il rafforzamento dei legami operativi tra le diverse istituzioni ed organi che svologono un ruolo nella prevenzione dei conflitti all’interno della struttura istituzionale dell’UE con il meccanismo REACT dell’OSCE (Rapid Expert Assistance and Cooperation Teams - Squadre di esperti per l’intervento rapido nell’assistenza e cooperazione).

II.2) Una politica integrata per la prevenzione dei conflitti: la Strategia della Commissione Europea.
All’interno della Commissione Europea, la struttura principale coinvolta nella politica estera è la Direzione Generale per le Relazioni Esterne (DG E), che copre tre aree principali: le relazioni economiche esterne, le questioni tematiche e geografiche della PESC, e la “struttura politico-militare” per la Politica di Sicurezza e di Difesa. Inoltre, a sostegno del Consiglio e dei sui organi sussidiari nei loro diversi compiti, la DG E è responsabile della preparazione, della partecipazione e del seguito da dare al dialogo politico, come anche delle interazioni di lavoro tra l’Unione Europea e le organizzazioni Internazionali nelle aree che ricadono all’interno della sua sfera di competenza. In particolare, attualmente, si stanno rafforzando le relazioni con le nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa, la NATO ed il Consiglio d’Europa. La Strategia della Commissione Europea, definita nell’aprile del 2001 nella Comunicazione sulla Prevenzione dei Conflitti, si fonda su quattro principi:

1. un approccio integrato nella prevenzione dei conflitti, per rendere più sitematico e coordinato l’uso degli strumenti dell’UE per indirizzare l’azione alle cause profonde del conflitto;

2. affrontare le questioni trasversali come il traffico di stupefacenti, armi o esseri umani, il commercio illecito, il degrado ambientale, ecc;
La capacità di rispondere rapidamente, con tutti i mezzi dell’UE, ai conflitti nascenti. Esistono già esempi di implementazione di questi principi. A livello comunitario, il Meccanismo di Reazione Rapida (RRM) è ora pienamente operativo. Tale meccanismo permette di utilizzare rapidamente un gran numero di strumenti per far fronte ad una situazione di conflitto che, precedentemente, sarebbe stata soggetta a procedure molto più complesse. Ad esempio, nella Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, In Afganistan, nella Repubblica Democratica del Congo. La Commissione sta ora lavorando sugli schemi di accordo con gli Stati Membri per consentire il dispiego di personale civile nelle operazioni di gestione delle crisi. Esso dovrebbe essere compatibile con il sistema sviluppato dall’OSCE e dalle NU.
Promuovere la cooperazione internazionale con dei partner chiave nella prevenzione dei conflitti; i contatti diretti fra i Servizi della Commissione ed il Segretariato delle NU hanno così contribuito a:
· la cooperazione nelle missioni di accertamento dei fatti, (ad esempio la CE partecipò alla missione di accertamento dei fatti nella regione dei Grandi laghi dell’estate 2001);

Il coordinamento dell’attività diplomatica, incluse le consultazioni fra i rappresentanti speciali (ad es. EUSR ed il UNSR nei Grandi Laghi);

L’incremento della cooperazione nelle operazioni di assistenza ed osservazione elettorale, (ad es. il coordinamento della CE con la Divisione Assistenza Elettorale delle NU per il Togo e l’UNDP a Timor Est e in Bangladesh);

I programmi di addestramento, e il coordinamento in loco (ad es. in Kossovo).
La stessa Commissione nella comunicazione sulla prevenzione dei conflitti sottolinea che le ‘ONG sotto attori chiave nella prevenzione di lungo termine dei conflitti.’ La stessa comunicazione continua, ‘la Commissione darà una priorità più alta, tramite l’Iniziativa Europea per la Democrazia ed i Diritti Umani, alle attività che contribuiscono alla prevenzione dei conflitti e facilitano il compito di affrontare le conseguenze dei conflitti.’
La Commissione dell’UE sostiene i progetti di prevenzione dei conflitti delle ONG. Essi sono finanziato attraverso il l’Iniziativa Europea per i Diritti Umani (European Initiative for Democracy and Human Rights - EIDHR). Tuttavia, ancora solamente una piccolissima parte dei fondi dell’Iniziativa, 4 su 200 milioni, sono attribuiti alla prevenzione dei conflitti (si vedano le linee guida dell’EIDHR). La Discrepanza fra le parole ed i fatti , diviene ancor più evidente quando si confrontano i 4 milioni di euro investiti nei progetti di prevenzione dei conflitti delle ONG con i 9 miliardi del Budget delle relazioni esterne. Poichè la Commissione ricevette 1330 domande all’invito generale a presentare proposte dell’anno scorso, ma potè finanziare solo 70 progetti, non è così evidente che questa sia l’opzione migliore. La via più semplice e diretta potrebbe essere la creazione di una linea di budget specifica per le ONG che si occupano di prevenzione dei conflitti.
Gli esempi di progetti specifici nella prevenzione dei conflitti, includono:
· sostegno alle iniziative di pace locali e rafforzamento delle loro capacità
· facilitazione del dialogo ai diversi livelli e settori delle società in conflitto.
· workshops sulla gestione dei conflitti nelle aree di tensione etnonaziona-listiche
· stazioni radio e serie televisive multi-entiche per promuovere la comprensione e la risoluzione dei conflitti
· portare la riconciliazione nelle scuole attraverso spettacoli teaatrali ed altri metodi
· gruppi giornalistici inter-etnici ed asili multi-etnici inter-ethnic team journalism and multi-ethnic kindergartens
· valutazioni dell’impatto dei conflitti
· sviluppo di curricula e materiali per la formazione nella mediazione e gestione dei conflitti
· riforma del settore della sicurezza
· scambio di armi leggere contro attrezzature per l’agricoltura.

II.3) Linee guida e strumenti dell’UE per la gestione civile delle crisi internazionali.
Ad un altro livello, il Consiglio Europeo ha promosso, al di là degli aspetti militari della gestione delle crisi, anche la cooperazione nella gestione civile delle crisi in 4 aree, la cui implementazione è ampiamente supportata dal lavoro della Commissione. Questi aspetti civili nella gestione delle crisi nelle quattro aree prioritarie furono definiti al Consiglio Europeo di Feira del giugno 2000: polizia, rafforzamento dello stato di diritto, rafforzamento dell’amministrazione civile e protezione civile. Concreti obiettivi sono stati definiti in queste aree: gli Stati Membri dovrebbero essere in grado di fornire, nel settore della polizia, 5000 funzionari per le missioni internazionali di cui 1000 da poter essere dispiegati in meno di 30 giorni, 200 esperti nel settore dello stato di diritto, un pool di esperti per ricoprire un vasto spettro di funzioni nell’amministrazione civile e, per la protezione civile, 2 o 3 squadre di valutazione che possano essere inviate entro 3-7 ore come anche delle squadre di intervento con al massimo 2000 persone per il dispiego con breve preavviso. La Conferenza Ministeriale sulle Capacità Civili di Gestione delle Crisi tenutasi il 19 novembre 2002 ha confermato che gli obiettivi concreti nelle aree prioritarie sono stati raggiunti e superati grazie agli impegni volontari di contributo assunti dagli Stati Membri. Si tratta del passo principale nella direzione indicata dalla dichiarazione di operatività di Laeken, che dovrebbe mettere l’UE nelle condizioni di intraprendere un ampio spettro di operazioni nella gestione delle crisi.

1. Polizia
Per quanto riguarda la polizia, gli Stati Membri si sono impegnati all’identificazione di 5000 agenti di poliza da rendere disponibili per la gestione civile delle crisi. Il contributo della Commissione sarà incentrato principalmente sulla capacitazione locale nei paesi che stanno affrontando o che stranno uscendo da una crisi. Negli ultimi anni, la Commissione ha adottato un certo numero di programmi a sostegno dell’addestramento e delle infrastrutture della polizia in diversi paesi: Guatemala, El salvador, Sud Africa e (dal dicembre 2000) Algeria. Più recentemente, la Commissione si è impegnata attivamente nell’addestramente della polizia nella FYROM (ex Repubblica Yugoslava di Macedonia).

2. Stato di Diritto
In relazione allo stato di diritto, gli obiettivi sono stati definiti nell’identificazione di 200 esperti che potrebbero essere chiamati a contribuire alla gestione delle crisi. Gli strumenti di cooperazione comunitari prevedono già dei programmi per rafforzare l’amministrazione della giustizia in molti paesi partner. In quest’area, come in quella dell’amministrazione civile, la difficoltà di costruire una capacità dell’UE di risposta alle situazioni di crisi sta spesso nella scarsità di personale prontamente disponibile negli Stati Membri. Le passate esperienze hanno dimostrato, ad esempio nell’area del monitoraggio dei diritti umani, che lo sviluppo di moduli comuni di formazione è uno dei mezzi migliori per creare delle capacità a livello UE. La Commissione ha perciò lanciato un progetto per la creazione di un network fra le istituzioni di formazione degli Stati Membri per lo sviluppo di moduli di addestramento per il personale da impiegare nelle missioni di peace keeping. Tali moduli saranno sviluppati insieme agli Stati membri e dovranno essere compatibili con quelli delle NU e dell’OSCE, ad esempio il nuovo sistema REACT dell’OSCE. Tutto ciò non implica necessariamente la creazione di nuove strutture a livello dell’Unione, ma dovrebbe essere realizzato attraverso la cooperazione rafforzata tra Stati Membri e specialmente attraverso le sinergie fra programmi e isitituti di formazione esistenti.

3. Amministrazione Civile
Quanto all’amministrazione civile, la Commissione, sulla base della sua esperienza, sta identificando le aree e gli aspetti chiave per il supporto alle amministrazioni civili in situazioni di crisi. Ad esempio la Commissione, ha iniziato assieme agli Stati Membri una riflessione sul ruolo dei sevizi doganali nelle aree di crisi come contributo al ristabilimento di amministrazioni locali efficaci e durature. La Commissione sta inoltre esaminando il modello di gemellaggio utilizzato con i paesi candidati al fine di verificare se possono essere tratti degli insegnamenti per la costituzione di risorse per l’impiego in situazioni di crisi/post-crisi.

4. Protezione Civile
In relazione alla protezione civile, è stato approvato recentemente dal Consiglio un nuovo Meccanismo Comunitario di Coordinamento. Il Meccanismo provvede al coordinamento degli organismi nazionali di protezione civile, all’allerta rapida e scambio di informazioni, alla cooperazione nell’addestramento del personale di protezione civile ed alla realizzazione di database. Alcune passate esperienze di intervento civile istituzionale nelle aree di conflitto, potrebbero fornire delle buone basi per un’ulteriore implementa-zione delle strategie di trasformazione dei conflitti. Una di queste, che andrebbe quindi presa in considerazione, è la Missione di Monitoraggio dell’ Unione Europea (EUMM) nell’Ex Yugoslavia. L’obiettivo primario della EUMM era quello di contribuire, grazie alle sue diverse attività (raccolta ed analisi delle informazioni), conformemente alle diretive del Segretario Generale/Alto Rapprresentante del Consiglio, all’efficace formulazione della politica dell’Unione Europea per I Balcani Occidentali. One of them to be considered in this respect is the European Community Monitoring Mission (EUMM) in Former Yugoslavia. Durante le recenti Guerre Balcaniche, questa struttura ha mostrato I seguenti punti di forza:
- essere chiaramente disarmate, il che ha permesso un confidence building ed un lavoro di organizzazione logistica più facile; l’utilizzo di squadre con professionalità multiple;
- Una buona organizzazione tattica (ad esempio ogni squadra con un’autonoma stazione di comunicazione satellitare);
- L’attitudine alla collaborazione con i locali, le Organizzazioni Internazionali e le ONG.

Tra i principali punti deboli, vanno ricordati i seguenti:
- La rotazione semestrale della presidenza dell’UE significava anche rotazione della leadership della EUMM;
- La rotazione dei singoli membri, decisa dai paesi membri e non dall’autorità di coordinamento;
- Il conflitto acuto tra la sua missione e la dipendenza dall’UNPROFOR per la protezione armata.

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PARAGRAFO III
La prevenzione e gestione civile dei conflitti nei documenti dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

L’ Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa è la più ampia organizzazione per la sicurezza regionale al mondo, con 55 Stati partecipanti da Europa, Asia Centrale e Nord America. Essa svolge attiva di allerta rapida, prevenzione dei conflitti, gestione delle crisi e ricostruzione post-conflitto. L’approccio alla sicurezza dell’OSCE è globale/comprensivo e cooperativo: globale nell’affrontare un ampia gamma di questioni correlate alla sicurezza, inclusi il controllo delle armi, la diplomazia preventiva, la misure di costruzione della fiducia e della sicurezza, i diritti umani, la democratizzazione, il monitoraggio elettorale e la sicurezza economica ed ambientale; cooperativa nel senso che tutti gli stati partecipanti all’OSCE hanno eguale status nell’organiz-zazione e le decisioni vengono prese per consenso. L’Osce impiega uno staff di circa 4000 persone in 19 missioni ed attività in area, nel Sud-Est Europeo, in Caucaso, in Europa dell’Est e in Asia Centrale. Essi sono inviati sul terreno per facilitare i processi politici, prevenire o risolvere i conflitti, sostenere la società civile e promuovere lo stato di diritto, ma sono pagati direttamente dai paesi di appartenenza
L’OSCE ha previsto diversi strumenti per la Risoluzione Pacifica delle Controversie nei suoi documenti:
- L’Atto Finale di Helsinky ha definito I principi fondamentali che guidano la relazioni tra Stati partecipanti (il cosidetto “Decalogo”) , introducendo delle misure militari di confidence-building, affermando la determinazione degli Stati patecipanti a perseguire l’esame e l’elaborazione di un metodo generalmente accettabile per la composizione pacifica delle controversie e fornire le basi per la cooperazione in ambito economico, scientifico e tecnologico, ambientale ed umanitario, le quali sono state oggetto di diverse riunioni di esperti tra il 1978 e il 1991.
- Il Meccanismo de La Valletta, costituito nel 1991, delinea i contenuti del Meccanismo per la Composizione delle Controversie dell’OSCE, che ha lo scopo di facilitarne la composizione pacifica fra gli Stati partecipanti. Il Meccanismo prevede che, una o due persone, selezionate d un registro di candidati qualificati, che cercheranno di contattare le parti della controversia separatamente o congiuntamente. Essi potrannof are delle osservazioni o fornire dei consigli generali o specifici ma non vincolanti per le parti.
Un altro recente ed interessante sviluppo in quest’ambito è l’organismo dell’OSCE chiamato “REACT” (Rapid Expert Assistance and Co-Operation Teams). Fu creato durante il summit dell’OSCE tenutosi nel 1999 ad Istambul, e chiede agli Stati partecipanti di formare un gruppo di esperti disponibili ad un rapido dispiegamento per le missioni civili imminenti e future, un concetto perciò molto simile a quello dei Corpi di Pace Civili. Gli Stati partecipanti, hanno poi individuato piuttosto lentamente tali gruppi. Le persone che desiderano essere presi in considerazione per REACT, devono essere disponibili all’impiego in due, quattro o otto settimane dal ricevimento della notifica di selezione. I Candidati devono possedere i requisiti minimi generali previsti dall’OSCE per i membri della missione e inoltre avere i requisiti minimi necessari in relazione alla specifica area di competenza. Le aree sono moltissime: dai diritti umani alla comunicazione, dallo Sviluppo dei Media all’Osservazione Elettorale, dagli Affari Politici alla Democratizzazione e Stato di Diritto. Per facilitare queste ed altre funzioni, è stato predisposto un Centro Operativo, all’interno del Centro per la Prevenzione dei Conflitti, con un nucleo ridotto di personale, che ha la competenza necessaria per lo svolgimento di tutti i tipi di operazioni dell’OSCE, e che può essere ampliato rapidamente quando è necessario. Per come è la situazione attuale, gli organismi dell’OSCE continuano a dover fare i conti con un budget ristretto (se comparato con le loro funzioni) ed il personale impiegato in missione sotto il simbolo dell’OSCE è scelto e pagato dagli Stati partecipanti, ed è perciò più legato ai loro interessi nazionali che alla missione dell’OSCE.

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PARAGRAFO IV
Le strategie di gestione civile delle crisi delle Nazioni Unite: Il progetto Caschi Bianchi

Fuori dai confini europei, il concetto più simile ai Corpi Civili di Pace è quello di “Caschi Bianchi” elaborato dalle Nazioni Unite. La prima diffusione dell’idea fu portata avanti dal Governo argentino nei primi anni novanta in sede diplomatica e fu lanciata nel 1993 come un’iniziativa globale per la creazione di gruppi nazionali di volontari. L’attività di questi gruppi, in grado di essere immediatamente disponibili su richiesta delle Nazioni Unite, avrebbe dovuto concentrarsi sul passaggio graduale dall’emergenza, alla riabilita-zione, alla ricostruzione e allo sviluppo. Il concetto fu sottoscritto dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1995 ed è stato citato in numerose documenti di Boutrous Ghali e Kofi Annan. Anche la prossima Assemblea Generale affronterà il tema dal momento che sull’agenda della 58° sessione figura la voce “Caschi Bianchi”.
L’idea dei caschi bianchi o, più in generale, dell’intervento civile nella gestione delle crisi internazionali è stata articolata per la prima volta nel 1992 dal Segretario generale dell’ONU Boutrous Ghali nel rapporto “An Agenda for Peace”. In questo documento il Segretario generale, esortava a intraprendere “analisi e raccomandazioni sulle possibili vie per sostenere e rendere maggiormente efficaci nell’ambito degli interventi e degli strumenti previsti dalla Carta la capacità delle Nazioni Unite per la diplomazia preventiva, per il peace-making e per il peace-keeping”, disegnando così una nuova, complessa griglia di lettura della gestione delle crisi da parte delle Nazioni Unite nella quale per la prima volta il contributo dei civili giocava un ruolo importante. Tutto ciò è particolarmente chiaro nel III capitolo dell’Agenda per la pace intitolato “Diplomazia preventiva”, dove all’interno del paragrafo “Dispiegamento preventivo” si dice: “[…] l’assistenza umanitaria, fornita in maniera imparziale, attraverso personale militare, di polizia o civile, potrebbe salvare vite e sviluppare condizioni di sicurezza nelle quali si potrebbero svolgere dei negoziati […] tali operazioni possono anche talvolta richiedere la partecipazione di Organizzazioni non governative”. Nella prospettiva elaborata dal Segretario Generale per il futuro del “sistema sicurezza” delle Nazioni Unite c’è quindi spazio per il personale civile non solo negli interventi umanitari, ma anche nell’ambito della sicurezza. Questo sarà per molto tempo ancora uno degli approcci più avanzati nelle elaborazione sul tema della sicurezza.
Questa volontà è confermata da una risoluzione dell’Assemblea Generale di due anni dopo: “l’Assemblea Generale […] Visto il peso crescente della componente civile nelle operazioni di peace-keeping, richiede al Segretario Generale di sviluppare una proposta per la realizzazione di banche dati regolarmente aggiornate in grado di registrare il tipo e la disponibilità delle risorse che gli Stati membri possono mettere a disposizione, su richiesta delle Nazioni Unite, per compiti civili, e incoraggia il Segretario Generale a continuare i suo sforzi per includere il personale civile, come le forze di polizia, negli accordi in atto per il stand-by e nella pianificazione futura”. Anche se il personale civile è impiegato con compiti differenti da quelli militari, è importante seguire il crescente coinvolgimento di questa componente nella prospettiva dei caschi bianchi. Ed è nuovamente il Segretario generale a sottolineare questo aspetto nel 1995 presentando un altro importante documento, “Supplement to an Agenda for Peace”, nel quale scrive: “Anche le Organizzazioni non governative giocano un ruolo importante in tutte le attività delle Nazioni Unite affrontate nel presente documento. Al momento 1.003 Organizzazioni non governative hanno ricevuto lo stato consultivo presso le Nazioni Unite […] La nuova natura delle operazioni sul campo dell’ONU ha portato le ONG in una relazione più stretta con le Nazioni Unite, specialmente nelle operazioni umanitarie in situazioni di conflitto e nella costruzione della pace post-conflitto”.
Si situa in questo contesto l’iniziativa del Segretario Generale Boutrous Ghali sui Caschi Bianchi. A questo proposito è necessario sottolineare che la precedente esperienza di caschi bianchi realizzata dal governo argentino, a cui abbiamo già accennato, era nata solo due anni prima e limitata solo all’assistenza umanitaria nelle catastrofi naturali e all’aiuto allo sviluppo. Tornando al documento del Segretario Generale, anche se la definizione generale a le condizioni di impiego dei Caschi Bianchi sono confermate, vengono altresì incluse tra le possibili aree di impiego “la costruzione della fiducia nel post- conflitto, la prevenzione e trasformazione dei conflitti, l’assistenza al monitoraggio elettorale e ai processi elettorali”. Questa definizione del concetto di Caschi Bianchi è però ancora lontana da quella di Corpi Civili di Pace, soprattutto per l’elemento della professionalità. Nel rapporto di Boutrous Ghali infatti i Caschi Bianchi sono considerati “volontari”, nonostante la grande attenzione dedicata alla formazione e alla necessaria competenza professionale. Comunque è già di per se significativo che si faccia riferimento ad un nuovo corpo, distinto e separato, anche se in relazione, dai Volontari delle Nazioni Unite.
La necessità di un generale ripensamento dell’intero sistema del peace-keeping, iniziata negli anni novanta, emergerà comple-tamente nel nuovo secolo. Il 7 Marzo del 2000, il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan ha convocato una commissione di esperti di alto livello, la Commissione Brahimi, per analizzare l’intero sistema delle Nazioni Unite in relazione ai temi della pace e della sicurezza con l’obiettivo di formulare delle raccomandazioni per il Segretariato. Quindi il Segretario Generale ha affidato al suo vice la realizzazione delle raccomandazioni di riforma sorte da questo processo. Negli anni successivi alla pubblicazione del “Rapporto Brahimi” sono stati prodotti un numero incredibile di documenti che di anno in anno hanno sottolineato l’avanzamento dell’implemen-tazione delle riforme. In questi documenti, che formano una letteratura troppo vasta per essere affrontata analiticamente in questo articolo, possono essere trovati molti spunti relativi al ruolo dei civili nella gestione delle crisi. Specialisti civili sono infatti richiesti nella forma di contingenti “pronti all’intervento”, in una concezione molto simile a quella dei Caschi Bianchi, se ci si libera della dimensione volontaria. Inoltre è previsto un training per il personale civile e sono previste anche politiche di genere. L’integrazione tra militari, polizia civile e personale civile viene raggiunta in questi documenti in un modo pressoché completo in un quadro abbastanza complesso. Il limite di queste strategie è di considerare il contributo civile in integrazione con il militare e non anche, se del caso, in alternativa.
Esempi di collaborazione tra l’Unione Europea e le Nazioni Unite
Le Nazioni Unite sono un partner chiave anche per le politiche europee nella prevenzione dei conflitti. L’Unione Europea si è dotata di un nuovo accordo quadro, approvato dal GAC nel Giugno del 2001, per un miglioramento della cooperazione tra UE e ONU nella prevenzione dei conflitti e nella gestione delle crisi su temi specifici e in aree di cooperazione predefinite. Su queste basi, si sono tenuti una serie di incontri di alto livello tra l’Unione Europea e l’ONU sia a livello della Commissione che del Segretariato del Consiglio. Contatti diretti tra i servizi della Commissione e il Segretariato dell’ONU hanno contribuito a:
· instaurare una cooperazione nelle missioni di accertamento dei fatti (fact finding), l’Unione Europea ad esempio ha partecipato alle missione nella regione dei Grandi Laghi nell’estate del 2001;
· aumentare il coordinamento dell’attività diplomatica, incluse le consultazioni tra i rappresentanti speciali (ad esempio tra il Rappresentante speciale dell’UE e dell’ONU nella regione dei Grandi Laghi);
· migliorare la cooperazione nell’assistenza e nel monitoraggio elettorale (come nel caso del coordinamento tra la Commissione Europea e la Divisione di assistenza elettorale delle Nazioni Unite in Togo o con UNDP a Timor Est e i Bangladesh);
· realizzare programmi di formazione e di coordinamento sul campo (ad esempio in Kosovo).
Nel 2001 la Commissione Europea ha anche contribuito al Fondo delle Nazioni Unite per l’azione preventiva, a disposizione del Segretario Generale dell’ONU per varie tipologie di iniziative nella prevenzione dei conflitti. La Commissione ha infine sostenuto finanziariamente l’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU per la realizzazione di un progetto che sviluppi, nel quadro dell’implementazione del rapporto del Panel sulle operazioni di pace, regole transitorie e principi guida per l’amministrazione della giustizia penale nei paesi appena usciti da conflitti o da crisi.

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PARAGRAFO V
La prevenzione e gestione dei conflitti nei documenti dei vertici del G8

Il tema della prevenzione e della gestione dei conflitti violenti è presente in numerosi documenti redatti ai vertice dei G8 dei Capi di Stato e dei Ministri degli Esteri. Dal vertice di Colonia del 1999, i membri del G8 hanno prestato una crescente attenzione a questa tematica fino alla dottrina della lotta al terrorismo emersa dopo l’11 settembre 2001. Anche se la lotta al terrorismo e l’eliminazione delle armi di distruzione di massa è stata già indicata fra le priorità della dichiarazione finale del vertice del G8 di Colonia (10 giugno 1999) in questi accordi c’era uno spazio crescente dedicato alle strategie di prevenzione dei conflitti e i processi di democratizzazione. La forte determinazione e l’impegno a garantire la pace e la sicurezza internazionale ha portato gli otto Paesi, alla riunione dei Ministri degli Esteri di Berlino del Dicembre 1999, a redigere una dichiarazione in cui decidono di implementare le capacità civili di reazione rapida. Il vertice di Okinawa nel Luglio 2000 ha ospitato il meeting che ha adottato l’Iniziativa di Miyazaki per la Prevenzione dei Conflitti, uno delle più avanzate dichiarazioni in questo campo, seguita da un significativo documento lanciato dal meeting dei Ministri degli Esteri di Roma, precedente al vertice di Genova del 2001 (“Avanzamento dell’Iniziativa Miyazaki” e “G8 Roma-Iniziative sulla Prevenzioni dei Conflitti”) Dopo tutto ciò, è sorprendente che durante il vertice di Kananaskis nel 2002 è stato approvato solo un breve documento sul post-conflitto mentre il più grande sulle politiche di prevenzione e gestione del conflitto non è stato considerato. Prima di analizzare i documenti, dovremmo dire come commento preliminare che in questi documenti l’intervento civile nei conflitti violenti non è mai stato menzionato nel senso di contingenti disarmati e che la sola opzione non-militare considerata è stata l’intervento diretto della polizia civile nella gestione di conflitti violenti internazionali o etnici. Il ruolo della società civile è preso in considerazione in molte dichiarazioni come aspetto rilevante del confidence building solo nelle situazioni pre-conflitto o post-conflitto, avendo grande capacità, allo stesso tempo, come fattore determinante di prevenzione o riconciliazione. Un altro aspetto da sottolineare è l’incessante riferimento all’ONU (Carta, Strutture, Corpi, Politiche, Documenti), e soprattutto il programma di Peacekeeping promosso dal DPKO (Dipartimento delle Operazioni di Peacekeeping). In tutti I documenti dei paesi del G8 pongono l’accento sul ruolo centrale delle Nazioni Unite, sull’importanza di garantire il rispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle ONU e , infine, sull’importanza del ruolo del Segretario Generale delle Nazioni Unite con crescenti impegni e risorse per il peacekeeping.
Questo documento riporta una presentazione cronologica dell’argomento dall’anno 1999:
10 Giugno 1999 - Conclusioni del meeting dei Ministri degli Esteri del G8, Gürzinch
Nel paragrafo 4 “Prevenzione dei Conflitti” (PC): “Centrale, nella nostra visione, per migliorare la prevenzione e la gestione dei conflitti è una ONU riformata, effettiva ed efficiente. E’ fondamentale il pieno rispetto per le provigioni della Carta delle Nazioni Uniteient e le norme di diritto internazionale. E’ anche di cruciale importanza rafforzare la democrazia, i diritti umani e le norme di diritto. ” Dopo questa dichiarazione, non mostrando mezzi e strumenti per questo tipo d’impegno, lanciano il prossimo meeting di Berlino del 16 Dicembre dedicato alla prevenzione e alla soluzione dei conflitti. Altri paragrafi sono dedicati alla non-proliferazione e al disarmo. Nel paragrafo 6, “Questioni Regionali”, introducendo la situazione in Kossovo dichiarano: “La presenza civile in Kossovo avrà un ruolo cruciale ed urgente per creare la sicurezza, la democrazia e la ricostruzione economica per tutte le persone nel Kossovo autonomo e più diffusamente nella regione, coerentemente con il proposto Patto di Stabilità per tutto il Sud-Est Europa” senza spiegare cosa intendono per “presenza civile”.
20 Giugno 1999 - G8 Comunicato Finale di Köln
Dopo il paragrafo “Promuovere la Non-proliferazione, Controllo delle Armi e disarmo” c’è il paragrafo X “Affrontare le sfide globali” per prendere in considerazione alcuni aspetti della prevenzione dei conflitti che potrebbe coinvolgere una stategia civile. Riguardo al miglioramento della capacità di prevenire le crisi, i governi del G8 dicono che è necessario intensificare la capacità di rapida allerta, per assicurare che le loro politiche economiche sono coordinate con le politiche di prevenzione dei conflitti, per riconoscere il ruolo delle Nazioni Unite, per monitorare le spese militari, per sostenere gli sforzi delle organizzazioni regionali, per promuovere la libertà di stampa, ma ancora il ruolo della società civile non è preso in considerazione.
16-17 Dicembre 1999 - Conclusioni del meeting dei Ministri degli Esteri del G8 di Berlino
Nella parte finale della dichiarazione, dopo dopo aver indicato tutti I lavori per il futuro, gli Otto dicono:“Abbiamo anche deciso di sostenere lo sforzo dell’ONU e delle organizzazioni regionali, in particolare l’OSCE, per costruire le capacità civili di reazione rapida compresa la formazione e il dispiegamento della polizia civile.” Quest’idea di polizia civile costituirà un importante impegno nel campo della risposta non-militare alle crisi internazionali. In questo documento possiamo trovare le organizzazioni non governative segnalate fra gli attori della comunità internazionale la cui abilità nella prevenzione dei conflitti potrebbe essere rafforzata dalle politiche dei membri del G8.
13 Luglio 2000 - G8 Iniziativa Miyazaki per la Prevenzione dei Conflitti
Come specificato prima, questo documento è realmente importante nella letteratura contemporanea. Non solo perché rappresenta la volontà degli otto paesi più industrializzati ad armonizzare i loro sforzi nelle diverse aree del mondo in un contesto globale di riferimento in modo da rendere più efficaci le loro azioni, ma anche perché questo va attraverso, più a fondo che in passato, gli strumenti che si pensa saranno utilizzati in futuro. Sebbene le dichiarazioni del G8 sono sempre orientate alla prudenza e caratterizzate da un approccio realistico, in questo documento possiamo trovare alcuni punti positivi. Nel Capitolo I “Sforzi per la prevenzione dei conflitti - un contesto base di riferimento” è evidente che le ONG sono attori fondamentali nelle strategie di prevenzione dei conflitti allo stesso livello degli Stati: “Dobbiamo nutrire una “Cultura della Prevenzione” in tutta la comunità globale incoraggiando le organizzazioni internazionali ed internazionali, gli stati, le ONG a gli altri attori a vedere il vantaggio della prevenzione dei conflitti nelle loro attività e politiche, e a impegnare se stessi a lavorare verso questo obiettivo”. La complessità degli attori è accompagnata da una diversità di livelli (locale, nazionale, internazionale), tempi (pre-conflitto, post-conflitto, escalation…) e dimensioni (sociale, economica, politica) così che essi propongono un “Approccio complessivo”, descritto nel primo paragrafo del capitolo 1. Nel secondo paragrafo troviamo la dichiarazione d’importanza data al Segretario generale delle Nazioni Unite e le operazioni ONU di peacekeeping e l’intenzioni di rafforzare “la capacità dell’ONU nell’area del CIVPOL”. Ancora nel capitolo II “Le iniziative del G8 per la prevenzione dei conflitti”, paragrafo 2 “Sviluppo del Conflitto” troviamo un riferimento alla società civile che fornisce una più estesa interpretazione del suo ruolo nelle crisi internazionali: “Il G8 riconosce anche che […] la partecipazione della società civile può contribuire a mitigare le tensioni”. Il Paragrafo 5 è interamente dedicato alla “Polizia Civile Internazionale” definita “elemento critico nella prevenzione dei conflitti” e vista “usualmente come una componente delle operazioni di peacekeeping”. Da questo punto di vista è importante notare che fino a questo momento la Polizia Civile nel documento dei G8 è strettamente in relazione ed integrata nelle operazioni militari di peacekeeping.
13 luglio 2000 - Conclusioni dell’incontro dei Ministri degli Esteri del G8
Le conclusioni includono tutti i punti sottolineati nell’iniziativa Miyazaki. Possiamo notare la rilevanza data alla prevenzione dei conflitti mettendola nel primo paragrafo del documento, seguito da un paragrafo sul disarmo e solo come terzo paragrafo uno dedicato al Terrorismo. Seguendo, i paragrafi sono :Guerre criminali, riforme dell'ONU, peacekeeping dell'ONU, Democrazia, Crimine, Sviluppo. Prima dei paragrafi il preambolo propone ancora il ruolo della società civile:"[...]Queste richieste intensificano la cooperazione tra stati sovrani,organizzazioni nazionali e internazionale la società civile."
18-19 Luglio - Conclusioni dell'incontro dei Ministri degli Esteri del G8-
Roma Allegato1
"Progresso delle Iniziative di Miyazaki" Questo documento accoglie i compiti assegnati dalle Iniziative Miyazaki .Il più importante passo in avanti è rappresentato dalla nuova collocazione della polizia civile fuori dalla struttura militare nelle operazioni di peacekeeping. Questo vale a richiamare l'intero paragrafo:"Notiamo che il risultato dell'ONU e dei suoi stati membri di adempiere alle raccomandazioni di Brahimi sulla Polizia Civile, li incoraggia a mantenere il loro impegno all'attuazione. Adesso che la Rivista Comprensiva del DPKO è stata stampata , è essenziale perseguire un ulteriore adempimento dell'agenda di Brahimi.In aggiunta a quanto è stato ottenuto finora -come l'iniziare un riorientamento della strada dell'avvicinamento dell'ONU alle operazioni di polizia civile,con unità di Polizia Civile cominciando a toglierle al comando militare- un ulteriore sforzo è necessario su molti questioni chiave,come migliorare la capacità dell' intervento rapido.Avremo anche bisogno di dare un'accurata considerazione delle conseguenze finanziare del miglioramento dei meccanismi del peacekeeping dell'ONU"
18-19 Luglio2001 - Conclusioni dell'incontrodei Ministri degli Esteri del G8-
Roma Allegato 2
"G8 Roma Iniziative sulla Prevenzione dei Conflitti" Questo documento allegato è costituito da due capitoli: "Rafforzamento del ruolo delle donne nella prevenzione dei conflitti" e "Imprese, cittadinanza e prevenzione dei conflitti" Alcuni importanti punti sono presentati nel primo paragrafo riguardanti il ruolo delle donne a tutti i livelli nella prevenzione dei conflitti o nei processi di riconciliazione, ma dobbiamo dire che quelle importanti uscite dovrebbero riguardare tutta la società civile, nel senso, le donne giocano un ruolo fondamentale nell'essere considerate "altro" rispetto ai militari, dalla letteratura. Significativamente, il documento più significativocon i passati-sugli interventi è un documento sulle donne, dove queste attività sono prese ampiamente in conto.Questo documento è rilevante anche perché tutte le dichiarazioni sono basate su un largo numero di precedenti documenti dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Nazioni Unite, Dipartimento delle Operazioni di Peacekeeping, Segretariato delle Nazioni Unite, il DAC dell'OCSE. Qualche esempio:"Il nostro approccio alla prevenzione del conflitto è incompleto se trascuriamo di includere le donne. Le donne hanno prospettive alternative verso la prevenzione dei conflitti al livello di base"; il G8"Sottolinea l'importanza del sistematico coinvolgimento delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti e nel peace-building,cosi come la piena e uguale partecipazione delle donne in tutte le fasi del conflitto ,prevenzione, risoluzione e peacebuilding"; "Incoraggia la partecipazione di tutti gli attori della società civile,inclusele organizzazioni di donne,nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti come incoraggia e supporta la divisione delle esperienze e le migliori pratiche"; “Sostiene la provvigione di un’appropriata formazione sulle tematiche di genere per partecipanti a operazioni di pace, includendo osservatori militari, civili, la polizia civile, il personale di organiz-zazioni umanitarie e sui diritti umani”. Il secondo paragrafo pone l’attenzione sul ruolo delle compagnie private e i loro contributi economici dal punto di vista della Prevenzione dei Conflitti. Questo è un aspetto chiave del problema ma esula dalle line di questo paper.
28 Giugno 2002 - Conclusioni del Meeting dei Ministri degli Esteri del G8, Kananaskis - Allegato “G8 prevenzione dei Conflitti - Disarmo, smobilitazione e reintegrazione”
Come abbiamo precedentemente detto, è sorprendente che dopo gli anni 1999-2000-2001 - ma non è sorprendente se consideriamo che il meeting di Roma si tenne prima dell’11 Settembre - il meeting nel 2002 ha prodotto solo un documento sul disarmo e non possiamo trovare un aggiornamento generale sull’Iniziativa Miyazaki. Ad ogni modo questo documento contiene qualche elemento positivo. Nel paragrafo 2 “Condition for successful Disarmament, Demobilization and Reintegration (DDR)” il G8, riferendosi ancora al rapporto Brahimi, dice: “le NGO può giocare un ruolo di rilievo nel DDR come parte del post-conflitto post-conflict peace-building”. Ancora nelle conclusioni: “Il G8 […] supporta la capacity building sia entro le istituzioni internazionali che le organizzazioni non governative […]”. In merito alle lezioni imparate e alle pratiche da migliorare: “Tenendo conto dell’ampiezza dello spettro delle questioni politiche, economiche, sociali, dei media, servizi pubblici, società civile, militare, ed altre”.

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PARAGRAFO VI
Conclusioni: verso una moltiplicazione dei concetti e degli attori nella trasformazione dei conflitti

La prevenzione e la trasformazione dei conflitti sono stati affrontati da un numero crescente di organizzazioni internazionali nel passato decennio. Questa moltiplicazione degli attori coinvolti sta continuando su almeno due dimensioni. Da un lato, le organizzazioni internazionali con una mission istituzionale normalmente “esterna” alle questioni concenrnenti i conflitti ha instaurato specifici organismi per affrontare questi temi. D’altro lato, diverse istituzioni nazionali in Europa riconoscono i contributi delle ONG e le loro esperienze come utili alle politiche per la pace e la gestione dei conflitti.
Nella prima categoria va almeno considerato il Development Assistance Committee (Comitato di Assistenza per lo Sviluppo), all’interno dell’Organizzazione per la Sviluppo e la Cooperazione Economica - OCSE (Organisation For Economic Co-Operation And Development). L’OCSE raggruppa 30 paesi membri che condividono “un impegno per la democrazia e l’economia di mercato”. Ha relazioni con altri 70 paesi circa, organizzazioni nongovernative e società civile a livello globale. Molto conosciuta per le sue pubblicazioni e statistiche, il suo lavoro copre temi sociali ed economici dalla macroeconomia al commecio, la formazione, lo sviluppo e l’innovazione scientifica. All’interno della sua struttura c’è il Development Assistance Committee (DAC), che incoraggia e armonizza l’aiuto dell’OCSE ai paesi in via di sviluppo. Esso monitora i budget degli aiuti, come sono spesi e se sono conformi alle priorità stabilite per l’aiuto allo sviluppo da parte dell’OCSE perchè vi sia una crescita economica che abbracci tutta la popolazione e sia sostenibile in termini di ambiente e crescita della popolazione. Il DAC produce regolari dichiarazioni sulle sue revisioni dei bilanci degli aiuti dei propri paesi membri e raccoglie tutte le proprie scoperte su livelli d’aiuto, donatori, beneficiari e efficienza dell’aiuto in un report annuale del presidente di turno su itemi, le tendenze e le statistiche nell’assistenza ai paesi in via di sviluppo. Il DAC inoltre lavora con la comunità dei donatori per produrre linee-guida per un efficiente aiuto e per far fronte alle nuove sfide. In questo quadro, il DAC Network on Conflict, Peace and Development Cooperation è il solo forum internazionale dove esperti in peacebuilding e gestione dei conflitti delle agenzie bilaterali e multilaterali si incontrano per definire approcci comuni in supporto della pace. Il suo ultimo documento di linee-guida è “Helping Prevent Violent Conflict" (Aiutare a prevenire i conflitti violenti), approvato nell’incontro di Alti Rappresentanti del DAC (Aprile 2001) come supplemento delle “Linee guida del DAC su Conflitti, Pace e Cooperazione allo sviluppo” del 1997. Nei suoi punti si afferma che promuovere la costruzione dela pace e la prevenzione dei conflitti richiede che le agenzie donatrici lavorino in accordo con gli altri apparati rilevanti sia dei propri governi che di altri attori della comunità internazionale. Ci sono anche indicazioni per migliorare la “cultura della prevenzione” e le analisi in profondità come le valutazioni d’impatto su pace e conflitti (peace and conflict impact assessments) e le costruzioni di scenari, cosicché i donatori possano lavorare al meglio per raggiungere una pace sostenibile. Sono citate come altre aree di politiche rilevanti per il tema il commercio, la finanza, la politica estera, la difesa e la cooperazione allo sviluppo. RIspondendo a questo imperativo, le agenzie di sviluppo stanno accettando i rischi di muoversi più in profondità in un terreno molto sensibile. Nel documento, inoltre, le indicazioni per i Donatori includono “il supporto alle organizzazioni di donne durante i conflitti, per renderle capaci di essere incluse nella mediazione, nelle negoziazioni e nei tentativi di istituzionalizzare il processo di pace”, e più in là: “Un elemento chiave da considerare nella riconciliazione è la natura emotiva delle dinamiche tra vittime e aggressori delle violazioni dei diritti umani avvenute”. Il Paragrafo 129 e i seguenti sono molto interessanti nel sottolineare il ruolo della società civile: “Una componente centrale della prevenzione dei conflitti e della costruzione della pace attraverso la cooperazione allo sviluppo dovrebbe essere il rafforzamento della società civile locale nell’area interessata. I Donatori devono sviluppare partenariati efficienti con un ampio spettro di organizzazioni della società civile, tenendo presente che la forza di diverse società può essere minata dalla polarizzazione”.

A un altro livello,diverse esperienze nazionali testimoniano strategie avanzate per sviluppare un aproccio complessivo per l’intervento civile.
In Germania un forum nazional di Servizi Civili di Pace (ZFD), formato da ONG, èstato ufficialmente riconosciuto dallo Stato. Esso è una struttura di professionisti in gestione nonviolenta dei conflitti, le cui sessioni annuali di formazione e le missioni sono finanziate dal Ministero della Cooperazione e si svolgono in accordo col Ministero degli Esteri. In Svezia, il Ministero degli Esteri ha prodotto un piano d’azione per la prevenzionedei conflitti e l’esercito ha persino sperimentato un’esercitazione congiunta sul campo con le ONG di sviluppo. In Danimarca e Austria i Ministeri degli Esteri stanno dando spazio nella formazione anche del proprio personale a ONG note per il proprio expertise in mediazione e intervento civile non armato. Nel frattempo, in Italia la legge prevede l’istituzione di un organismo nazionale per promuovere la difesa popolare nonviolenta, sebbene la sua implementazione sia stata sinora disattesa. Tutto ciò dimostra che la prevenzione e trasformazione nonviolenta dei conflitti è una nozione in espansione. La sua implementazione in politiche concrete dipenderà molto sulla pressione delle opinioni pubbliche e sulla preparazione della società civile e delle organizzazioni internazionali.

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