IL MERCATO DI ALIPASNO POLIJE 1:4

Il mercato di Alipasno Polije é assolato, la mattinata é tranquilla, alcune venditrici si riparano sotto i loro ombrelli neri, fa caldo. La merce esposta é distesa sull'asfalto, inerme, minimale, un paio di scarpe in vernice bianca stanno accanto ad una maniglia da porta, una finestra con il vetro ancora intatto e alcuni tubi per l'acqua o il gas, non fa molta differenza, lampade a petrolio, vecchi piatti sbeccati di ceramica, scatole di latta, lucchetti, chiavi, catenacci tolti da porte che sono finite nella stufa, cinturini per orologi da polso e altre minuterie che rappresentano la speranza nel prossimo pasto. Che importa se lo zucchero non costa più 50 marchi al kilo, quando lo stipendio medio per chi lavora é di due o tre marchi al mese. I venditori sono tanti, alcuni siedono su di un muretto che confina con mucchi di vecchi rifiuti, molti siedono davanti alle porte del mercato coperto dove ci sono le botteghe alimentari. Trentasei uova per dieci marchi, un pacchetto di Drina, le sigarette locali, un marco, una bottiglia di grappa dell'Herzegovina venti marchi, compro una bottiglia di grappa e mi avvio verso la casa di Naida, che mi ha invitato a pranzo.

Più tardi, consumato il pasto e leggermente ebbri, grazie alla grappa, guardiamo le fotografie di prima della guerra. Naida e Suada, sua sorella, sono in piedi accanto ad un mandorlo fiorito, sullo sfondo, la loro casa a Gorazde. Sorgeva in un prato, ora attraversato dalla linea del fronte, oggi la casa é stata distrutta dai bombardamenti e occupata dai miliziani serbo-bosniaci che assediano l'enclave. - Nema problema - Commenta Suada, scherzando sul fatto che a Sarajevo non c'é mai problema. - Nema problema u Sarajevo - aggiunge Naida, - Nema voda? (acqua) Nema problema, nema sdruia? (elettricità) Nema problema, nema plin? (gas) Nema problema, nema Hrana? (cibo) Nema problema, kad ima, ima. Kad nema, nema. (quando ce n'é, ce n'é. Quando non ce n'é, non ce n'é.) - Questa é la semplice filosofia di base che sorregge la vita quotidiana dentro l'assedio. Ridono le due giovani sorelle mentre Jovan, il marito di Naida, prepara il sacco per andare al fronte. Rimarrà sulla linea dell'assedio tre giorni, per poi ritornare a casa per un giorno di riposo. Jovan é serbo, lui combatte volentieri nell'Armija, ma non gli danno la divisa e questa discriminazione lo fa sentire a disagio tra i compagni, così si è dovuto comprare un paio di pantaloni mimetici, almeno con quelli si sente meno diverso dagli altri.

La divisa completa costa troppo per l'economia famigliare, non meno misteriosa di quella degli altri assediati. Naida versa lo zucchero in un tubo di Formitrol, servirà per il caffè che é stato messo in un sacchetto di plastica, poi ripone tutto nel sacco insieme con i panini e l'acqua.

Il mercato do Alipasno Polije

La ronda


2:4

Le torri dellUNIS viste dalle colline, da dove sparano i cecchini e gli artglieri
Le torri dellUNIS viste dalla strada con le barriere anti cecchino
Si é fatto tardi, la consuetudine di quei gesti abituali eppure così drammatici, mi ha impressionato. Inoltre per radio stanno annunciando che hanno sparato sul tram, e sicuramente le corse sono state interrotte, così dovrò camminare a piedi per una decina di kilometri fino al centro, dove abito. Camminando verso casa, mi viene da pensare ai tempi oscuri del medioevo, quando le città erano circondate da alte mura e gli assedi duravano anni e anni. Sarajevo come Gerusalemme durante le crociate, rituali di sopravvivenza che si perpetuano nei secoli. Ormai ho il passo sostenuto e mi affianco ad un uomo che torna anche lui verso il centro, viene dal fronte di Stup, all'estremità occidentale della città. Mi racconta che l'Armija, poche ore prima, ha sfondato il fronte serbo a nord-ovest dell'assedio, l'offensiva mira ad interrompere il transito delle milizie serbo-bosniache sulla strada che porta a Pale, la battaglia é ancora in corso. Quando arriviamo al ponte di Otoka, l'uomo svolta per la sua strada mentre io proseguo diritto sul viale dei cecchini. Più avanti vedo alcune persone che corrono, sulla destra a poche centinaia di metri, dai palazzi bianchi del quartiere di Grbavica, i cecchini cetnici sparano sui passanti.
I palazzi bianchi del quartiere di Grbavica

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Sopra: vista dalla postazione del cecchino
che guarda la strada tra il Palazzo delle Poste
e il Teatro dell'Opera - Sotto: la stessa strada
con il cartello "Pazi Snaiper" (attenti al cecchino)
Sopra: presidio serbo sulle colline -
Sotto: postazione del cecchino
Ogni varco é rischioso, arrivo alla fine di un muro e mi fermo, lì accanto all'ombra di un albero, sostano in attesa alcune donne. Nessuno passa. Poi arrivano tre giovani in mimetica che, con grande indifferenza, attraversano tranquillamente il varco, così, preso dal ritmo della marcia, lascio le donne alle mie spalle e mi accodo ai soldati. Sono circa a metà del varco, quando sento sibilare una fiondata seguita in contemporanea dal colpo secco di una fucilata che scheggia la ringhiera accanto a me. Il colpo é passato a pochi centimetri dalle mie gambe, con un balzo raggiungo il muro oltre il varco, dove mi riparo sudando copiosamente. Il cecchino ha avuto tutto il tempo per calcolare la mira sui tre bersagli che mi precedevano, per poi tirare su di me che ero l'ultimo. Per fortuna e con mia grande gioia mi ha mancato. Ai varchi successivi, tra un muro e l'altro, decido che é meglio correre anche se mi sento ridicolo. Guardo gli altri e realizzo quanto siano umilianti e nevrotiche quelle corsette improvvise, con il cuore in gola, tra i muri che si aprono sul fiume Milijacka. Più avanti, all'altezza del palazzo del Parlamento si sentono i colpi secchi delle fucilate inseguire una donna che corre senza fiato tenendo il suo piccolo per mano, anche per quel giorno siamo rimasti vivi, penso incrociandoli e condividendo il loro terrore. Sta calando la sera, l'auto blindata di una TV straniera si ferma a caricare l'operatore e la cronista che hanno registrato la realtà di quel pomeriggio.

4:4
Il colonnello medico che ha la responsabilità dell'Ospedale Militare dei caschi blu, dopo un incontro con il suo Ministro della Difesa, mi spiega che gli ordini della squadra anticecchini, sono i seguenti: dopo avere individuato il cecchino, il divieto di colpirlo persiste, si deve avvisare il franco tiratore lanciando un segnale luminoso che dovrebbe risultare dissuasivo,
poi se quello uccide ancora, ignorando l'avvertimento, solo allora, se il cecchino é ancora in vista, si può far fuoco per colpirlo.

A destra: Servizio di interposizione dell'UNPROFOR a difesa dai cecchini

Zona pericolosa Sei un bersaglio
I caschi blu scrutano inutilmente i palazzi di fronte con i binocoli. Proseguo fin sotto al palazzo del Parlamento, dove una lunga fila di containers protegge il piazzale di fronte al ponte di Vrbanja, per fortuna che non hanno spostato anche questi, nell'euforia della scorsa primavera. Mentre sto attraversando il piazzale per immettermi nella via Marsala Tita, sento due spari, secchi, improvvisi, vicini, uno alla mia destra e l'altro alla mia sinistra, mi butto precipitosamente dentro un portone buio, dove mi ritrovo di nuovo fortunosamente in salvo, mi tocco. Dicono che il proiettile viaggia tre volte più veloce del suono, quindi prima si viene colpiti e poi si sente lo sparo. Con calma, attraverso cantine e cortili fino a sbucare sulla Marsala Tita, dove penso di essere finalmente al sicuro, ma anche lì la gente corre per attraversare gli incroci che guardano le colline. Lo sfondamento del fronte ha scatenato la rappresaglia sui civili ignari. Giunto finalmente a casa, il mio amico Felipe, un giornalista spagnolo, mi racconta che si é rifugiato nella cantina di un bar con il padrone e il cameriere, continuando a bere birra d'importazione, mentre fuori cadevano le granate. Ridiamo, felici di essere ancora vivi, commentando che ieri Sarajevo era molto tranquilla, mentre oggi si é trasformata in una roulette russa. A quell'ora la battaglia sulla strada per Pale é finita, l'offensiva bosniaca é rientrata e tutto é tornato come prima. Tanto chiasso e tanto dolore per nulla. Misteri della guerra. I mortai serbi che erano stati messi sotto il controllo diretto dell'UNPROFOR hanno ricominciato a far sentire la loro voce. Fuori, le tenebre ricoprono con un velo pietoso la rabbia e la disperazione degli uomini. Felipe mi informa che alla radio hanno chiesto di me, sono arrivate le bozze del mio primo libro e devo riconsegnarle corrette entro dieci giorni. Non posso più restare, devo riuscire a partire. Ma il ponte aereo é sospeso a tempo indeterminato e anche la pista attraverso l'aeroporto é impraticabile senza un'auto blindata. L'unica alternativa per uscire dall'assedio é il tunnel che passa sotto la pista d'atterraggio dell'aeroporto. Poi, da qualche parte sul monte Igman, al riparo dalle artiglierie serbo-bosniache, dovrebbe esserci l'autobus per Spalato che attende il suo carico di evasi.

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