LA PISTA CHE COLLEGA IL MONDO LIBERO CON LA VALLE DELLA MILIACKA 1:3

E' la vigilia di Natale quando, sbarcato dal traghetto, mi ritrovo nuovamente sulla via per Sarajevo. Le continue chiusure dell'aeroporto mi hanno convinto di scegliere la via di terra, così con la mia Y10 bianca, guido alla volta del monte Igman. Pochi kilometri dopo il paesino di Pazarici la strada statale che porta a Sarajevo é bloccata dalla linea del fronte, un grande cartello indica, sulla destra, l'entrata al monte Igman. La polizia militare controlla il flusso dei veicoli, ho comprato della grappa e ne bevo un poco insieme ai soldati i quali, dopo una breve attesa mi fanno proseguire. Una volta superata la sbarra arrivo al villaggio di Lokve, poche case che punteggiano le pendici del monte, la moschea locale é stata scoperchiata dalle granate incendiarie che hanno colpito anche il minareto, tra le case del villaggio, dove grossi tronchi riparano le porte e le finestre da eventuali attacchi dei mortai serbi, inizia la pista, ripida e accidentata, ci sono almeno 40cm di neve infangata sulla strada, ma l'Y10, munita di catene, si arrampica imperterrita, senza problemi. Appena fuori dal villaggio, uno dei tornanti più ripidi si inerpica sul monte superando una vecchia cava, poco dopo inizia un tratto esposto alle colline sulla sinistra, dove i cetnici hanno le loro postazioni di mortaio.
Davanti a me, i blindati bianchi di un convoglio dell'UNPROFOR prendono le distanze l'uno dall'altro, per prudenza é meglio guidare lontani dal veicolo che precede, così mi fermo e li lascio proseguire per qualche minuto, poi spengo i fari e riparto. La pista imbiancata dalla neve favorisce la guida al buio, la strada si snoda tra gli abeti appesantiti dalle nevicate, sotto, nella valle, le luci del paese di Hadzici, in territorio serbo-bosniaco, brillano nell'oscurità. Una volta scomparse le luci e superato un piccolo posto di controllo bosniaco, si possono riaccendere i fari e continuare più tranquillamente la risalita della mulattiera che attraversa la montagna, tra i solchi lasciati dai grossi camions e le buche fangose coperte dalla neve, le luci dell'auto si riflettono sulla foresta ai lati della strada. Spesso i grossi tir carichi di merci, che si arrampicano lentamente sul monte, bloccano il traffico ostruendo la pista e solo dopo lunghe manovre, punteggiate da non poche imprecazioni, si riesce a proseguire. A circa metà del percorso un'ennesimo posto di blocco sorge all'inizio di un breve tratto asfaltato, alla fine del quale, illuminata da grossi fari tra sacchetti di sabbia e filo spinato, si trova una base UNPROFOR.

La pista che collega il mondo libero alla valle della Milijacka é protetta da diverse migliaia di soldati che fronteggiano il nemico nelle trincee tra i boschi, mantenendo, con la loro presenza, la sicurezza del transito verso la città assediata. Sono già passate più di tre ore, da quando ho superato la sbarra giù a Pazarici, quando compare davanti a me una lunga fila di camions fermi, con la mia piccola auto cerco di proseguire ma, più avanti, un poliziotto mi ordina di fermarmi e di spegnere i fari. Mentre comincia a nevicare, chiudo l'auto e m'incammino verso la sbarra con la bottiglia di grappa in tasca, per scambiare qualche parola con i soldati e vedere cosa succede. La fila é lunga un paio di kilometri, ci sono auto di civili che tornano a casa, autobus pieni di truppe e camions carichi di generi alimentari destinati a rifornire gli abitanti assediati, ci sono anche alcuni blindati dell'UNPROFOR che attendono il loro turno per scendere a valle. Quando arrivo alla sbarra alcuni camionisti stanno chiacchierando, mentre lontano si possono sentire i colpi di mortaio, un militare esce dalla baracca e ci informa che non c'é ancora l'ordine per scendere a causa della battaglia in corso giù a valle. Tiro fuori la grappa. Beviamo insieme sotto la neve che non accenna a smettere, non capisco quasi niente di quello che dicono, ma uno dei camionisti dev'essere serbo, perché tutti lo chiamano "aggressore', un soprannome scomodo, ma lui non sembra farci caso.


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Mentre la bottiglia si svuota, suona di nuovo il radiotelefono e il soldato corre dentro la baracca, questa volta é arrivato il via libera e tutti corriamo ai nostri mezzi. Sono ormai le H.21.00 quando arrivo a Osmica, subito i soldati mi ordinano di spegnere le luci, nell'attesa dell'ok per scendere mi preparo, indosso il giubbetto anticheggie e apro la seconda bottiglia di grappa, bevo un sorso e accendo una sigaretta. Ha smesso di nevicare, sulla strada si stà radunando di nuovo la colonna, d'un tratto i veicoli iniziano a scendere tutti insieme, cosa che mi lascia perplesso perché, uscendo allo scoperto saranno molto visibili dalla collina di Gavrice, vicino all'aeroporto, così come dalla Scuola Forestale di Ilidza, da dove gli artiglieri serbi scrutano la pista con i binocoli a raggi infrarossi. Così, arrivati al primo traliccio che porta i cavi elettrici a valle, mi fermo e lascio passare tutto il convoglio, mi accorgo che non hanno fatto scendere tutti, ma solo una dozzina di veicoli, tuttavia accosto. Tempo cinque minuti e una raffica di traccianti sfreccia nel buio cercando l'incendio, dal pilone dove mi sono fermato non vedo altro, le raffiche si susseguono mentre i camionisti guidano verso la valle, poi all'improvviso, un boato illumina la notte, la contraerea ha trovato il bersaglio e la colonna é costretta a fermarsi allo scoperto, senza la possibilità di invertire la marcia, completamente inermi alla mercé dell'antiaerea serba. Si può solo aspettare, pregando che l'alba non ci colga ancora fermi. Il bagliore dietro la curva, continua a bruciare per ore. L'antiaerea non spara più, il traffico è sospeso. Quando l'incendio si spegne, i caterpillar blindati dei caschi blu escono dal loro fortino, posto qualche centinaio di metri più in basso e recuperano i rottami del veicolo, liberando la strada. Poco dopo le prime auto che iniziano a risalire il monte, sono la prova evidente che la pista é sgombra. Bevo l'ennesimo sorso, mi faccio coraggio e inizio la discesa a fari spenti, con il dirupo sulla destra che precipita nel vuoto. Non posso frenare perché ho dimenticato di oscurare le luci degli stop, così uso il freno a mano, l'unica luce che non riesco a spegnere é quella dell'orologio digitale, vi sembrerà esagerato, ma nel buio totale quella piccola lucetta verde m'innervosisce molto. Continuo la discesa con una mano sul volante e una sull'orologio digitale, cercando di evitare i freni, comunque il sentiero innevato é ben visibile nell'oscurità e tutto và per il meglio, in pochi minuti supero il fortino dell'UNPROFOR e raggiungo la sbarra di uscita dalla pista. Sono a valle. La mezzanotte é già trascorsa e ormai anche la seconda bottiglia di grappa é finita, guido con prudenza attraverso i sobborghi di Hrasnica e Sokolovic, fino ad arrivare a Butmir, da dove si entra sulla pista dell'aeroporto.

Non sono sicuro di riuscire a passare, comunque ci provo, anche perché non saprei dove andare a dormire. Quando arrivo sulla linea del fronte che mi separa dall'aeroporto, la zona brulica di militari e di civili che si affollano intorno all'ingresso del tunnel. Subito qualcuno mi urla di spegnere i fari, fermo l'auto dietro ad una coda di veicoli che manovrano al buio, immersi nel fango. Fuori dal finestrino, alcuni soldati si scaldano accanto al fuoco, davanti alle rovine di una casa diroccata. Ho già bevuto abbastanza, così cedo la bottiglia appena iniziata ai militari i quali, esposti al gelo notturno, le danno subito un caloroso benvenuto. Nel frattempo arriva un soldato che mi fà segno di scendere e di seguirlo, duecento metri più avanti la Land Rover blindata di una ONG inglese é finita per metà in un profondo fossato e non sembra che sarà facile tirarla fuori da lì. Il soldato mi mostra uno stretto passaggio tra il blindato mezzo capottato e un muretto diroccato, facendomi capire che se riesco a passare posso proseguire. Lo spazio disponibile non supera il metro e mezzo, ma dovrebbe essere appena sufficiente, ritorno all'auto e riparto a fari spenti, guidando molto lentamente penetro la folla e arrivo alla strettoia, dove l'Y10 con l'aiuto del soldato riesce a farcela. E' decisamente una notte fortunata, così apro la terza bottiglia di grappa per festeggiare.

Guidando lentamente tra le ombre delle case bombardate che si affacciano sinistre sul viottolo, arrivo all'ultimo posto di blocco, all'estremità delle linee bosniache, dove inizia il tratto di pista che porta all'entrata del cosidetto "corridoio blu', che attraversa l'aeroporto. A non più di cento o centocinquanta metri, ci sono le postazioni serbe, dalle quali alcuni potenti riflettori illuminano il tratto di strada che porta all'aeroporto. Il soldato di guardia mi dice che non si può passare, perché quel tratto di notte viene minato per evitare spiacevoli incursioni nemiche. Bevo un sorso e ne offro al soldato che rifiuta, la situazione si fà complicata, spero di non dovere tornare indietro. Intanto il suo collega mi prende i documenti e và a telefonare al comando. Dopo alcuni lunghi minuti d'incerta attesa, vedo il soldato che era andato a telefonare, uscire dalla baracca e dirigersi oltre la sbarra, piegato in due per non farsi vedere e cercando di rimanere fuori dalla zona illuminata, si ferma sul lato destro del sentiero e armeggia stando carponi per qualche minuto. Quando torna, correndo sempre piegato in due, mi chiede scettico cosa vado a fare dall'altra parte, i cetnici possono sparare e uccidere molto facilmente, gli domando se devo fare attenzione alle mine, - adesso no - risponde. Era andato a disinnescarle per farmi passare, lo ringrazio e gli offro la bottiglia, ma anche lui rifiuta. Poi, mentre mi metto l'elmetto, mi dice che non servirà a gran ché, rispondo che con l'elmetto e la bottiglia non ho problemi. Ci salutiamo, in realtà sono consapevole di essere un grande incosciente e ho anche molta paura, ma oramai sono anestetizzato dalla grappa e poi confido nel Natale, per quel che può valere da queste parti.

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Ora i fari posso anche tenerli accesi perché sono entrato nell'area illuminata dai potenti riflettori dei serbi. Chissà se i cetnici mi guardano, e cosa commentano vedendo quella piccola macchina italiana passare davanti alle loro postazioni per entrare nella città assediata. Quando arrivo al check point dell'UNPROFOR che controlla l'accesso al "corridoio blu", mi fermo e saluto il casco blu francese con un liberatorio e un pò impastato - Bonne Noel -. Lui mi sorride, controlla i documenti e poi sparisce nel bunker che accoglie il presidio. Da lì comunicano il mio passaggio al check point di uscita, ai confini di Dobrinja. Dopo dieci minuti esce, mi restituisce i documenti e mi dice che ho tre minuti per arrivare all'altra postazione UN. Guido sulla pista innevata e piatta, dopo aver svoltato a destra seguendo un cartello che indica Dobrinja, arrivo alla sbarra d'uscita dove mi ricontrollano i documenti, la oltrepasso e dopo una curva imbocco la stradina che entra nel quartiere ai limiti dell'assedio, al posto di blocco bosniaco, ce l'ho fatta. Sono ancora sano e salvo, la nausea per l'alcool é ormai vicina, ma sono ancora vivo e questo mi rende euforico. Regalo l'ultima bottiglia di grappa ai bosniaci che le danno il consueto benvenuto e con un buon Natale, gridato in italiano, entro in Sarajevo poco dopo l'una.

Il coprifuoco é stato soppresso per la festività cattolica e c'é ancora qualche bar aperto e alcune persone infagottate fanno l'autostop per tornare a casa. E' il terzo inverno di guerra e le pendici, un tempo boscose, delle colline intorno alla città sono state completamente disboscate, chi non si può permettere un sacco di legna a 20 marchi, brucia i mobili di casa, o i pavimenti di legno. Da mesi la luce e il gas vengono erogati ad intermittenze irregolari, soggette come sempre al ricatto e alla ritorsione. Gli impianti di fortuna per canalizzare il combustibile causano spesso delle esplosioni, a tutto ciò si aggiunge la nuova tattica devastatrice degli assedianti, che consiste nel chiudere l'erogazione in piena notte, per poi riaprirla poco dopo, quando le fiammelle nelle stufe si sono spente. In questo modo il gas erogato, che é inodore, satura l'ambiente senza rivelare la propria presenza, basta quindi un'accendino che cerca una candela per causare l'esplosione che manda a fuoco l'intera abitazione. La situazione alimentare, pur sempre precaria, é comunque sorretta dal flusso che attraverso il tunnel e riempie i banchetti dei mercatini rionali, mantenendo i prezzi contenuti. Le tregue vengono rinnovate al solo scopo di riorganizzare i combattenti, inoltre la neve, che cade abbondante, ostacolerebbe le manovre militari. Si sente spesso parlare dell'offensiva congiunta croato-musulmana, minacciata durante l'estate, che dovrebbe essere lanciata in primavera.


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