LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI 1:2


L'11 dicembre, 500 civili occidentali, riescono ad ottenere l'autorizzazione dai serbo-bosniaci per entrare nella città assediata. Sono in gran parte italiani, ma tra loro si trovano anche spagnoli, tedeschi, inglesi, austriaci, americani e giapponesi. Oltre ad alcuni religiosi e religiose, vi sono due vescovi, Mons. Bettazzi di Ivrea e Mons. Bello di Molfetta, ci sono anche alcuni parlamentari della sinistra italiana, un sindaco e qualche giornalista. Non fanno parte di alcuna organizzazione non governativa, ne tanto meno governativa. Rivendicano una ONU dei popoli che non privilegi gli interessi delle nazioni più forti, credono nella diplomazia popolare e affermano il diritto di accesso a Sarajevo. Beati i Costruttori di Pace sono il frutto spontaneo della coscienza pacifista italiana ed europea. Il loro obbiettivo é di celebrare la giornata internazionale dei diritti umani nella città assediata, in nome della pace e della convivialità delle differenze, portando la loro solidarietà alla popolazione stremata. Sono le H.16.30, quando le milizie serbo-bosniache autorizzano il transito attraverso la linea dell'assedio. Dieci "beati" rimarranno in ostaggio a Ilidza per garantire il ritorno pacifico dei 500, cercando occasioni di dialogo e di condivisione.

L'oscurità é già calata, fredda e nebbiosa, sulla città innevata. Il corridoio usato dall'UNPROFOR per entrare in Sarajevo é chiuso dalle H.16.00. poco prima delle H.20.00 i dieci pullmans, guidati da coraggiosi autisti croati, arrivano sulle linee bosniache. Seduti nei pullmans, provati da cinque giorni di viaggio, impauriti dall'oscurità, dalle raffiche improvvise e dai rischi folli che quell'impresa comporta, ma fieri di avere raggiunto l'obbiettivo i pacifisti commentano che l'ONU dei popoli entra a Sarajevo anche quando l'ONU dei potenti non può farlo. Alle H.22.00, i pullmans si fermano davanti alla Presidenza dove, nonostante il coprifuoco, una piccola folla é venuta a dar loro il benvenuto. Li appalaudono, li abbracciano, lacrime di liberazione, di commozione e di amore scorrono sui volti dei presenti. Quell'abbraccio fraterno segna in tutti un'emozione molto profonda, per gli abitanti assediati quei 500 civili europei rappresentano tutti coloro che, pur vivendo nel benessere e in pace, non hanno dimenticato la loro tragedia e non li vogliono abbandonare. Verso le H.24.00, alcuni soldati bosniaci salgono sui pullmans e accompagnano la carovana di pacifisti in una scuola poco lontano, dove trascorreranno la notte. Le sparatorie e le esplosioni fanno da colonna sonora al riposo di quegli stranieri venuti all'inferno per portare un messaggio di pace. All'alba si intensiicano i bombardamenti che, verso le H.08.00 lasciano spazio al silenzio e alla calma.

- Allora gli abitanti ci offrirono un poco di té caldo con una o due fette di pane - racconta una delle partecipanti - guardando dalle finestre dell'edificio giù nel cortile, potei vedere come le granate avessero infranto praticamente tutti i vetri delle finestre e crepato i muri. Rottami d'auto e pile d'immondizia giacevano nel cortile.

La mattinata é dedicata alla celebrazione della giornata dei diritti umani, anche se l'anniversario della Carta Internazionale dei Diritti Umani ricorre il 10, mentre oggi é il 12 dicembre. Sono quattro gli incontri ecumenici e di preghiera, che si svolgono nelle sedi delle quattro religioni professate a Sarajevo, la musulmana, la cristiano-ortodossa, quella cattolico-romana e l'ebraica. Poi un incontro con la popolazione, in un teatro, a lume di candela e in seguito; i medici vanno all'ospedale, il sindaco và in Comune ad incontrare il suo collega sig. Kreselijakovic, i parlamentari dal capo del governo e una delegazione, tra cui i due vescovi, và dal Presidente Izetbegovic.
- Molta gente per la strada ci stringeva la mano e ci salutava - continua la pacifista - altri salutavano dalle finestre, molti erano in lacrime. La maggior parte degli edifici che vedemmo erano antichi e tutti erano stati danneggiati da proiettili o scheggie di granata. C'erano barricate in molte strade e a qualche incrocio barriere di cemento o acciaio erano state erette per proteggere i passanti dal tiro dei cecchini. C'erano un mucchio di detriti e di ciarpame per la strada, le poche automobili transitavano a forte velocità per rendere più difficile il tiro al bersaglio praticato dalle colline. Verso le H.14.00, quando gli incontri terminarono, risalimmo sui pullmans e, preceduti da un'auto della polizia bosniaca, lasciammo il centro della città. Il viaggio di ritorno, questa volta in piena luce, ci mise in condizione di vedere i danni provocati ai palazzi.


2:2
Praticamente ogni edificio era danneggiato in qualche sua parte. Molte le costruzioni bruciate, qualcuna aveva il tetto crollato. La strategia dei serbi sembrava tesa soprattutto ad ammazzare gli abitanti della città servendosi di cecchini e mortai e a rendere la vita dei sopravvissuti il più triste e misera possibile. Occasionalmente i serbi lanciano attacchi pesanti a determinate sezioni della città. Ci fù detto che circa due giorni prima del nostro arrivo, per tre giorni consecutivi i serbi avevano sparato circa 3.000 granate su di un solo quartiere, uccidendo più di 200 persone. La nostra carovana attraversò la città in rovina senza venire attaccata. Al posto di blocco bosniaco l'auto della polizia ci lasciò e noi continuammo per un centinaio di metri fino al posto di blocco serbo dove, dopo una breve attesa, arrivò un'auto della polizia serba per scortarci fino ad Ilidza. - (Tratto da Passo ... Passo Anch'io a Sarajevo. Beati I Costruttori di Pace per l'Editrice Messaggero)

La notizia dell'evento, unico nella storia, passerà di bocca in bocca e correrà attraverso le linee telefoniche, raggiungendo i campi profughi e le abitazioni di molti bosniaci rifugiati all'estero, producendo l'effetto di far giungere alla sede dei Beati i Costruttori di Pace a Padova, un numero crescente di lettere indirizzate ai congiunti che vivono dentro l'assedio. Così, dopo aver aperto un varco nel serraglio (antico nome di Sarajevo), i beati cercheranno, con i pochi mezzi a loro disposizione, di garantire un minimo di comunicazioni tra gli assediati e i loro congiunti. A questo scopo verrà aperto un ufficio da dove, la posta, che giornalisti e volontari usando il ponte aereo, trasportano dentro e fuori da Sarajevo, verrà distribuita alla popolazione, ricongiungendola idealmente con il mondo esterno. E realizzando, seppur con grande difficoltà, l'applicazione di una piccola parte dell'art.12 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.


TOP