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8 Agosto 2015

 

Se scompare l’individuo, diventa possibile qualunque manipolazione

di Francesco Lamendola  

 

Il terrorismo nell’era moderna è il mezzo con cui le oligarchie scatenano contro i popoli guerre segrete che sarebbe politicamente impossibile fare apertamente

 

Fin dal 2007 Arianna Editrice di Bologna ha tradotto in italiano e pubblicato l’ampia inchiesta di Webster Griffin Tarpley, giunta ormai alla quarta edizione negli Stati Uniti, «11 Settembre. La fabbrica del Terrore made in U.S.A.» (titolo originale: «9/11 Synthetic Terror»), un libro dal quale si può parzialmente dissentire, ma la cui lettura resta comunque indelebilmente impressa per la vastità degli scenari che apre e per la paurosa complessità - e, al tempo stesso, se ci è concesso l’ossimoro, per la incredibile semplicità - dei meccanismi e dei gruppi di potere coinvolti nella spirale del terrorismo internazionale.

La parte più originale del volume, infatti, è proprio quella in cui l’Autore dispiega davanti ai nostri occhi l’allucinante scenario di quello che egli definisce “il Terrorismo sintetico”, vale a dire un terrorismo di Stato, creato artificialmente dai servizi segreti, o da frammenti dei servizi segreti, di alcune potenze mondiali, prima fra tutte quella statunitense.

L’idea in sé non è nuova e rientra, come ognuno ben vede, nel più ampio panorama delle teorie politiche definite oggi, non senza una generosa punta di disprezzo da parte della cultura ufficiale, cospirazioniste, a cominciare da quelle - tanto dettagliate e suggestive, quanto scandalose e inverosimili - di David Icke, fino a quelle mensilmente portate avanti da riviste come «Nexus»; e che gli studiosi accademici disdegnano anche, o principalmente, a causa dei collegamenti che esse istituiscono con la problematica ufologica, con le “abductions” aliene e con gli esperimenti segreti che verrebbero condotti in alcune basi sotterranee, come l’area 51 del Nevada, forse in collusione con entità extraterrestri.

Ad ogni modo, il secondo capitolo del grosso volume di Webster Griffin Tarpley, intitolato appunto «Teoria e prassi del Terrorismo sintetico», si mantiene sul solido terreno di questo mondo, ignorando eventuali ed improbabili connessioni aliene, e delinea un quadro d’insieme alquanto allarmante, ma anche minacciosamente verosimile, di come si possano fabbricare a tavolino le più gravi emergenze terroristiche, per poi ottenere dall’opinione pubblica, spaventata e disinformata, l’assenso necessario alle politiche delle élite occulte globali; politiche che, in un contesto politico e sociale, democratico, non troverebbero consensi, in condizioni normali, sia per la loro estrema distruttività sul piano ecologico, sia per il cinismo e per la mostruosa avidità di potere e di risorse economiche e finanziarie, di cui sarebbero la brutale espressione.

 

«Il terrorismo, nell’era moderna - scrive l’Autore - è il mezzo  con cui le oligarchie scatenano contro i popoli guerre segrete, che sarebbe politicamente impossibile fare apertamente.  L’oligarchia, a sua volta, ha sempre lo stesso programma politico, che non è cambiato dai tempi di Tucidide, di Platone e dello scrittore, che gli storici classici chiamano Vecchio Oligarca (Pseudo Senofonte): il programma dell’oligarchia è di perpetuare l’oligarchia. La specifica forma politica ed economica dell’oligarchia è molto meno importante.

Secondo la visione ingenua, il terrorismo nasce direttamente dall’oppressione, dalla miseria economica e dalla disperazione politica. I popoli oppressi e sfruttati, o colonizzati da una potenza straniera, si suppone si uniscano spontaneamente, creino un’organizzazione e, dopo un certo periodo di tempo di preparazione, procedano alla lotta armata contro oppressori e occupanti. Ma questa è la più rara delle eccezioni.

Questa visione ingenua è cieca di fronte ai principali attori istituzionali nel mondo del terrorismo: le agenzie di servizi segreti come CIA, FBI, NSA, KGB, Stasi, MI6 e così via. Le agenzie dei servizi segreti sono istituzioni in cui è all’opera l’essenza stessa dell’oligarchia: poiché il godimento dei privilegi oligarchici arriva inevitabilmente a spese del popolo, divengono indispensabili metodi di controllo segreti. Le agenzie dei servizi segreti  nelle forme moderne risalgono alla Repubblica di Venezia, famosa per il suo consiglio di amministrazione dei servizi segreti, il Consiglio dei Dieci e la sua pervasiva rete di spie, informatori e provocatori; la Repubblica di Venezia è stato il sistema oligarchico più duratura della storia. Nonostante le differenze culturali tutte queste agenzie di servizi segreti sono fondamentalmente simili. Il terrorismo, in genere, inizia con queste agenzie segrete e oggi, con più probabilità, nei loro tentacoli privatizzati, come quelli che la comunità dell’intelligence negli USA ha iniziato ad avere a partire dal decreto esecutivo 12333 del presidente Reagan.

Le agenzie dei servizi segreti sono fataliste o realiste, nel senso che considerano inevitabili i cambiamenti sociali e politici su larga scala. Non appena identificano un fenomeno nascente che non hanno ancora penetrato, il loro unico pensiero è di come infiltrarvi i oro agenti e le loro risorse umane, così da poterlo guidare o influenzare man mano che cresce. Ogni volta che i leader delle agenzie di spionaggio vedono un treno che parte da una stazione, il loro unico pensiero è salirvi a bordo, indipendentemente dalla destinazione, come mi ha assicurato alcuni anni or sono il generale Paul Albert Scherer, ex capo del controspionaggio dell’esercito della Germania Ovest (“Militarischer Abschirmdienst”) e uno dei massimi esperti in questo campo. Ciò si applica a maggior ragione ai gruppi terroristici, su cui attenzione delle agenzie di servizi segreti è così concentrata che il loro compiuto è più spesso quello di fondare, e molto meno spesso quello di infiltrare gruppi già esistenti assumendone il controllo.

Il mondo delle agenzie d’intelligence è un regno di falsità, camuffamento, inganni, violenza, indicibili crudeltà, frodi, slealtà e tradimenti. È il più tetro e desolante settore dell’agire umano, dove nessun valore umano può esistere. Non conosce né misericordia, né speranza, né redenzione… [pp. 76-77]»

 

La panoramica di Webster Griffin Tarpley parte dalla “congiura delle poveri”, nella Londra di Giacomo I, l’anno di grazia 1605 (congiura dietro la quale si muovono gli agenti segreti veneziani, interessati a provocare un conflitto tra la l’Inghilterra e la Spagna) e arriva fino ad Osama Bin Laden, che egli inserisce nella categoria degli “zimbelli”, insieme a Lee Oswald, il presunto uccisore di J. F. Kennedy: infatti, gli “zimbelli” sono degli assassini o dei capi terroristi completamente strumentalizzati dai servizi segreti per svolgere i lavori più sporchi, dopo di che vengono fatti sparire o vengono sostituiti da sosia, affinché l’opinione pubblica polarizzi sempre la propria attenzione su di essi e non sui loro possibili mandanti e burattinai.

Nel mezzo, la disamina di Tarpley comprende i circa trenta attentati orditi dalla CA alla vita di De Gaulle, a causa del suo rifiuto di integrarsi nel sistema politico-militare della N.A.T.O.; la riuscita eliminazione di Enrico Mattei, il geniale autore di un tentativo di sganciare l’economia italiana dal cartello petrolifero anglo-statunitense; il riuscito attentato a Kennedy; e l’intera stagione del terrorismo italiano e tedesco degli anni Settanta del ‘900. Ricordiamo che l’Autore si era a suo tempo particolarmente occupato del fenomeno delle Brigate Rosse e specialmente del rapimento di Aldo Moro, arrivando alla conclusione che uomini come Toni Negri, ad esempio, hanno svolto obiettivamente il ruolo di “zimbelli” nei confronti dell’oligarchia, ben decisa a impedire l’ingresso del P.C.I. nel governo e a consolidare i propri privilegi.

Ma ce n’è anche per Mazzini e per la “Giovine Italia”, che, secondo Tarpley, altro non sarebbe stata che una delle tante organizzazioni terroristiche finanziate e strumentalizzate dalla Marina britannica per creare difficoltà alle tre potenze che il liberalismo inglese si compiaceva di definire “arbitrarie”: Austria, Prussia e Russia. Troppo ampio sarebbe il discorso anche solo per riassumere quest’unico capitolo del libro di Tarpley, che, in totale, conta 650 pagine; ma, ripetiamo, si tratta di una lettura affascinante, che stimola continuamente il senso critico del lettore e che lo guida a porsi in maniera nuova di fronte ad alcune presunte “verità”  acquisite (mai, però, realmente verificate) della storia moderna e contemporanea.

Il punto d’arrivo (provvisorio) è, ovviamente, l’attentato dell’11 settembre 2001: il più classico, il più spregiudicato, il più cinico di tutti gli attentati pianificati dall’oligarchia occulta per perseguire i propri fini: fuorviare l’opinione pubblica mondiale, ottenendo un mandato in bianco dai propri cittadini e gettando le basi, di fatto, per una dittatura poliziesca globale, oltretutto con il pretesto di difendere i “sacri” valori della libertà e della democrazia.

Il fatto è che la democrazia – come bene aveva visto Søren Kierkegaard, che ne parla in alcune pagine memorabili della «Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia», dell’ormai lontano 1846 – non offre, di per sé, e contrariamente a quel che generalmente si crede, la benché minima garanzia di sapere o di volere esercitare una funzione critica nei confronti del reale, a cominciare dalle decisioni politiche prese dai governi: essa, infatti, si basa sulla diffusione della cosiddetta “opinione pubblica”, a sua volta instillata dai mezzi d’informazione, per cui tutti ripetono e credono di sapere le cose che sentono dire, senza effettuare alcun controllo, alcuna verifica su come certe notizie siano nate e su quanto siano attendibili. Ciascuno pensa e dice, ripetendolo, quel che ha sentito dire; milioni di persone pensano e dicono le stesse cose, credendo trattarsi della verità, ma nessuno esercita una critica effettiva, nessuno esprime un pensiero diverso: mentre solo se vi fossero due opinioni, e sia pure una rappresentata dai milioni, l’altra da un singolo soggetto, vi sarebbero davvero la libertà e una qualche garanzia di veridicità dell’informazione.

Tale è il paradosso dei sistemi democratici; e il filosofo danese lo ha visto con straordinaria acutezza e lungimiranza, come emerge da questo brano di Paola Pettinotti (da: «Kierkegaard. Vita, pensiero, opere scelte», collana «I grandi filosofi», Il Sole 24 Ore, 2006, vol. 21, pp. 61-62):

 

«La stampa, omologante e impersonale, porta i lettori ad avere pensieri ed emozioni impersonali. “Non ci sono più uomini che pensano, o amano ecc. La stampa avvolge il genere umano in una certa atmosfera d’idee, di sentimenti, di stati d’animo, anche di decisioni, di proposizioni che non sono di nessuno, appartenenti a tutti e a nessuno”.” Come in un perenne ventriloquio “che consiste, come si sa, nel parlar di modo che non si possa determinare chi è che parla; così, si sentono bene le parole, ma come non localizzate, come se non ci fosse nessuno a proferirle”; e la massa le ripete, deprivate di ogni spessore, fino ad arrivare alla distruzione di ogni possibile comunicazione autentica, venendo meno un “io” giudicante. “Nessuno osa più dire: io, ma poiché la prima condizione assoluta di ogni comunicazione di verità è la personalità, come può  la verità affermarsi in tutto questo ventriloquio?” I giornalisti si arrogano il diritto di pontificare su tutto  senza avere la preparazione tecnica e morale necessaria; per farsi capire semplificano all’estremo, ma quando la verità è ridotta in termini che tutti possono comprendere, è tradita per sempre”. In un mondo in cui le ferrovie stanno ormai tessendo una tela sempre più fitta fra le nazioni [oggi potremmo dire: gli aerei], in cui il telegrafo [oggi, televisione e telefono cellulare], inventato nel ’37, permette alle comunicazioni di trasmettersi quasi in tempo reale, e il dagherrotipo, nato nel ’39,  offre a tutti la possibilità di riprodursi e di far circolare le proprie sembianze [oggi, i cosiddetti “selfie”], in questo mondo Søren non vede, quasi profeticamente, un’apertura ma una chiusura. Certo, si può comunicare sempre meglio e più in fretta, ma cosa, se non c’è più un individuo dietro i “flatu vocis” che si levano? Condizionamento dei mass media, manipolazione, alienazione: termini  che già tristemente annunciano gli esiti del XX secolo.»

 

La grandezza di un filosofo si vede anche dalla sua capacità profetica: e quella di Kierkegaard, in questo campo – giudicata in prospettiva -, è stata sbalorditiva. Qualora non vi siano più l’individuo, la persona, il soggetto libero e cosciente, qualunque manipolazione diventa possibile: e l’assetto democratico della società non fornisce alcuna garanzia, alcun antidoto contro tale deriva, anzi, ne è la premessa e la migliore (o la peggiore, secondo i punti di vista) garanzia. Se esiste una possibilità di scongiurare gli scenari allucinanti delineati da W. G. Tarpley e da altri studiosi “complottisti”, essa non può risiedere che in un ritorno alla singolarità, all’unicità ed all’autenticità della persona…

 

 

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