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24/03/2017
Il Centro Mondiale Commerciale ed il Caso Pasolini
di Michele Metta
Bene, tirate le somme di quanto fin qui rivelato, possiamo senza dubbio ribadirlo: quel che questa mia inchiesta giornalistica sul Centro Mondiale Commerciale mette in chiaro, è un filo unico tra gli spari di Dallas e la stagione delle stragi iniziata con Piazza Fontana.
È – attenzione – l’identica asserzione che troviamo all’interno d’un’opera sulla quale già avevamo puntato il nostro sguardo: Petrolio di Pasolini. La s’incrocia in un paragrafo al termine d’un racconto, ambientato in Nepal, circa un incontro con un individuo morente e che della Strategia della Tensione conosce i segreti perché ne è stato propagatore diretto: qualcosa di cui, proprio perché alla fine dei propri giorni, vuole, in un’estrema confessione, sgravarsi. Ecco il paragrafo:
Il racconto del morente è in prima persona: lunga storia che comincia in America - omicidio di Kennedy - arrivo in Grecia - fascisti italiani ecc. Il morente racconta ciò che sa: ma anche ciò che è venuto a sapere da altri morenti (tre o quattro) i quali a loro volta, prima di morire, raccontano a lui ciò che sanno. Il morente del Nepal è dunque l’ultimo in ordine di tempo. Sospetto che non sia stato ammazzato dai buoni nepalesi. Comunque egli (metalinguisticamente) insiste a dire che due sono le fasi delle stragi, due, e il narratore lo ripete ai suoi ascoltatori: Due sono le fasi, due
Sunto schematico che, quando dice «lunga storia che comincia in America - omicidio di Kennedy - arrivo in Grecia - fascisti italiani ecc.», si potrebbe benissimo utilizzare come schema sinottico dell’inchiesta sul Centro MondialeCommerciale che si sta, tramite questi articoli, qui seguendo. Quella svelataci dalle carte del CMC unite agli altri documenti che via via ho impiegato – della CIA, delle Commissioni parlamentari, degli Atti giudiziari, eccetera – è, infatti, proprio una storia che si snoda a partire dal patto segreto anti-kennediano tra massoneria italiana e massoneria USA. Una storia che passa, pure, per quella dittatura militare installatasi in Grecia nel 1967 e che, qui in Italia, ha, guarda caso, il più robusto, fattivo punto di riferimento nel membro del CMC Giuseppe Pièche. Grecia nella quale Pièche giunge – «arrivo in Grecia» – in un famoso viaggio in cui porta con sé fascisti italiani che, poi, a partire da Mario Merlino, ritroviamo nella Strategia della Tensione.
Ulteriore conferma, in due ulteriori punti. Innanzitutto, nel penultimo paragrafo dello stralcio di Petrolio che stiamo prendendo in considerazione; laddove Pasolini scrive:
Ciò che egli mi raccontò è un breve periodo della recente storia italiana (esattamente sei anni).
L’assassinio di Kennedy si compie nel 1963; la strage di Piazza Fontana è del 1969: sei anni. Esattamente sei anni.
C’è, infine, una Nota lì apposta da Pier Paolo Pasolini. Nota con esplicito richiamo, citandone il cognome, al giudice che per primo istituisce un Processo per la strage meneghina: Gerardo D’Ambrosio.
Se tutto questo è già notevole in modo impressionante, in realtà c’è perfino assai di più: una persecuzione giudiziaria, sistematica e pluriennale, condotta contro il poeta direttamente da un avvocato il cui nome è Giorgio Zeppieri. Quel che, finora, s’ignorava, e che, di fatto, riscrive la storia di quell’omicidio di cui Pasolini sarà vittima nel 1975, è che anche Giorgio Zeppieri è un membro del Centro Mondiale Commerciale.
Successivamente distintosi, assieme al collega Rocco Mangia, come difensore dei mostri del Circeo che, nel 1975, stuprano e massacrano due ragazze uccidendone una, nonché, sempre come difensore di parte, per aver pesantemente offeso una ragazza altrettanto vittima d’uno stupro collettivo, Zeppieri, contro Pasolini, utilizza subdolamente un’accusa ridicola mossa da un benzinaio chiamato De Santis: Pasolini avrebbe rapinato tale benzinaio; con un’arma, però, mai trovata, e – testuale – perfino caricata con una pallottola d’oro. Da qui, Zeppieri riesce ad imbastire un iter processuale infinito, teso ad una vera e propria uccisione morale dell’artista – è Pier Paolo Pasolini stesso, a definirla tale – , ed il cui cardine è una truffaldina Perizia stesa dal criminologo neofascista e piduista Aldo Semerari. Se tale firma è quanto i pochissimi finora soffermatisi sui fatti hanno sempre accentuato, ricordando che è l’identico Semerari poi complice proprio del già ricordato avvocato Mangia nell’imbastire l’0bbrobrio del Giuseppe Pelosi esecutore unico dell’uccisione di Pasolini, è però, purtroppo, anche il particolare che li ha costantemente distratti da dettagli ancor più significativi. Dettagli posti nell’intestazione, dove si fa cenno ad un altro nome: Roberto Zamboni, qualificato come direttore scientifico sotto la cui egida la Perizia è stata emessa.
È solo questo, Zamboni? No. Grazie ad un documento sulla Strategia della Tensione steso dal magistrato Guido Salvini nel marzo del 1995, emerge ben altro. Leggiamo:
Il dr. Roberto Zamboni appartiene effettivamente all’ambiente massonico e ciò conferma la circolarità dei rapporti fra strutture occulte, ambienti eversivi di estrema destra ed organizzazioni storiche della criminalità organizzata come la ‘ndrangheta e testimonia il livello di protezioni di cui il “soldato politico” Franco Freda ha goduto per tentare di sottrarsi alla giustizia italiana.
Perché Salvini cita Freda? Perché questo terrorista, nel mentre è imputato a Catanzaro proprio per Piazza Fontana, è riuscito – 1978 – a fuggire, ed ha bisogno di proteggere la latitanza. Aiuto che giunge, come appena letto, tramite un’alleanza tra pezzi deviati dello Stato e la mafia calabrese.
Aggiunge, a sugello, Salvini: del coinvolgimento di Zamboni con Freda, hanno parlato ben due ex ’ndranghetisti. Sono Filippo Barreca e Giacomo Lauro; più volte dichiarati altamente attendibili dalla magistratura.
Sempre nell’intestazione della Perizia a firma Semerari, ci sono pure, però, un indirizzo ed un numero di telefono. Coordinate che sono stato in grado di rintracciare: all’epoca, erano d’un editore; di libri, ma anche, appunto, di riviste, e chiamato Giovanni Quattrucci. Ebbene, Quattrucci è, lui pure, un massone e, grazie, di nuovo, ad importanti carte processuali, è possibile vedere come pure i suoi trascorsi siano in linea totale con quanto stiamo qui argomentando; ad iniziare dalla Sentenza della V Corte d’Assise del luglio 1985, emessa contro Francesco Pazienza per il gravissimo reato, in concorso con Licio Gelli ed altri, di depistaggio delle indagini relative alla Strage di Bologna, e dove, giustamente, viene posto l’accento – eccoci qui al punto – su d’una Associazione italo-statunitense battezzata Great Italy. Il Tribunale specifica l’esistenza d’elementi tali da ritenerla finanziata dai nostri Servizi; in dettaglio, dal SISMI. Great Italy con a capo proprio il suddetto Quattrucci; Great Italy con, dentro, oltre allo stesso Pazienza, pure personaggi come Alfonso – alias Alphonse – Bove, il cui nome, oltre che per vicende d’intrecci per nulla limpidi tra il piduista Roberto Calvi ed il Vaticano, spunta, proprio assieme a quello di Pazienza, per via d’un sequestro politico celebre: quello brigatista di Ciro Cirillo. Great Italy servita, non di meno, a favorire l’arrivo alla presidenza degli Stati Uniti di Reagan; grazie ad uno scandalo appositamente montato dal Pazienza contro Billy Carter: il fratello, cioè, del Jimmy Carter predecessore di Reagan e candidato dei Democratici per la Casa Bianca.
Che le attività di Great Italy siano in grado di condurci a verità sugli infimi gorghi della più cinica politica mondiale, ben lo testimonia, del resto, una telefonata fatta con massima urgenza dal Pazienza al proprio segretario, pregandolo di provvedere immediatamente a distruggere qualunque materiale facente qualsivoglia riferimento all’Associazione, come rilevato dai lavori dalla Commissione Anselmi.
Ma, su Roberto Zamboni, Giacomo Lauro ritorna non di meno nel corso del Processo per Piazza della Loggia. Partendo con il dire d’aver potuto accedere ai peggiori segreti d’un piduista tra i più potenti: Francesco Cosentino. Cosentino – chiarisce Lauro – è uno dei pilastri della gestione deviata del rapimento d’Aldo Moro; di quell’agire corrotto, insomma, appositamente teso a che Moro non sia liberato al termine del suo sequestro per mano delle Brigate Rosse. Quelle stesse Brigate Rosse, cioè, nei Settanta infiltrate, come abbiamo visto, da Edgardo Sogno nel corso del suo intento eversivo retto da quei sedicenti Comitati di Resistenza democratica in cui milita il membro del CMC Bonfantini. Quello stesso Moro, cioè, sostenitore, nel 1963, della necessità di allargare la compagine di Governo al Partito Socialista. Idea di Moro totalmente appoggiata da Kennedy, ed invece con altrettanta intensità osteggiata proprio da Rocca ed Harvey, i quali reagiscono mettendo in piedi un piano che prevede l’intervento d’un politico che è ennesimo membro del CMC: Alfredo Crocco.
Ecco, allora, sempre di più apparire corretto l’identikit del Centro Mondiale Commerciale fornito al magistrato Calia dal teste Bellini: «il terminale in Italia del gruppo che si occupava degli interventi sporchi nella politica mondiale». Che sia Kennedy, Mattei, Moro, o Pasolini, fa lo stesso. Ragionamento a sostegno del quale ricordiamo che Pasolini, quando nel 1964 il piduista Giovanni De Lorenzo tenta un golpe, compare tra i nomi dei personaggi da arrestare e deportare in Sardegna.
L’inchiesta sul Centro Mondiale Commerciale conclude il proprio racconto degli aspetti finora nascosti dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini
C’è un libro che, nella ricerca della verità sulla strategia della tensione, sicuramente ha in sé, assieme, le qualità di capostipite e di pietra miliare. Il suo titolo è La strage di Stato, ed è scritto da ciò che, nel gergo degli anni Settanta, era un Collettivo: persone di Sinistra, cioè, che messi con slancio in comune singole capacità e saperi, se ne servono per la salvaguardia ed il miglioramento della vita democratica. Talmente fondamentale, quel Collettivo, da essere, in epoca assai più prossima alla nostra, convocato da Guido Salvini quando il magistrato inizia ad indagare sulle stragi.
Uno dei suoi componenti di punta è senz’altro Edgardo Pellegrini: un attivista e giornalista che, in un’edizione commemorativa, aggiunge a quel libro un’appendice dove scrive d’essere incappato proprio nel Clay Shaw membro del CMC-Permindex da cui questa mia serie di articoli è partita. Scrive, infatti, Pellegrini:
Di Clay Shaw venne fuori che finanziava la Permindex. E che la Permindex finanziava i neo-fascisti in Italia e in Sud Tirolo. Tempo prima, seguendo come cronista il delitto Wanninger (una aspirante modella uccisa a Roma) ero stato sbattuto fuori a calci e a spintoni da uno strano ufficio di uno strano produttore tedesco che film non ne produceva. E avevo ancora negli occhi l’intestazione della lettera che aveva davanti, sulla sua scrivania: Permindex, naturalmente. Dopo la strage di piazza Fontana, i giudici milanesi in una perquisizione nella casa di un supposto golpista trovarono una vecchia velina del generale Allavena, capo dei servizi segreti, in cui si raccomandava di non scavare troppo a fondo nel caso Wanninger ... “Permindex, hai detto?”, mi chiese, una sera, Eduardo Di Giovanni. “Permindex, sissignore”. L’avvocato, che in pratica conoscevo da sempre, come Marco Ligini, aveva avuto, quasi per caso, un nome: Michele Sindona. E non so come avesse saputo di un collegamento italiano di Sindona: la Permindex.
Quel ch’è indispensabile aggiungere, prima di proseguire su John Kennedy, è che il Collettivo di Pellegrini contribuisce poi anche alla realizzazione, nel 1972, d’un’altra opera: filmica; e a firma di Pier Paolo Pasolini. È chiamata come il giorno della strage di Milano: 12 dicembre. Impiegati in tale impresa su celluloide furono i vertici stessi del Collettivo, a partire dal suo rappresentante più importante: il poco fa menzionato Eduardo Di Giovanni. La conferma mi è giunta personalmente proprio da ex integranti di rilievo di tale Collettivo, i quali hanno pure specificato che il grado d’intesa con l’intellettuale era tale da indurlo ripetutamente a doni in denaro già fin dalla stesura de La strage di Stato; cifre per coprire le necessità logistiche legate al reperimento delle notizie poi poste all’interno del volume. Addirittura, una volta conclusasi la fase preparatoria, Pier Paolo Pasolini aveva compiuto una donazione finale ulteriore, consistita in un assegno per le spese di messa in stampa, e che, oggi, equivarrebbe a parecchie decine di migliaia d’Euro. Assegno, ancor più in particolare, assai ben conosciuto da Giorgio Bandiera. Si tratta del Giorgio Bandiera che, oltre ad essere occultamente membro del Collettivo, è, dapprima, attore di prosa per la RAI e, poi, doppiatore: sua, ad esempio, la voce italiana del Dennis Weaver protagonista del cult di Spielberg Duel. Due volti – il segreto e il pubblico – fusi a perfezione quando il Bandiera presta, come voce narrante, le sue eccellenti corde vocali all’esempio più incisivo d’impegno sociale del regista e cantautore Paolo Pietrangeli: Bianco e nero, documentario icona del giustamente definito Cinema militante, ed il cui tema è proprio la Strategia della Tensione.
Tornando a 12 dicembre, a dimostrare che sia uno dei perni più riposti e importanti per comprendere vita e morte di Pasolini c’è un incontrovertibile dato: che si trattasse d’opera sua, è stato ignoto fino al recentissimo ritrovamento d’una registrazione audio. Registrazione dove, nel corso d’un incontro in casa propria con alcuni studenti, è lo stesso PPP a spiegare, lanciatosi in confidenze, il come ed il perché di quest’occultamento.
Afferma l’intellettuale: Stilisticamente, assomiglia molto a Comizi d’amore.
C’ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste, ma non ho messo la regia, perché gli avvocati che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero messo in prigione. E allora, abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me. Io ho girato circa un sessanta per cento, ma l’ho montato tutto io.
Elementi che, messi assieme, sfociano inevitabilmente in una domanda: è mai possibile che nessuno del Collettivo abbia mai parlato al poeta del CMC-Permindex, la preda più ghiotta in cui erano incappati? Davvero difficile crederlo. Ancor più difficile, alla luce d’un paio di specifici tasselli da Pellegrini dati nel corso d’un dibattito del 1995. Infatti, a quesito postogli sulla genesi del volume La strage di Stato, così, dopo articolato discorso, conclude:
[C’è poi un] ultimo elemento: un punto di riferimento per come muoverci nella controinformazione, lo abbiamo importato; nel senso che, sulla morte, sull’assassinio di John Kennedy – altro assassinio di Stato mica male – […] si erano mossi due personaggi eccezionali. Uno, probabilmente, tutti quelli che hanno visto [il film] JFK sanno chi è: il procuratore della Louisiana Jim Garrison, su cui è incentrato il film; l’altro, invece, era un avvocato, che si era autonominato avvocato alla memoria di Lee Harvey Oswald. Si chiamava Mark Lane, e scrisse un libro stupendo che si chiamava L’America ricorre in appello. Jim Garrison e Mark Lane fecero le due più grandi controinchieste, credo, di questo secolo, su un delitto di Stato. Cioè: le controinchieste fatte dal Procuratore della Louisiana e da questo avvocato erano assolutamente una cosa spettacolosa, e in un gruppo di giornalisti democratici e di Sinistra [quale eravamo noi che contribuimmo alla stesura del libro La strage di Stato], eravamo costantemente in contatto con loro, con i loro gruppi, e studiavamo proprio come tecniche giornalistiche le loro tecniche investigative che erano tecniche alternative a quelle del potere. Queste tecniche d’investigazione giornalistica sono state importate pienamente dal gruppo che poi ha fatto La strage di Stato. Queste sono le varie componenti che stavano dietro a noi.
Pellegrini sta dunque dicendo che il gruppo di lavoro dal quale nasce il libro – gruppo di lavoro che, ripeto, determinantemente poi contribuisce al 12 dicembre film di Pasolini incentrato sul medesimo tema – era in contatto costante con l’accusatore del membro del CMC Clay Shaw: Jim Garrison.
Andiamo, ora, alla seconda delle dichiarazioni di Pellegrini sulla genesi del libro. Questa:
[È importante raccontare] perché fu possibile [...] avere l’idea, e i mezzi, e la voglia, di fare quest’inchiesta: [...] bisogna andare agli inizi degli anni Sessanta, e visualizzare [...] una casa in via dei Coronari: è la casa dove abita il – dove viveva – il burattinaio Otello Sarzi. Sì: il più grande burattinaio d’Italia, ma anche quello che ha cominciato la Guerra partigiana con i fratelli Cervi nel reggiano; ma anche il commissario politico di [Vincenzo] Moscatelli. E a casa di Otello era un grande via e vieni d’intellettuali e di partigiani. Qualche volta c’è venuto Pasolini; venne, e conobbe lì Mangiafuoco, Fellini, per cui, poi, è sul Mangiafuoco romano vero che viene creata la figura di Zampanò. Era una casa in cui c’era soprattutto un gran via e vieni di partigiani. [...]. E questo tipo di generazione partigiana era molto importante per molti di noi che frequentavamo casa Sarzi – io ci ho anche abitato per quasi un anno – ; è stata praticamente la prima grande Comune degli anni Sessanta.
Fermiamoci. Pasolini frequentava una casa assiduamente frequentata da Pellegrini: la casa d’Otello Sarzi. Il Sarzi partigiano e celeberrimo costruttore di burattini. Burattini da Otello Sarzi utilizzati per opere d’impegno civile le cui sceneggiature erano scritte da Marco Ligini: componente di vertice del Collettivo, tanto da essere l’estensore materiale del libro La strage di Stato.
In ultimo, è assai importante esaminare il dove ed il quando delle dichiarazioni di Edgardo Pellegrini riportate. Il dove è la Casa delle Culture di Roma: lo stesso luogo, cioè, che ha ospitato la Camera ardente di Pasolini all’indomani del suo omicidio. Il quando, è proprio al termine della proiezione, in occasione del ventennale della morte del poeta, della pellicola 12 dicembre pasoliniana. In una cornice siffatta, il senso di quanto Pellegrini pronuncia è persino ancor più largamente lampante. Sembra proprio d’udirlo, insomma, tra le righe, dirci d’aver sposato l’identico escamotage confidato da Pier Paolo Pasolini nella propria conversazione con il gruppo di studenti venuti a trovarlo nella propria abitazione: una formula perché chi voleva capire capisse.