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Venerdì, 13 Febbraio 2015

 

Qatar, Libia, Marocco, Algeria: nel mondo arabo comandano i lobbisti americani?

di Davide Vannucci

 

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Si parla arabo a K Street, la strada dei lobbisti di Washington. Libia, Qatar, Marocco, Algeria, persino la Palestina: la regione è in subbuglio, così la consulenza delle grandi società americane diventa uno strumento essenziale per fare pressione su Congresso e Casa Bianca, a favore dei propri interessi.

Il sito al Monitor ha avuto modo di accedere a questi contratti. L’Autorità palestinese, ad esempio, ha ingaggiato la Squire Patton Boggs, con un accordo da 55.00 dollari mensili, per vedere garantiti i 400 milioni di dollari di aiuti che gli Stati Uniti versano ogni anno a Ramallah. Dopo la decisione di Abu Mazen di aderire alla Corte Penale Internazionale, infatti, molti parlamentari americani hanno minacciato un’inversione di tendenza. Allo stesso tempo, la Palestina vuole che Obama convinca Israele a scongelare i trasferimenti fiscali verso il suo governo, bloccati proprio dopo l’adesione alla Cpi (Gerusalemme raccoglie alcune tasse per conto di Ramallah). Lo scopo delle consulenze non è solo quello di ottenere denaro. La missione palestinese presso le Nazioni Unite, infatti, ha assunto la New York’s Independent Diplomat per un aiuto strategico nell’ambito della campagna indipendentista promossa a Palazzo di Vetro.

Anche il Qatar, che non ha certo problemi di risorse – è lo Stato con il Pil pro capite più alto del mondo – si è rivolto ai lobbisti americani a fini politici. Sotto accusa per il sostegno ai movimenti islamisti – in Libia, in Egitto, a Gaza – isolato dalle altre monarchie sunnite, Doha ha stipulato due contratti, uno con la Mercury Public Affairs, l’altro con la società di comunicazione Levick Strategic Communication, per convincere gli Stati Uniti della bontà delle proprie azioni. L’intesa con la Mercury, 155.000 dollari al mese, prevede che vengano contattati membri della Camera e del Senato allo scopo di rafforzare i rapporti bilaterali trai due Paesi, anche in ambito commerciale.

La Libia attualmente ha due governi e due Parlamenti: il primo, più legittimato sul piano internazionale, ha sede a Tobruk, al confine con l’Egitto, è guidato da Abdullah al Thinni ed è legato alla House of Representatives eletta a giugno 2014; l’altro, diretto da Omar al Hassi e vincolato al precedente Congresso, ha sede a Tripoli, riconquistata la scorsa estate da una coalizione di milizie, prevalentemente filoislamiche. Il governo di Tobruk vuole portare definitivamente gli Stati Uniti dalla propria parte e, in particolare, vuole accedere agli asset milionari della Libia gheddafiana, ancora congelati all’estero. Allo scopo, attraverso la Washington African Consulting Group, ha stipulato un contratto di 55.000 dollari al mese con la Ben Barnes Group, guidata da un ex politico texano. Qualche settimana fa, Aref Ali Nayed ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti – uno dei protettori di Tobruk – è volato a Washington per convincere gli americani, con la  mediazione della società di consulenza Sanitas International, ad intervenire in Nordafrica contro gli islamisti.

Gli stessi Emirati hanno speso ogni anno cifre superiori ai 5 milioni di dollari – 5,6 milioni nel 2013 – destinati all’Harbour Group e alla società Akin Gump Strauss Hauer&Feld, per sostenere le proprie politiche presso l’amministrazione Obama. In alcuni casi non si è raggiunto lo scopo – Abu Dhabi voleva che Washington intervenisse in Siria contro Assad, ma gli Stati Uniti hanno desistito, malgrado la red line delle armi chimiche varcata dal regime  - altre volte sì, soprattutto nell’ambito della Difesa (gli Emirati hanno concluso vari affari con il Pentagono, tra cui la fornitura di una ventina di caccia F-16).

Altri esempi. Negli ultimi anni il Marocco ha investito in media 3,4 milioni di dollari per influenzare Congresso e Casa Bianca riguardo alla questione del Sahara occidentale, regione occupata da Rabat, che reclama l’indipendenza. Ai lobbisti ingaggiati da Mohammed VI (tra cui la Gray Global Advisers, Nurnberger&Associates e la Gabriel Company) è stato affidato anche un altro compito, quello di rafforzare i rapporti commerciali tra i due Paesi (il Marocco è l’unico Paese africano ad avere siglato un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti).

La Giordania ha firmato contratti di consulenza con la White & Case, la Vivien Ravdin e la DLA Piper – in totale un milione di dollari all’anno – soprattutto per mantenere intatto il programma di aiuti statunitensi (660 milioni di dollari), anche se in un caso – la causa multimiliardaria contro l’Arab Bank, accusata di sostenere i terroristi di Hamas, un’azione promossa dalle famiglie delle vittime americane della Seconda Intifada – i lobbisti hanno fallito lo scopo. Persino il Bahrein, che ospita la Quinta Flotta degli Stati Uniti, ha assunto la Qorvis e la Sorini Samet&Associates (poco più di un milione di dollari annui) per vedere confermata la propria centralità militare e per accantonare qualsiasi ipotesi di regime change.

L’Algeria, che ha ingaggiato la società di consulenza Foley Hoag, 35.000 dollari al mese, non è un alleato di vecchia data di Washington. Ma il progressivo coinvolgimento del Paese nella lotta al terrorismo, soprattutto dopo l’attentato all’impianto gas di In Amenas nel gennaio 2013, ha avvicinato i due fronti, al tal punto che Algeri ha siglato un contratto per l’acquisto di sistemi radar di difesa, rompendo il tradizionale cordone ombelicale con la Russia.

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