https://www.lacittafutura.it/ http://www.sinistrainrete.info/ 28 Ottobre 2016
Brzezinski e la futurologia Le profezie autorealizzantesi di Z. Brzezinski di Alessandra Ciattini
L’anziano ex consigliere alla sicurezza di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, è sempre sulla cresta dell’onda e continua ad elaborare analisi politiche, che da un lato riflettono le intenzioni dei vertici statunitensi, dall’altro indicano i percorsi da seguire per difendere il ruolo egemonico della superpotenza. In particolare, in un articolo di qualche mese fa, egli riconosce che il dominio globale degli Stati Uniti è in crisi a causa del riemergere della Russia quale attore politico nella scena mondiale e dell’espansione economica e commerciale della Cina. A suo parere, pertanto, bisogna prendere misure adeguate a contrastare tale declino e a impedire un avvicinamento dell’Europa alle potenze emergenti (leggi). Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America in the Technetronic Age(leggi), nel quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno, anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato. Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea, in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3). In tale situazione, gravida di conseguenze assai variegate, “il futuro non è unico e rettilineo, ma cela in sé molteplici possibilità, sostentate però da un grado diverso di possibilità”. Secondo lo studioso sovietico ciò rende sempre più necessaria la capacità di sviluppo della previsione sociale, la cui funzione non sarebbe tanto quello di “predire un futuro già pronto, quanto [quello di] influire sulla coscienza e il comportamento degli uomini del presente al fine di sollecitarli ad un’attività determinata e quindi [a] realizzare una delle possibili varianti del futuro” (op. cit. 1977: 4-5). Potremmo definire queste previsioni “profezie autorealizzantesi”. Ed è proprio quello che Brzezinski fa con il suo articolo del 1968, pubblicato sulla nota rivista Encounter, con il quale si inserisce pienamente nella cosiddetta futurologia, che esplose negli anni ’60 del Novecento e che dette vita a due correnti diverse, una di segno ottimistico e l’altra catastrofistica. La prima vede nella tecnologia e nelle scienze applicate la possibilità di trovare la soluzione a tutti i problemi più gravi che affliggono l’umanità, la seconda invece vede negativamente questi stessi strumenti, il cui impiego irrazionale e dissennato produrrebbe problemi quali l’inquinamento, la crisi ecologica, i processi di disumanizzazione e di impoverimento materiale e spirituale imposti agli individui che vivono nel mondo contemporaneo. Tali correnti, la seconda vicina in ambito filosofico ai critici della modernità, non fanno una distinzione importante che è quanto mai opportuno tenere a mente: la scoperta scientifica in sé e l’uso politico-economico che di essa viene fatto e che ovviamente è deciso da chi governa l’ordine mondiale. Senza tale distinzione finiscono con l’imputare alla tecnologia e alle innovazioni il ruolo di unico elemento propulsore del cambiamento economico-sociale, in un’ottica riduzionista, che offusca la parte giocata dall’insieme delle relazioni sociali in questa direzione. Ma quali sono, secondo Brzezinski, i caratteri della società postindustriale, così definita da Daniel Bell nel 1967 e che si sarebbe affermata a partire dal 2000? Indicherò a mio parere quelli più significativi, sottolineando che, il discorso dell’antico consigliere oscilla sempre tra l’effettiva analisi delle trasformazioni e la prefigurazione dell’indirizzo che a queste occorre dare. Egli comincia con l’affermare che l’America (ovviamente gli Stati Uniti) stanno diventando negli anni ’60 una società tecnetronica, che è plasmata culturalmente, psicologicamente, socialmente ed economicamente dall’impatto della tecnologia e dell’elettronica (computer e comunicazioni).Tale cambiamento provoca un’ulteriore divisione tra i diversi paesi del mondo, sempre più differenziati, ed impone agli americani [2] l’obbligo di alleviare le sofferenze del confronto da ciò suscitato (1968: 16). A suo parere, per questo suo mutamento l’America rappresenta un caso speciale e unico, perché sarebbe la prima società a sperimentare il futuro, soprattutto grazie alla sua “creatività”, dalla quale scaturiscono innovazioni tecnologiche ma anche tendenze culturali, costumi, valori nuovi, che gli altri paesi consciamente o inconsciamente imitano. Tali processi danno vita alla cosiddetta “americanizzazione” (1968: 23) che tende a rendere omogeneo il mondo attuale, incrementando inevitabilmente il ruolo egemonico statunitense, che rappresenta per molti, gente comune e analisti politici, la società ideale fondata sulla “democrazia più grande del pianeta”.Occorre osservare che, nel delineare i tratti della società statunitense nell’era tecnetronica, Brzezinski individua anche problemi e criticità a cui bisogna trovare una soluzione, ma sempre avendo in mente la finalità di rafforzare il predominio statunitense. In seguito alla rivoluzione tecnologica-scientifica, egli segnala che il comportamento umano diventerà meno spontaneo e meno misterioso, in quanto sarà predeterminato e sottoposto ad una programmazione deliberata. Per esempio, l’uomo sarà in grado di determinare il sesso dei suoi figli, di modificare e controllare la propria personalità, di potenziare con l’uso di droghe le sue capacità intellettive, in ciò con l’aiuto anche dell’uso del computer. La vita umana nel XXI secolo potrebbe raggiungere i 120 anni. La possibilità di un più ampio controllo chimico della mente, la messa a rischio dell’individualità provocata dalla tecnica dei trapianti, la manipolazione genetica pongono una serie di problemi: fino a che punto queste procedure possono giungere e in quale misura debbono essere limitate? Brzezinski aggiunge che gli scienziati prevedono che alla fine del secolo (il Novecento) i computer, affiancati nei laboratori dai robot, ragioneranno come gli esseri umani e saranno anche in grado di elaborare un pensiero creativo. Innovazione che dovrà essere accompagnata da un articolato e ampio dibattito sulla natura dell’uomo. D’altra parte, la rivoluzione informatica comporta anche un formidabile immagazzinamento di informazioni, il loro reperimento automatico e la loro utilizzabilità, aspetti dai quali non può non scaturire lo sviluppo di “una totale sorveglianza politica” sui cittadini, del tutto non rispettosa della loro vita privata [4]. Questi significativi cambiamenti saranno accompagnati dallo sviluppo della cibernetica e dell’automatizzazione, in seguito al quale l’ozio diverrà la pratica comune e il vero e proprio lavoro un privilegio riservato agli individui più dotati di talento. Cambierà il senso stesso della vita sociale, non più orientata alla realizzazione di una qualche obiettivo, ma focalizzata sul divertimento e sullo spettacolo (sport di massa, televisione), il quale fornirà un oppiaceo alle masse ormai prive di scopo (1968: 17) [3]. Possiamo convenire con Brzezinski che queste previsioni si sono realizzate, anche se è possibile darne un’altra lettura dal punto di vista di chi è oggetto pressoché inerme di questi mutamenti. In primo luogo, sicuramente le forme di controllo si sono fatte più sottili e più capillari ed hanno relegato a nicchie assai isolate e poco incisive i dissensi che pure esistono, tanto che un regime di tipo fascista o nazista tradizionale è oggi non è probabilmente necessario nel mondo occidentale a garantire la stabilità e la riproduzione dell’assetto attuale. In secondo luogo, il lavoro – nel senso pieno e gratificante - è sicuramente diventato un privilegio, ma non nel senso che le grandi masse si sollazzino nell’ozio, sia pure distratte e fuorviate dagli oppiacei massmediatici; esse sono sprofondate nel lavoro dequalificato e informale, privo di qualsiasi tutela e diritto. Ma c’è un altro aspetto del discorso di Brzezisnki che vale pena sottolineare: il riferimento ai più dotati di talento, i quali poi – nelle pagine successive del suo saggio – diventano i protagonisti di quella che egli chiama la “democrazia meritocratica” e che rappresenta il sistema politico ideale del futuro (1968: 23). Questo innovato sistema politico coniugherebbe il rispetto della volontà popolare con il crescente ruolo assunto da individui dotati di speciali competenze intellettuali e scientifiche nei processi politici decisionali. Brzezinski prevede anche che i più poveri ed emarginati potranno nel futuro essere reclutati e inseriti in tali ruoli preminenti (1968: Ibidem). A questo punto è opportuno riflettere sulla nozione di “merito”, centrale nel linguaggio politico attuale e dotata di uno straordinario potere mistificatorio. Ovviamente il merito non corrisponde ad una qualità oggettiva e misurabile, ma scaturisce da un processo di valutazione che è sempre soggettivo e prodotto dell’attività dei cosiddetti valutari, quali a loro volta, per assurgere a tale ruolo, debbono essere valutati. Quindi, come si arriva a stabilire il merito di qualcuno in un certo campo? Qui l’esempio universitario potrebbe essere dirimente. Esso è sempre un processo di cooptazione determinato da una certa élite, che si è data i suoi valutatori scelti secondo i criteri che le sono propri, i quali poi grosso modo corrispondono all’affinità ideologica tra valutati e valutatori. Infatti, l’élite è l’espressione di un sistema di governo oligarchico, il cui fine è il mantenimento e la riproduzione di una forma di potere gerarchica ed escludente. Quindi, in questo senso, gli Stati Uniti stavano diventando negli anni ’60 del Novecento un sistema politico sempre più oligarchico, nel quale le élites, sono rappresentate da una serie di individui che si muovono tra i vertici delle grandi corporazioni, le grandi banche, i ruoli istituzionali più importanti; sistema che giustifica tale preminenza con l’attribuzione a questi ultimi di una maggiore competenza e di un maggiore talento. Che questo meccanismo elitistico e cooptativo valga a livello internazionale può essere facilmente dimostrato pensando dall’attribuzione dei premi Nobel per la pace. Pensiamo, per esempio, al guerrafondaio Obama o a Juan Manuel Santos, presidente della Colombia, che ha governato con Alvaro Uribe Vélez, partecipando alle politiche genocide contro il popolo colombiano (leggi). Quanto, invece, al confronto, tra la società industriale, che ci stiamo lasciando alle spalle, e quella tecnetronica, nella prima le masse erano organizzate in partiti e sindacati e rese coese da programmi semplici e ideologici, ispirati anche al nazionalismo; nella seconda, invece, ossia nella società tecnetronica, questi si sfaldano e milioni di cittadini, ormai non più coordinati, si riuniscono grazie al legame che stabiliscono con personalità magnetiche e attraenti, che utilizzano efficacemente le più moderne tecniche di comunicazione, per solleticare l’emozione e addormentare la ragione (1968: 19) [5]. Questo sfaldamento delle grandi organizzazioni di massa, centrali nella società industriale, ha fatto sì che le ideologie onnicomprensive, come il marxismo, non trovino più il terreno fertile dove attecchire e diffondersi, provocando uno slittamento dall’“utopismo idealistico”, assai critico del presente e prefigurante un futuro assai diverso (1968: 20), verso una politica pragmatica volta a risolvere problemi sempre più circoscritti dominati da personalità competenti (1968: 18-19), i cosiddetti tecnocrati. In tale nuovo contesto – come d’altra parte ben sappiamo – anche lo Stato viene rimesso in discussione e tale fenomeno è sicuramente collegato all’emergere e al consolidarsi delle grandi corporazioni internazionali di origine statunitense, ma rafforzatesi grazie all’apporto di capitali di altri Paesi, le quali, in quanto gruppi di potere economico, hanno la capacità di determinare la politica degli Stati o addirittura, dove opportuno, la loro destabilizzazione o il loro stesso dissolvimento. Tal considerazione non viene fatta da Brzezinski, il quale però segnala il processo di indebolimento dello Stato, la cui esistenza ritiene tuttavia utile salvaguardare almeno a livello simbolico (1968: 26), e vede nelle corporazioni lo strumento della diffusione a livello planetario del “trasferimento delle abilità, delle tecniche di gestione, delle procedure di marketing e delle innovazioni scientifico-tecnologiche” (1968: 26). Ossia, lo strumento dell’”americanizzazione” del mondo, fondata sull’attribuzione di una funzione meramente pragmatica alla riflessione scientifica, la quale ribadisce la validità dello status quo, che tutt’al più può essere in qualche misura emendato. E inevitabilmente oscura la dimensione etico-politica inerente al pensiero scientifico, il quale per sua natura è un pensiero critico di ampio respiro che si muove, sia dai suoi primordi, nella prospettiva della creazione di un mondo migliore e più umano per tutti. Apparato essenziale del processo di “americanizzazione” sarà costituito dalle università, che hanno subito in questi decenni riforme proprio in questa prospettiva, le quali garantiranno la formazione in tutti i paesi degli individui, che saranno cooptati nella classe dirigente universale e saranno strumento della diffusione della lingua, della cultura, della concezione della scienza “americane”. Brzezinski profila la possibilità che gli studenti della Columbia University e quelli dell’Università di Teheran possano un giorno ascoltare nello stesso momento la lezione di uno stesso docente, senza specificare se americano o persiano (1968: 26). Tuttavia, tale auspicato processo di “americanizzazione” trova nel suo dipanarsi ostacoli importanti dovuti in particolare all’ampliamento della distanza tra Paesi che si trovano a vivere contemporaneamente in diverse fasi storiche, ossia quelli che appartengono al mondo sviluppato e quelli che ne sono esclusi. Inoltre, non è più immaginabile che nuove ideologie del cambiamento, come il marxismo nelle sue varie forme, si diffondano dal centro verso le periferie, alimentando speranze di miglioramento e di cambiamento. A parere di Brzezisnki ciò produrrà il rifiuto del mondo sviluppato; rigetto che costituirà la base dell’odio razziale (sic!), sfruttato da capi romantici e xenofobi, contenuto per esempio negli scritti di Franz Fanon (1968: 24). Naturalmente non possiamo negare che tale rifiuto, coincidente con l’opposizione al predominio occidentale, è consistente nelle masse popolari extraoccidentali, che non hanno beneficiato come quelle occidentali, della spoliazione imperialistica, essendone unicamente le vittime; tuttavia, non può nemmeno essere negato che il riemergere degli etnicismi e dei fondamentalismi religiosi, dotati di una carica di resistenza ma anche di elementi antiprogressisti, siano stati gestiti e orientati dalle stesse potenze occidentali per far abortire i cambiamenti politico-economici a loro svantaggiosi; con tale dissennata politica hanno innescato, come nel caso del cosiddetto Daesh, un groviglio di contraddizioni da cui è assai difficile venir fuori e che ci fanno avvicinare sempre più a un conflitto generale. D’altra parte, l’emergenza di altre potenze a livello internazionale, dopo il dissolvimento dell’URSS, rimette seriamente in discussione il programma di “americanizzazione”, presentato come la mera estensione delle acquisizioni conoscitive e delle innovazioni tecnologiche, anche se ad esso sembrano essere sempre testardamente aggrappate le élites statunitensi.
Note 1. Il quale scrive che, alla fine del Novecento, il mondo si trova in un’epoca di trasformazione più drammatica per le conseguenze storiche e umane che avrà di quelle provocate sia dalla Rivoluzione Francese che da quella bolscevica (1968: 16). 2. Uso sempre il linguaggio dell’autore che ovviamente identifica una parte del continente americano con il tutto. 3. Nel 1967 era uscito il celebre libro di Guy Debord, La società dello spettacolo. 4. A questo proposito possiamo menzionare il programma di spionaggio Echelon, istituito di concerto da Stati Uniti e Gran Bretagna e attivo dal 1966, che controlla almeno il 90% delle comunicazioni in tutto il mondo (http://www.telesurtv.net/news/Snowden-confirma-existencia-de-red-de-espionaje-Echelon-20150804-0002.html). 5. Certo non possiamo negare che personalità come il Papa o Donald Trump possano esercitare questo ruolo, ma dobbiamo anche osservare il costante incremento dei non coinvolti, dei rassegnati, i quali costituiscono quelle masse senza scopo di cui parla Brzezinski. |
top |