Fonte: www.informationclearinghouse.info

Lunedì, 09 novembre 2015

 

La Cia e i media: 50 eventi storici che il mondo deve conoscere

di James Tracy

Traduzione di Valentino Facello

 

L’Agenzia Centrale d’Intelligence (CIA ndr) è stata, sin dalla fine della seconda guerra mondiale, una delle forze principali nei media statunitensi ed esteri, esercitando regolarmente una considerevole influenza su ciò che il pubblico vede, ascolta e scrive. I giornalisti e pubblicisti della CIA diranno tutti allo stesso modo di aver avuto con essa poche – se non nessuna – relazione; eppure la storia quasi sconosciuta della loro stretta collaborazione ci mostra, in verità, una versione diversa, che gli storici dei media sono restii ad esaminare.

 

La professione giornalistica, dove praticata seriamente, consiste nel raccogliere informazioni su individui, luoghi, eventi e problemi. Tali informazioni dovrebbero, in teoria, informare la gente sul suo mondo, così da rafforzare la “democrazia”. Questa è l’esatta ragione per cui giornali e singoli giornalisti vengono sfruttati come risorse dalle agenzie di intelligence, e questa pratica, come ci suggerisce l’esperienza tedesca del giornalista Udo Ukflotte, è oggi diffusa tanto quanto lo era ai tempi della guerra fredda.

Consideriamo gli “insabbiamenti” delle frodi elettorali del 2000 e del 2004, gli eventi dell’ 11 settembre 2001, le invasioni di Iraq e dell’Afghanistan, la destabilizzazione della Siria e la creazione dell’Isis. Questi sono tra gli eventi più significativi della recente storia mondiale, e appartengono a quelli dei quali il pubblico americano è completamente all’oscuro. In un’era nella quale l’informazione e le sue tecnologie sono ovunque, alimentando in molti l’illusione di essere bene informati, uno dovrebbe chiedersi perché persista una condizione simile.

Perché, inoltre, importanti giornalisti Usa hanno evitato di interrogarsi su altri eventi oscuri che hanno fatto la tragica storia degli Usa nell’ultimo mezzo secolo, come gli assassini politici degli anni 60, e il ruolo importante svolto dalla Cia nel traffico di droga internazionale?

Diversi opinionisti, accademici e non, hanno suggerito diverse ragioni per il fallimento quasi totale del giornalismo mainstream in questi ambiti, tra cui la sociologia delle redazioni, le pressioni pubblicitarie, la concentrazione proprietaria, il forte affidamento della stampa sulle fonti “ufficiali” e la mera ricerca di avanzamenti di carriera da parte dei giornalisti. Vi è inoltre, senza dubbio, l’influenza di spin-doctor, professionisti delle pubbliche relazioni. Tuttavia una congiura del silenzio così ampia fa intravedere un’altra area di inganno esaminata fin troppo di rado: nello specifico, il coinvolgimento costante della CIA e di altre agenzie di intelligence nei media, al fine di formare il pensiero e l’opinione in modi che un pubblico inesperto stenta ad immaginare.

I seguenti eventi storici e contemporanei – ben lungi dall’essere esaustivi – ci offrono una panoramica su come simili entità abbiano il potere di influenzare, se non determinare, la memoria collettiva, e su che rispettabili istituzioni riteniamo essere gli archivi storici.

L’operazione MOCKINGBIRD della CIA è da tempo ritenuta la chiave di volta dai ricercatori che indagano sugli evidenti interessi dell’Agenzia nelle relazioni coi principali media Usa. MOCKINGBIRD ha avuto origine dal predecessore della CIA, l’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS, 1942-47), che durante la seconda guerra mondiale ha creato un network di giornalisti ed esperti di guerra psicologica che operavano principalmente sul teatro europeo.

Molte delle relazioni strette sotto l’egida dell’OSS proseguirono nel periodo postbellico attraverso un’organizzazione del Dipartimento di Stato chiamata Ufficio di Coordinamento di Polizia (OPC), supervisionato dal membro dell’OSS Frank Wisner.

L’OPC “divenne l’unità che si sviluppò più in fretta all’interno della nascente CIA” osserva la storica Lisa Pease, “ incrementando il personale da 302 membri nel 1949 ai 2812 del 1952, assieme ai 3142 collaboratori arruolati oltreoceano. Nello stesso periodo il budget crebbe da 4,7 milioni di dollari a 82 milioni.” Lisa Pease, “I media e l’omicidio”, da Gli omicidi : rassegna di indagini su JFK, MLK,RFK e Malcolm X, di James Di Eugenio e Lisa Pease, Port Townsend, WA, 2003, 300.

Il successivo Direttore dell’Intelligence Centrale (DCI), Richard Helms, come molti agenti della Cia, è stato reclutato nelle agenzie di stampa dal suo stesso superiore, presso l’ufficio Internazionale di Berlino della United Press, al fine di farlo entrare nel recente programma “black propaganda” dell’OSS. “Tu sei uno naturale” sottolineò il capo di Helm. Richard Helm, Uno sguardo oltre la mia spalla: Una vita nella CIA, New York: Random House, 2003, 30-31.

Wisner attingeva ai fondi del Piano Marshall per finanziare le prime imprese della propria squadra, soldi ai quali nel suo ufficio ci si riferiva come “caramelle”. “Non ce la faremmo a spendere tutto” replica l’agente CIA Gilbert Greenwall. “Mi ricordo una volta di un meeting con Wisner e il direttore. Mio Dio, dissi, come li possiamo spendere? Non c’erano limiti, e nessuno doveva rendicontare per il denaro. Era sorprendente”. Frances Stonor Saunders, La guerra fredda culturale: la CIA e il mondo dell’arte e della letteratura, New York : The new Press, 2000, 105.

Quando nel 1948 l’OPC si fuse con l’Ufficio delle Operazioni Speciali per formare la CIA, anche le proprietà dei media dell’OPC vennero allo stesso modo assorbite.

Wisner ha tenuto in piedi il programma top secret “Propaganda asset Inventory”, meglio noto come “Il jukebox di Wisner”, uno schedario virtuale con più di 800 organizzazioni della stampa e di news, pronte a suonare qualunque cosa Wisner avesse scelto. “ Il network includeva giornalisti, opinionisti, case editrici, editori, organizzazioni intere come Radio Free Europe e corrispondenti di svariate agenzie di news”. Pease, I media e l’assassinio, 300.

Pochi anni dopo l’entrata in funzione della sua operazione, Wisner “fece propri” diversi illustri membri del New York Times, Newsweek, CBS ed altri mezzi di comunicazione, oltre a 400-600 corrispondenti in tutto, secondo un analista della CIA. “Ognuno di essi era un’operazione a sé”, afferma la giornalista investigativa Deborah Davis, “che richiedeva un nome in codice, un supervisore sul campo e un ufficio distaccato, per un costo annuale di decine o centinaia di migliaia di dollari: non c’è mai stata una rendicontazione accurata”. Deborah Davis, Caterina la Grande, Katharine Graham e il Washington Post, Seconda edizione, Bethesda MD: National Press Inc, 1987, 139.

Operazioni psicologiche sotto forma di giornalismo erano ritenute necessarie per orientare e dirigere l’opinione delle masse, come le prospettive delle elite. “Il presidente degli Stati Uniti, il Segretario di Stato, membri del congresso e lo stesso direttore della CIA leggeranno, crederanno e saranno influenzati da un pezzo di Cy Sulzberg, Arnaud de Borchgrave, o Stewart Alsop, mentre a loro non importerà mai di leggere un report della CIA sullo stesso argomento” osservava l’agente CIA Miles Copeland. Cit. da Pease, I media e l’assassinio, pag. 301.

Darrel Gerwood segnala che, dalla seconda metà degli anni 50, l’agenzia cerca di smorzare le critiche dirette contro le attività segrete, e di aggirare la supervisione del congresso o potenziali interferenze della giustizia, infiltrandosi nel sottobosco accademico, nelle organizzazioni missionarie, nelle direzioni di giornali e case editrici influenti, e in qualunque altro posto nel quale le attitudini del pubblico potessero essere influenzate.” Darrell Garwood, Sotto copertura, 35 anni di inganno della CIA, New York: Grove Press, 1985, pag. 250.

La CIA interveniva frequentemente nelle decisioni editoriali. Per esempio, quando l’agenzia si impegnò a rovesciare il regime di Arbenz in Guatemala nel 1954, Allen e John Foster Dulles, rispettivamente Segretario di Stato del presidente Eisenhower e direttore della CIA, invitarono l’editore del New York Times Arthur Hays Sulzberger a spostare il reporter Sidney Gruson dal Guatemala a Città del Messico. Sulzberger mandò quindi Gruson a Città del Messico, con la motivazione che in Messico si sarebbero potute sentire le ripercussioni della rivoluzione. Pease, I media e l’assassinio, pag. 302.

Sin dai primi anni 50 la CIA “ha finanziato segretamente diverse testate estere, settimanali e quotidiani - di lingua inglese e non – i quali fornivano un eccellente copertura per gli agenti CIA,”, riferiva Carl Bernstein nel 1977. “Una di queste pubblicazioni era il Quotidiano Americano di Roma, il 50 per cento del quale è stato di proprietà della CIA fino agli anni 70.” Carl Bernstein, “La Cia e i media,” Rolling Stone, 20 Ottobre, 1977.

La CIA ha portato avanti relazioni informali coi dirigenti delle agenzie di news, diverse da quelle coi giornalisti e reporter a libro paga, “ i quali erano maggiormente soggetti alla linea dell’Agenzia” secondo Bernstein. “Pochi direttori – tra i quali anche Arthur Hays Sulzberger del New York Times – strinsero degli accordi segreto. Ma accordi formali di questo tipo erano rari: secondo una fonte, le relazioni tra membri dell’Agenzia e dirigenti dei media erano, in linea di massima, relazioni sociali . L’asse tra la strada P e Q a Georgetown . “ Tu non dici di certo a Willliam Paley di firmare un documento per assicurarti della riservatezza”. “La personale amicizia del direttore della CBS William Paley col direttore della CIA Dulles è oggi nota per essere stata una tra le più influenti e significative dell’industria della comunicazione” spiega l’autrice Debor Davis. “Egli ha dato copertura ad agenti CIA, assicurato la diffusione di notizie filmate, consentito gli interrogatori dei reporters, definendo in diversi modi gli standard per la cooperazione tra la CIA e le grandi aziende della comunicazione che è durata fino a metà degli anni 70.” Deborah Davis, Caterina la Grande, Katharine Graham e il Washington Post,       Seconda edizione, Bethesda MD: National Press Inc, 1987, pag. 175.

“La relazione dell’Agenzia col Times era di gran lunga la più apprezzabile tra i quotidiani, secondo diversi funzionari della CIA, ”, sottolinea Bernstein in un suo saggio del 1977. “Dal 1950 al 1966, circa dieci dipendenti CIA erano incaricati per la copertura del Times sotto disposizioni approvate dall’ultimo editore del giornale Arthur Hays Sulzberger. Gli accordi sulla copertura erano parte di una politica generale del Times – diretta da Sulzberger- di fornire assistenza alla CIA laddove possibile”. Per di più Sulzberger era uno stretto amico del direttore della CIA Allen Dulles. “A un tale livello di contatto era il potente che parlava con l’altro potente”, disse un dirigente di alto livello della CIA, presente ad alcune di queste discussioni. “C’era un accordo di principio che, senz’altro, ci saremmo aiutati l’un l’altro. La questione della copertura venne fuori in diverse occasioni. Era d’accordo che le disposizioni attuali sarebbero stati gestiti da subordinati… I capi non volevano conoscere le specifiche; volevano una confutabilità plausibile” Bernstein, La CIA e i media.

La CBS di Paley ha portato avanti una reciproca collaborazione con la CIA, consentendo all’Agenzia di utilizzare risorse e personale del gruppo. “Era una forma di assistenza che una cerchia di personaggi facoltosi ha reso alla CIA per i propri interessi personali, come oggi si sa”, scrisse l’esperto giornalista Daniel Schorr nel 1977. “Ciò mi suggeriva, tuttavia, che esistesse una relazione di fiducia e confidenza tra lui e l’agenzia”. Schorr allude ad “indizi che indicano come la CBS sia stata infiltrata”. Per esempio, “un editore di testata ricordava che agenti della Cia avevano l’abitudine di recarsi nella stanza di controllo della radio a New York nel primo pomeriggio e, col permesso di personaggi sconosciuti, ascoltavano i corrispondenti della CBS da tutto il mondo registrare i loro pezzi per la “Rassegna di notizie dal mondo” e discutevano gli eventi con l’editore di turno. Sam Jaffe affermò che mentre era impegnato in un lavoro per la CBS nel 1955, un agente della CIA gli disse che sarebbe stato assunto, come successivamente avvenne. Gli fu detto che sarebbe stato mandato a Mosca, come fu effettivamente; fu incaricato nel 1960 di coprire il processo al pilota di U-2 Francis Gary Powers. “(Richard) Salant mi disse, prosegue Schorr, “ che quando lui diventò il primo presidente di CBS News nel 1961, un funzionario CIA lo chiamò dicendogli che avrebbe voluto continuare la “ longeva collaborazione nota a Paley e a Stanton (Frank, presidente della CBS), ma fu detto a Salant da Stanton che non era obbligatorio che ne fosse al corrente”. Daniel Schorr. Pulire l’aria, Boston: Houghton Mifflin, 1977, pag 277, 276.

L’editore del National Enquirer Gene Pope Jr. lavorò brevemente nell’ufficio italiano della CIA nei primi anni 50, mantenendo successivamente stretti legami con l’Agenzia. Pope si astenne dal pubblicare decine di storie su “dettagli di rapimenti e omicidi della CIA, abbastanza da farci titoli per un anno”, al fine di incassare “buoni e cambiali”, scrive il figlio di Pope. “Si immaginava di non sapere quando ne avrebbe avuto bisogno, e queste cambiali tornarono utili quando arrivarono alla cifra di 20 milioni. Quando ciò avvenne, egli avrebbe avuto voce in capitolo per avere una propria autonomia gestionale, e sarebbe stata necessaria la copertura.”. Paul David Hope, Le azioni dei miei avi: Come mio nonno e mio padre hanno costruito New York e creato il mondo dei tabloid di oggi. New York: Phillip Turner/Rowman & Littlefield, 2010, pag. 309, 310.

Una storia esplosiva che il National Enquirer di Pope si trattenne dal pubblicare riguardava degli estratti dal diario, a lungo ricercato, di Mary Pinchot Meyer, l’amante del Presidente Kennedy, che fu uccisa il 12 Ottobre del 1964. “I reporter che scrissero sulla vicenda furono anche in grado di mandare sul luogo del delitto James Jesus Angleton, il capo delle operazioni di controspionaggio della CIA.” Un’altra storia potenziale verteva su “documenti provanti il legame tra (Howard) Hughes e la CIA, nel corso degli anni, e su come la CIA gli stesse dando dei fondi per finanziare, attraverso campagne di fund-raising, ventisette senatori e congressisti critici verso l’Agenzia. Vi erano inoltre 53 aziende internazionali nominate e citate come fronti della CIA…e pure una lista di giornalisti per organizzazioni della stampa mainstream che giocavano nella stessa squadra dell’Agenzia.” Pope, Le azioni dei miei Avi, pag. 309.

Angleton, che supervisionò l’ufficio del controspionaggio della CIA per 25 anni, “mantenne un gruppo del tutto indipendente, una squadra completamente separata di giornalisti, che seguivano incarichi sensibili e spesso pericolosi; si sa poco di questo gruppo per il semplice motivo che Angleton stesso si teneva volutamente vago sulle sue fila”. Bernstein, La CIA e i media.

La CIA condusse un “programma formale di addestramento” durante gli anni 50 al solo scopo di istruire gli agenti a lavorare come reporter. “ I membri dell’intelligence erano “istruiti a fare rumore come dei reporter”, spiegò un alto dirigente della CIA, e con l’aiuto dei dirigenti vennero in seguito piazzati nelle maggiori testate. Questi erano dei ragazzi che salivano di grado e ai quali veniva detto “tu stai per diventare un giornalista”, disse il funzionario della CIA. “L’inclinazione dell’Agenzia era, tuttavia, quella di contattare dei giornalisti che fossero già inseriti in quel mondo.” Bernstein, La CIA e i media.

Gli editorialisti dei quotidiani e i giornalisti radio con nomi familiari sono noti per aver mantenuto stretti legami con l’Agenzia. “ Ci sono forse una dozzina di editorialisti molto noti e commentatori radio le cui relazioni con la CIA vanno molto oltre a quelle che normalmente vi sono tra i reporter e le loro fonti”, sostiene Bernstein. Nell’Agenzia ci si riferisce a loro come “risorse note” e ci si può fare affidamento per svolgere una serie di compiti sotto copertura; sono considerati sensibili al punto di vista dell’Agenzia su diverse materie”. Bernstein, La CIA e i media.

Frank Wisner, Allen Dulles e l’editore del Washington Post Philiph Graham erano stretti associati, e il Post è diventato uno dei più influenti organi di news degli Stati Uniti grazie ai propri legami con la CIA. “Le relazioni individuali con l’intelligence dei       dirigenti del Post furono infatti il motivo della rapida crescita che ebbe il quotidiano dopo la guerra”, osserva Davis (pag. 172). “I loro segreti erano i loro segreti aziendali, a cominciare da MOCKINGBIRD. L’impegno di Philip Graham per l’intelligence ha fatto nascere nel suo amico Frank Wisner l’interesse nel fare del Washington Post il principale veicolo di news a Washington, a cui ci si è arrivati con l’appoggio alle due più importanti acquisizioni: il Times-Herald e le stazioni radiotelevisive WTOP”. Davis, Caterina la Grande, Katharine Graham e il Washington Post, pag. 172.

Subito dopo la Prima Guerra Mondiale l’amministrazione Wilson assegnò al giornalista e autore Walter Lippman l’incarico di reclutare agenti per l’Inquiry, l’organizzazione ultra segreta di intelligence civile, la prima nel suo genere, il cui ruolo consisteva nel verificare le informazioni per preparare Wilson ai negoziati di pace, ed inoltre identificare delle risorse naturali all’estero per gli speculatori di Wall Street e le compagnie del greggio. Le attività di questa organizzazione servirono come prototipo per le funzioni eventualmente svolte dalla CIA, chiamate”pianificare, raccogliere, selezionare ed elaborare i dati grezzi” osserva lo storico Servando Gonzalez. “Ciò corrisponde grosso modo al ciclo di intelligence della CIA: pianificazione e direzione, raccolta, elaborazione, produzione e analisi e diffusione”. Diversi membri dell’Inquiry sarebbero in seguito diventati membri del Consiglio delle Relazioni Estere. Lippmann arriverà ad essere uno dei migliori editorialisti del Washington Post. Servando Gonzalez, La guerra psicologica e il nuovo ordine mondiale: La guerra segreta contro il popolo americano, Oakland, CA: Spooks Books, 2010, pag.50.

I due settimanali più importanti, il Times e Newsweek, mantennero stretti legami con la CIA. “I file dell’Agenzia contengono accordi scritti con ex corrispondenti esteri e collaboratori di entrambi i settimanali” secondo Carl Bernstein. “Allen Dulles spesso interveniva presso i suoi buoni amici, lo scomparso Henry Luce, fondatore dei magazine Time e Life, che facilmente consentiva ad alcuni membri del proprio staff di lavorare per l’Agenzia ed accordarsi per fornire lavoro e credenziali per altri operativi della CIA che non avevano esperienza giornalistica” Bernstein, La CIA e i media.

Nella sua autobiografia l’ex funzionario della CIA E.Howard Hunt cita l’articolo “La CIA e i media” di Bernstein in dettaglio. “ Io non so nulla per contraddire questa inchiesta” dichiara Hunt, suggerendo che la fama del giornalista investigativo del Watergate non era arrivata abbastanza lontana. “Bernstein inoltre identificava alcuni dei massimi dirigenti dei media del paese con l’essere delle risorse preziose per l’Agenzia…ma la lista delle organizzazioni che hanno cooperato con l’Agenzia mostra un veritiero “Chi è Chi” dell’industria dei media, che include ABC, NBC, l’Associated Press, UPI, Reuters, Hearst Newspapers, Scripp-Howard, il magazine Newsweek ed altri ancora”. E. Howard Hunt Una spia americana: La mia storia segreta nella CIA, il Watergate ed oltre, Hoboken NJ: John Wiley & Sons, 2007, pag.150.

Quando, nel 1964 ,con la pubblicazione de Il governo invisibile dei giornalisti David Wise e Thomas B. Ross emerse il primo grande scandalo della CIA, questa considerò di acquistare tutta la tiratura per tenere il libro lontano dal pubblico, che giudicava ostile verso di essa. “ Per un’estensione che sta solo iniziando ad essere percepita, questo governo ombra sta plasmando le vite di 190 milioni di americani.” Scrivono gli autori Wise e Ross nell’introduzione del libro. “Decisioni cruciali riguardanti la pace e la guerra hanno luogo lontano dallo sguardo pubblico. –Un cittadino informato dovrebbe iniziare a sospettare che la politica estera degli Stati Uniti spesso funzioni pubblicamente in un modo e segretamente, attraverso il governo invisibile, nella direzione esattamente opposta”. Lisa Pease, Quando l’impero della CIA reagisce, Consortiumnews.com, 6 Febbraio, 2014.

L’infiltrazione dei media da parte dell’Agenzia ha formato la pubblica percezione di eventi oscuri e sostenuto le tesi ufficiali su tali eventi. Il rapporto della commissione Warren sull’omicidio del presidente John F. Kennedy, per esempio, si sposava quasi del tutto con la versione degli organi di stampa Usa. “ Non ho mai visto un rapporto ufficiale avere un simile totale apprezzamento come quello dato alla ricostruzione della commissione Warren, quando è stata resa pubblica il 24 Settembre del 1964”, ricorda il reporter investigativo Fred Cook. Tutti i principali network televisivi hanno dedicato analisi e puntate speciali per il report; il giorno seguente i quotidiani dedicarono colonne su colonne a dettagliare le scoperte del rapporto; accompagnate da editoriali ed analisi ad hoc. Il verdetto fu unanime. Il rapporto rispondeva a tutte le domande e non lasciava spazio a dubbi. Lee Henry Oswald, da solo e senza aiuti, aveva assassinato il presidente degli Stati Uniti.” Fred J. Cook, Maverick, Cinquant’anni di giornalismo investigativo, G.P. Putnam’s Sons, 1984, pag.276.

Verso la fine del 1966 il New York Times portò avanti un’inchiesta su diverse questioni riguardanti l’assassinio del presidente Kennedy, che non vennero approfondite in maniera soddisfacente dalla commissione Warren. “Non è mai andata a fondo”, osserva l’autore Jerry Policoff, “ né il New York Times dubitò in seguito delle scoperte della commissione Warren”. Mentre l’inchiesta andava sviluppandosi, il giornalista di punta dell’ufficio di Houston del New York Times “disse che lui ed altri si imbatterono in un sacco di domande senza risposta che il Times non aveva interesse ad approfondire. Se ero su una buona pista, qualcuno allora mi richiamava per mandarmi in California o per un'altra storia o cose simili. Non abbiamo mai mandato qualcuno per questa. Non siamo stati abbastanza scrupolosi!”.Jerry Policoff, “ I media e l’assassinio di John Kennedy”, da Peter Dale Scott, Paul L. Hoch and Russell Stetler, eds., Gli assassinii, Dallas e oltre, New York: Vintage, 1976, pag. 265.

Quando il procuratore distrettuale Jim Garrison si avventurò in un’indagine sull’assassinio di JFK nel 1966, concentrandosi sulla presenza di Lee Oswald a New Orleans nei mesi precedenti al 22 Novembre 1963, “ è stato investito da due uragani, uno da Washington e uno da New York”, spiega lo storico James Di Eugenio. Il primo, veniva sicuramente dal governo, precisamente dalla CIA, dall’FBI e in misura inferiore dalla Casa Bianca. Quello da New York veniva dai principali media mainstream, Time-Life e la NBC. Questi due giganti della comunicazione si adoperarono per fare di Garrison un parafulmine per le critiche e coprirlo di ridicolo. L’orchestrazione di questa campagna ebbe successo nel distrarre l’attenzione da ciò che Garrison stava scoprendo, gettando fango sulla procura stessa”. Di Eugenio, Prefazione, da William Davy, Giustizia sia fatta: Nuova luce sulle indagini di Jim Garrison, Reston VA: Jordan Publishing, 1999.

La CIA ed altre agenzie di intelligence Usa, utilizzarono i media per sabotare l’indagine indipendente di Garrison sull’omicidio Kennedy. Garrison presiedeva l’unico ufficio legislativo con potere coercitivo per spianare efficacemente la selva di domande che circondavano l’assassinio di JFK. Uno dei testimoni chiave di Garrison, Gordon Novel, scappò da New Orleans per evitare di testimoniare davanti al Grand Jury riunito da Garrison. Secondo Di Eugenio, “il direttore della Cia Allen Dulles avrebbe iniziato a mettere in contatto il fuggitivo da New Orleans con più di una dozzina di giornalisti amici della CIA che – in un tentativo spudorato di distruggere l’immagine di Garrison – si sarebbero impegnati a scrivere le storie più infamanti che si potessero immaginare riguardo la procura. “ James Di Eugenio, Il destino tradito : JFK, Cuba e il caso Garrison, Seconda edizione, New York: SkyHorse Publishing, 2012, pag 235.

Il funzionario CIA Victor Marchetti riferì allo scrittore Willliam Davy che, nel 1967, mentre assisteva alle riunioni di gruppo come assistente dell’allora direttore Richard Helms “Helms espresse grande preoccupazione sulla delicata posizione di Shaw ( ex funzionario OSS, agente della CIA e principale indagato nell’investigaione Clay di Jim Garrison) chiedendo al proprio staff “ Stiamo dando loro tutto l’aiuto che possiamo laggiù?”. William Davy, Giustizia sia fatta: Nuova luce sulle indagini di Jim Garrison, Reston VA: Jordan Publishing, 1999.

L’accezione negativa del termine “teoria della cospirazione” fu introdotta nel lessico occidentale dalle “risorse dei media” della CIA, come evidenziato nello scenario descritto dal Documento 1035-960 riguardante le critiche al rapporto Warren, un comunicato dell’Agenzia emesso nei primi mesi del 1967 e diffuso ovunque dagli uffici dell’Agenzia stessa nel periodo in cui il libro del procuratore Mark Lane Corsa al Giudizio scalava i bestseller e le indagini della procura di Garrison sull’omicidio Kennedy cominciavano ad ingranare.

Il Time ebbe strette relazioni con la CIA, essendo nato dall’amicizia dell’editore Henry Luce e il capo della CIA ai tempi di Eisenhower Allen Dulles. Quando l’ex giornalista Richard Helms fu nominato direttore nel 1966, iniziò a “coltivare relazioni con la stampa”, spingendo i giornalisti verso conclusioni che mettevano in buona luce l’Agenzia. Come ricorda il corrispondente del Times Hugh Sidney “ con John McCone e Richard Helms avevamo un accordo e quando stavamo facendo qualcosa sulla CIA, andavamo da loro e glie la presentavamo prima… non eravamo mai fuorviati”. Allo stesso modo quando il Newsweek decise, alla fine del 1971, di fare una storia di copertina su Richard Helms e il “nuovo spionaggio”; secondo un membro del Newsweek, si andò direttamente all’Agenzia per maggiori informazioni. E l’articolo.. rifletteva in linea di massima la linea che Helms stava cercando con forza di imprimere: che dalla fine degli anni 60 …il fulcro dell’attenzione e del prestigio all’interno della CIA è passato dai Servizi Clandestini all’analisi di Intelligence, e che “ la gran parte del reclutamento è legato alla Direzione di Intelligence”. Victor Marchetti e John D. Marks, La CIA e il culto dell’intelligence New York: Alfred A. Knopf, 1974, pag. 362-363.

Nel 1970 Jim Garrison scrisse e pubblicò Un’eredità di pietra, lavoro semi-autobiografico che esamina come la procura di New Orleans operò all’interno del confine degli Stati Uniti, e come la CIA impiegò sei mesi a rispondere alla domanda della commissione Warren sul fatto se Oswald e (Jack) Ruby avessero collaborato con l’Agenzia”, osserva Joan Mollen, biografo di Garrison e docente di materie umanistiche alla Temple University. In risposta a Un’eredità di pietra , la CIA radunò le sue “risorse dei media” e l’opera fu setacciata da critici al servizio del New York Times, Los Angeles Times, Washington Post, Chicago Sun Times e del magazine Life. “La recensione di John Leonard del New York Times si trasformò” spiega Mellen, “L’originale dell’ultimo pararafo sfidava il rapporto Warren : “C’è qualcosa che puzza sull’intera vicenda” scrisse Leonard. “Perché gli organi del collo di Kennedy non furono esaminati al Bethesda per cercare tracce di uno sparo frontale? Perché il suo corpo è stato subito portato via a Washington, prima di un’indagine di competenza legale del Texas? Perché?”. Questo paragrafò svanì nelle successive edizioni del Times. Nell’ultimo terzo di colonna la recensione finiva così: “Francamente preferisco credere che la commissione Warren abbia svolto un lavoro lacunoso, piuttosto che disonesto. Preferisco pensare che Garrison abbia inventato delle chimere per spiegare l’incompetenza”. Joan Mollen, Addio alla giustizia: Jim Garrison, l’assassinio di JFK, e il caso che avrebbe cambiato la storia, Washington DC: Potomac Books, 2005, pag. 323, 324.

Il vicedirettore della CIA per la pianificazione Cord Meyer Jr. chiese l’aiuto di Cass Canfield, presidente emerito della Harper&Row riguardo l’imminente pubblicazione de La politica dell’eroina nel sud-est asiatico di Alfred McCoy, basata sul lavoro sul campo dell’autore e sulla sua tesi di dottorato a Yale, nella quale ha esaminato il ruolo esplicito della CIA nel commercio dell’oppio. “Richiedere il mio libro era una minaccia alla sicurezza nazionale”, ricorda McCoy, “un funzionario CIA chiese alla Harper&Row di eliminarlo. Il sig. Canfeld a questa richiesta non acconsentì. Ma si accordò per modificare l’opera prima della pubblicazione”. Alfred W. McCoy, La politica dell’eroina: la complicità della CIA nel commercio di droga mondiale,Chicago Review Press, 2003, xx.

La pubblicazione de Il Team segreto , opera di L. Fletcher Prouty, colonnello dell’Air force Usa e contatto della CIA, narra dell’esperienza diretta dell’autore su operazioni segrete e di spionaggio, andò incontro ad una vasta campagna di censura nel 1972. “La campagna per “uccidere” il libro era su cala nazionale e mondiale” osserva Prouty. “E’ stato rimosso dalla libreria del Congresso e dalle librerie universitarie, come hanno attestato le lettere che ho ricevuto fin troppo spesso…Ero uno scrittore le cui opere sono state eliminate da una grossa casa editrice, (Prentice Hall) e da un importante editore di tascabili (Ballantine Books) sotto la mano persuasiva della CIA.” L. Fletcher Prouty, il Team segretoLa Cia e i suoi alleati nel controllo degli Stati Uniti e del mondo. New York: SkyHorse Publishing, 2008, xii, xv.

Durante le audizioni del comitato Pike nel 1975, il membro del Congresso Otis Pike chiese al direttore della CIA William Colby “ Ha delle persone a libro paga della CIA che lavorano per i network televisivi?” Colby rispose, “ Questo, penso, ci porta ad una tipo di dettagli che, Signor Presidente, preferirei esaminare in sessione esecutiva”. Dopo che la camera fu sgomberata, Colby ammise che , precisamente nel 1975 “la CIA stava usando “coperture dei media” da parte di undici agenti, molti meno rispetto ai bei tempi dello spionaggio dei tabloid, ma nessuna serie di domande può convincermi a rivelare le case editrici e boss dei network che hanno cooperato ai più alti livelli.” Schorr, Pulire l’aria. Pag 275.

“C’è una serie quasi incredibile di relazioni” riferiva l’ex funzionario della CIA William Bader al comitato del Senato sull’Intelligence, che indagava sull’infiltrazione della CIA nelle testate nazionali. “Non è necessario manipolare il Time, per esempio, perché nella sua direzione vi sono già persone dell’Agenzia”. Bernstein La Cia e i media.

Nel 1985, lo storico del cinema e docente Joseph McBride si imbatté in un memorandum di J. Edgar Hoover del 29 Novembre 1963, intitolato “L’assassinio del Presidente John F. Kennedy “, nel quale il direttore dell’FBI dichiarava che la sua agenzia stava impartendo delle istruzioni a due individui, uno dei quali era “Mr. George Bush della CIA”. “Quando McBride interrogò la CIA riguardo al memo, “un uomo delle Pubbliche Relazioni fu laconicamente formale e poco chiaro: “Non posso né confermare né negare”. Era la risposta standard che dava l’Agenzia quando aveva a che fare con le proprie fonti e metodi” precisa il giornalista Russ Baker. Quando McBride pubblicò una storia su The Nation, “L’uomo che non era lì, il membro della CIA George Bush”, la CIA si fece avanti con una dichiarazione secondo cui i riferimenti negli archivi dell’FBI riguardo George Bush, si riferivano “apparentemente” a George William Bush, che ricopriva un incarico di       turno notturno presso il quartier generale “ che sarebbe stato il posto appropriato per ricevere un simile report”. McBride rintracciò George William Bush per avere conferma che lui fosse solo per breve tempo un dipendente della CIA come “funzionario statale in prova” che mai “ricevette istruzioni di inter-agenzia”. Poco dopo The Nation raccontò una seconda versione di McBride nella quale “l’autore provava che la CIA avesse mentito agli americani…Come con la precedente storia di McBride, questa divulgazione fu accolta con l’equivalente di uno sbadiglio collettivo dei media.” A partire da quell’episodio, i ricercatori hanno trovato dei documenti che rimandano a George H. W. Bush nella CIA addirittura dal 1953. Russ Baker, Famiglia di segreti: La dinastia Bush, il governo invisibile dell’America, e la storia nascosta degli ultimi 50 anni, New York: Bloomsbury Press, 2009, pag. 7-12.

L’operazione Gladio, la ben documentata collaborazione tra agenzie di spionaggio occidentali, inclusa la CIA, e la NATO, che includeva attentati terroristici coordinati e attacchi verso obiettivi civili, dalla fine degli anni 60 fino agli anni 80, è stata efficacemente rimossa dai principali organi di stampa. Una ricerca della LexisNexis sull’ “operazione Gladio”, condotta nel 2012, ha recuperato 31 articoli nei media di lingua inglese – apparsi perlopiù su quotidiani britannici. Solo quattro articoli riguardanti Gladio sono mai apparsi sui quotidiani Usa, tre sul New York Times, e una breve menzione sul Tampa Bay Times. Nessun network o canale di news si è occupato di operazioni terroristiche appoggiate dallo stato, ad eccezione di un documentario della BBC del 2009. Quasi tutti gli articoli riferiti a Gladio sono apparsi nel 1990 quando il primo ministro italiano Giulio Andreotti ha pubblicamente ammesso la partecipazione italiana al processo. Il New York Times minimizzò ogni coinvolgimento Usa, descrivendo ingannevolmente Gladio come una creazione italiana, in un articolo sepolto a pagina 16. In realtà l’ex direttore della CIA William Colby rivelò nelle sue memorie che le operazioni segrete paramilitari furono un’iniziativa rilevante, organizzata dopo la Seconda Guerra Mondiale, che includeva “ la cerchia più ristretta possibile delle persone più affidabili, a Washington e nella NATO.” James F. Tracy, Terrore false flag e la cospirazione del silenzio, Global Research, August 10, 2012.

Giorni prima dell’attacco terroristico dell’ Alfred P. Murrah Federal Building ad Oklahoma City, il direttore della CIA confidò al suo amico, il senatore del Nebraska John De Camp la sua personale preoccupazione sulla Milizia e il Movimento Patriottico negli Stati Uniti, la cui popolarità era allora in crescita, grazia anche all’uso dei media alternativi di quel periodo-libri, periodici, cassette e canali radio. “Ho visto come il movimento contro la guerra abbia reso impossibile a questo paese condurre o vincere la guerra in Vietnam” osservò Colby. “Io ti dico, caro amico, che la Milizia e il Movimento Patriottico, presso i quali, da procuratore, sei diventato una delle colonne portanti, è di gran lunga più rilevante e pericoloso per gli americani, di quanto non lo sia mai stato il movimento contro la guerra, se non si è ancora astutamente accordato con esso”. David Hoffman, L’attentato di Oklahoma City e le politiche del terrore, Venice CA: Feral House, 1998, pag. 367.

Poco dopo la comparsa della serie “Dark Alliance” del giornalista Gary Webb sul San Jose Mercury News, che riportava del coinvolgimento dell’Agenzia nel traffico di droga, la divisione degli affari pubblici della CIA portò avanti una campagna per contrastare quella che veniva definita come “una vera crisi di pubbliche relazioni per l’Agenzia”. Webb stava semplicmente riportando presos un pubblico più ampio quello che era già stato ben documentato da ricercatori come Alfred McCoy e Peter Dale Scott, e dal rapporto del Comitato Kerry del 1989 sullo scandalo Iran-Contra: che la CIA è stata a lungo coinvolta nel traffico di droga internazionale. Simili scoperte vennero confermate nel 1999 da uno studio dell’ispettore generale della CIA. Ciò nonostante, appena dopo l’inizio della pubblicazione della serie di articoli di Gary Webb, “ i portavoce dei media della CIA avrebbero ricordato ai reporter che intedevano commentarli, che quelle serie di articoli presentavano delle notizie non veritiere” osservava un membro interno alla CIA, “simili accuse su ciò erano state fatte nel 1980, vennero indagate dal Congresso e trovate prive di ogni fondamento. I reporter vennero incoraggiati a leggere attentamente la serie di “Dark Alliance” e con un occhio critico verso quelle affermazioni che sembrerebbero avere oggi un qualche fondamento”. http://www.foia.cia.gov/sites/default/files/DOC_0001372115.pdf

Il 10 Dicembre del 2004 il giornalista Gery Webb morì colpito alla testa da due spari di un calibro 38 alla testa. Il coroner etichettò il caso come suicidio. “Gery Webb è stato UCCISO”, concluse l’agente speciale dell’FBI Ted Gunderson nel 2005. “Lui (Webb) sopravvisse al primo colpo (alla testa uscito attraverso la mandibola) così fu colpito ancora con un secondo colpo arrivato penetrato dritto nel cervello.” Gunderson, riguardo alla teoria che Webb possa essersi sparato da solo per due volte,afferma “impossibile!” Charlene Fassa, Gary Webb, altri pezzi nel puzzle del suicidio Rense.com, December 11, 2005.

I giornalisti più rispettati, che ricevono informazioni ed accesso ai corridoi del potere “esclusivi”, sono tipicamente anche quelli più accondiscendenti alla burocrazia e hanno spesso legami con l’intelligence. Quelli che hanno garantiti simili accessi comprendono che dovrebbero sostenere la narrativa del sostenuta dal governo. Per esempio, Tom Wicker del New York Times il 22 Novembre 1963 riportava che il presidente John F. Kennedy “ è stato colpito da un proiettile alla gola, appena sotto il pomo d’adamo”. Questa versione andò in stampa prima che venisse affermata la versione ufficiale di un singolo colpo fatale da dietro. Wicker venne punito con “la perdita dell’accesso, rimostranze agli editori e case editrici, stigma sociale, soffiate ai competitore e una varietà di altre rappresaglie che nessuno vorrebbe.” Barrie Zwicker, Le torri dell’inganno: la copertura dei media dell’ 11 Settembre Gabrioloa Island, BC: New Society Publishers, 2006, pag.169-170.

La CIA promuove attivamente un’immagine pubblica desiderabile della propria storia e funzione consigliando la produzione del medium Hollywoodiano, come Argo e Zero Dark Thirty . L’Agenzia considera che “i legami dei propri funzionari con l’industria dello spettacolo produca immagini positive su se stessa, (in altre parole propaganda) attraverso le nostre più popolari forme di intrattenimento” spiega Tom Hayden alla LA Review of Books. “ La connessione CIA-spettacolo è diventata così naturale che pochi si interrogano sui suoi aspetti legali o morali. Questa non è un’agenzia governativa come un’altra, la realtà delle sue operazioni non è soggetta al pubblico giudizio. Quando i persuasori nascosti della CIA influenzano un film di Hollywood, sta utilizzando un medium popolare per costruire un’immagine favorevole di sé stessa laddove possibile, o almeno, prevenire che abbia luogo una sfavorevole. Tom Hayden, Rassegna della CIA ad Hollywood: come l’Agenzia plasma il cinema e la televisione LA Review of Books,24 Febbraio, 2013.

L’ex membro operativo della CIA Robert David Steele dichiara che la manipolazione della stampa da parte della CIA è “peggiore” nel 2010 piuttosto che alla fine degli anni 70 quando Bernstein scrisse “La CIA e i media”. “La cosa triste è che la CIA ha una grande abilità nel manipolare ( i media) e stringe anche accordi finanziari coi media, col Congresso, con tutti gli altri. Ma l’altra faccia della medaglia è che i media sono pigri.” James Tracy intervista con Robert David Steele, 2 Agosto 2014.

Una vicenda ben nota è quella del giornalista       radiofonico Anderson Cooper che fece un tirocinio presso la CIA quando era studente a Yale, alla fine degli anni 80. Secondo Wikipedia, il prozio di Cooper, William Henry Vanderbilt è stato un dirigente della Sezione Operazioni Speciali dell’OSS, alle dipendenze del fondatore dell’organizzazione William “Il selvaggio Bill” Donovan. Mentre Wikipedia è una fonte a volte dubbia, il coinvolgimento di Vanderbilt nell’OSS, coinciderebbe con la fama della CIA di reclutare personaggi alquanto benestanti per compiti esteri. William Henry Vanderbilt III, Wikipedia.

L’esperto giornalista tedesco Udo Ulfkotte, autore del libro del 2014 Gefaukte Journalisten (Giornalisti comprati ) ha rivelato di come, sotto la minaccia di licenziamento egli fosse costretto abitualmente a firmare articoli scritti da agenti dell’intelligence. “Mi sono ritrovato a pubblicare articoli con la mia firma scritti da agenti della CIA e da altri servizi di intelligence, in particolare servizi tedeschi.”, ha spiegato Ulfkotte in una recente intervista a Russia Today. Giornalista tedesco: Media europei scrivono storie pro Usa su pressione della CIA RT, October 18, 2014

Nel 1999 la CIA fondò In-Q-Tel, un’azienda di venture capital con l’obiettivo di “ scoprire ed investire in imprese che sviluppino tecnologie dell’informazione all’avanguardia, utili agli interessi della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.”. L’azienda ha avuto rapporti finanziari con piattaforme informatiche americane di ampia diffusione, tra cui Google e Facebook. “ Se vuoi stare al passo con la Silicon Valley, devi far parte della Silicon Valley.” Dice Jim Rickards, un consigliere della comunità dell’intelligence Usa, esperto delle attività di In-Q-Tel. “Il modo migliore per fare ciò è avere delle risorse, perché se tu hai un libretto degli assegni, ognuno viene da te”. A un certo punto IQT “soddisfava ampiamente i bisogni della CIA”. Oggi, tuttavia, “l’azienda supporta molte delle 17 agenzie interne alla comunità dell’intelligence Usa, inclusa l’Agenzia di Intelligence Nazionale Geospaziale (NGA), l’Agenzia per l’Intelligence della Difesa (DIA) e il Dipartimento per la Sicurezza Scientifica Nazionale e di Direzione Tecnologica.”. Matt Egan, In-Q-Tel: Uno sguardo dentro il braccio di Venture Capital della CIA,       FoxBusiness.com, June 14, 2013.

Ad una conferenza tenuta dalla In-Q-Tel nel 2012, il direttore della CIA David Patraeus ha dichiarato che il rapido sviluppo di “internet delle cose” e della “casa intelligente” fornirà alla CIA la capacità di controllare ogni cittadino americano che diventi “persona interessante per la comunità d’intelligence”, riporta il magazine Wired. “ Trasformazionale è un termine abusato, ma credo si applichi correttamente a queste tecnologie”, sottolineava Petraeus, “ in particolare per i loro effetti su tecniche di intelligence segrete”…”Elementi di interesse saranno localizzati, identificati, monitorati, e controllati da remoto attraverso tecnologie come identificazione di radio-frequenze, reti di sensori, minuscoli server incorporati, e raccoglitori di energia, tutti connessi alla rete internet di ultima generazione, diffusa, low-cost e con elevata potenza di elaborazione” ha spiegato Petraeus, “ che arriva oggi al cloud computing, in diverse aree supercalcolatori       più grandi ancora, per giungere, infine, ai computer quantici”. Spencer Ackerman, Il capo della CIA: Ti controlleremo attraverso la tua lavastoviglie  Wired, March 15, 2012

Nell’estate del 2014 un computer cloud da 600 milioni di dollari sviluppato da Amazon Web Services, ha iniziato a servire tutte le 17 agenzie federali che formano la comunità di intelligence. “Se la tecnologia ci mostra un’immagine ufficiale” riporta The Atlantic, “ ci accompagnerà in una nuova era di cooperazione e coordinamento, consentendo alle agenzie di condividere informazioni e servizi molto più facilmente e di evitare le falle dell’Intelligence che precedettero gli attacchi terroristici dell’11 Settembre”. I dettagli dell’accordo CIA con Amazon, The Atlantic,17 Luglio, pag.2.

 


Link: http://www.informationclearinghouse.info/article42768.htm

21.10.2015

 

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